Il tema dell’intelligenza artificiale è ormai ovunque, riempie conversazioni, titoli di giornale e scenari di futuro. Ma come instaurare un dialogo autentico con queste intelligenze? E, in questo dialogo, come possiamo fare in modo che la nostra sensibilità giochi un «ruolo guida», attraversando i codici e gli algoritmi?
La vera domanda diventa insomma non tanto come porre l’essere umano al centro, ma come farlo diventare un protagonista attivo, un leader che orienti e guidi questo nuovo rapporto.
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Il dialogo con l’esperta sull’intelligenza artificiale e leadership
Mentre ci muoviamo verso un mondo sempre più dominato da tecnologie avanzate, dobbiamo chiederci quale sia il nostro ruolo: semplice utilizzatore o creatore consapevole? Come possiamo mettere a frutto la nostra intelligenza sensibile per trasformare l’intelligenza artificiale in qualcosa di più di un mero strumento, rendendola parte di un progetto in cui le nostre emozioni, intuizioni e valori sono chiave?
Mi porto appresso questo groviglio di dubbi e incertezze nel mio dialogo con Mariarosaria Taddeo, professore associato, Senior Research Fellow presso l’Oxford Internet Institute e vicedirettrice del Digital Ethics Lab dell’Università di Oxford. Sento che mi ascolta con attenzione, mentre con gli occhi è già alla ricerca di una consapevolezza, una soluzione che possa tener conto di tutti i fattori a cui io probabilmente non ho dato rilievo. Le sue osservazioni cominciano subito a rimuovere il superfluo, accompagnandomi verso la chiarezza e la semplificazione di uno dei temi più caldi dei nostri giorni.
Intelligenza artificiale come strumento nella leadership umana
«Essere leader, come ci siam detti, significa essere responsabili, scegliere e tracciare le strategie. Un buon leader non fa scelte per se stesso, ma per il bene anche degli altri, con uno sguardo decentrato, meno autoreferenziale. Ed è questa la prospettiva che dobbiamo assumere nel momento attuale. Il dialogo con l’intelligenza artificiale, almeno a questo stadio, è un falso problema. La chiamiamo «intelligenza artificiale», ma questo in realtà è uno slogan, forse uno dei più fortunati nella storia accademica, assegnato a un fenomeno che non ha nulla a che fare con l’intelligenza reale, con le emozioni o la consapevolezza. Non è altro che uno strumento che può stravolgere molti aspetti della nostra vita, e proprio per questo dobbiamo domandarci: che cosa cambia davvero per noi? Che cosa ci viene sottratto? Non si tratta di una relazione “alla pari”. La vera questione è chiedersi: adesso che ho un agente capace di fare cose prima impossibili, come posso utilizzarlo in una posizione di leadership? Qual è la mia visione, il mio obiettivo? A me sembra che finora ci siamo mossi al contrario. Seguiamo il prodotto, ci lasciamo dettare visioni e obiettivi dal mercato, rispondendo più che dirigendo. E così, a un certo punto, ci troviamo messi in un angolo da queste stesse dinamiche. Paradossalmente in questa fase l’essere umano è chiave. Pensa: siamo proprio noi il punto d’origine di tutti quei dati che vengono raccolti e riformulati continuamente, dati che alla fine ci trasformano in oggetti di profilazione. Se ci pensi, siamo guida, sì, ma non come vogliamo credere.» «Siamo input e output…», commento mentre immagino l’uomo vitruviano di Leonardo intrappolato in mezzo a richieste di cookies, tracciamenti di preferenze, contenuti sempre più personalizzati. Non più figura possente e armoniosa, ma uomo immobilizzato e tirato da ogni lato.
La relazione gerarchica tra leadership umana e intelligenza artificiale
Mariarosaria mi riporta nel nostro discorso: «Dovremmo iniziare a renderci conto che non siamo il centro, ma siamo determinanti per ciò che accade al centro. La relazione con l’intelligenza artificiale non è paritaria. Piuttosto, è una relazione gerarchica.» «In che senso?», domando. «L’intelligenza artificiale è uno strumento potentissimo, anche pericoloso, ma, come ogni strumento, va usato per una visione precisa. Sono io a scegliere quando e come utilizzarla, e questo è cruciale: non sempre l’intelligenza artificiale è la soluzione migliore. Anzi, bisogna capire che non è adatta a risolvere ogni problema.» «Puoi fare un esempio?» «Certo. Pensa a una mulattiera di montagna e a due scelte: affrontarla con un asino o con una Ferrari. Se scegli la Ferrari, ti dimostri uno sprovveduto, perché quello strumento è del tutto inadeguato al percorso. Magari andare con un asino è più lento, ma è la scelta più adatta alle condizioni. Ecco, è così che vedo la nostra relazione con la tecnologia: non è questione di velocità o potenza, ma di usare il mezzo giusto nel momento giusto.»
Intelligenza artificiale e leadership umana nelle relazioni contemporanee
«E come sta cambiando la natura delle relazioni? Fra esseri umani, fra uomo e macchina, fra uomo e natura. Ci vedi un progresso o un regresso?» Mariarosaria si lascia andare a una riflessione che ancora adesso, a distanza di tempo, mi fa venire i brividi: «Penso che la relazione tra l’essere umano e se stesso sia, di per sé, complessa e stratificata e lo abbiamo compreso nei secoli grazie a pensatori come Cartesio e Freud. È una relazione mai completamente razionale, mai trasparente e sempre guidata, almeno in parte, dall’inconscio e dalle emozioni, ma anche da quei fattori razionali che governano la nostra esistenza.
Di fronte alla crescita delle nostre conoscenze scientifiche e storiche, è diventato evidente come la nostra comprensione del mondo sia divenuta più profonda e variegata, capace di abbracciare nuovi aspetti come la diversità culturale, la consapevolezza ambientale e perfino la presenza di agenti artificiali capaci di compiere azioni per noi inedite. Questa comprensione è diventata più articolata, ma non per questo più chiara. Oggi ci troviamo sommersi da crisi globali che si sono sovrapposte in modo rapido e travolgente: cambiamenti climatici, pandemie, guerre. Tutti elementi che hanno precipitato l’umanità in una fase di intensa incertezza e che non abbiamo ancora avuto il tempo di metabolizzare.
Eppure, credo che una comprensione più profonda della realtà e delle sue trasformazioni sia inevitabile e necessaria. Con gli strumenti moderni possiamo ottenere informazioni che prima ci erano precluse, come il recente sviluppo di proteine sintetiche che rompe vecchie regole della chimica e apre nuovi orizzonti nella cura di malattie. Tuttavia, è essenziale che l’evoluzione tecnologica e scientifica sia accompagnata da una consapevolezza etica e da un senso di responsabilità.
Il futuro non migliorerà da sé. L’universo è entropico e se lasciamo le cose andare senza intervento, è probabile che peggiorino piuttosto che migliorare. Ecco perché oggi più che mai è necessario coltivare un senso di impegno collettivo e intergenerazionale. Purtroppo vedo il rischio che l’impegno si affievolisca, che prevalga una visione individualista del mondo che ignora le esigenze della comunità. Ma è proprio ora che non possiamo permetterci di ignorare le sfide che abbiamo davanti.
Proprio come abbiamo cercato di comprendere i fondamenti della realtà, possiamo e dobbiamo accogliere la casualità e la complessità della nostra esistenza, comprendere e accettare la nostra fragilità come esseri umani. E per farlo dobbiamo coltivare la sensibilità e il “sentire” che ci permettono di superare divisioni e pregiudizi, riscoprendo nella nostra stessa vulnerabilità il legame che ci unisce agli altri. Questo approccio non è solo una gentilezza superficiale; è un’espressione profonda e autentica della nostra natura umana, un ponte verso gli altri e una risposta alla nostra ricerca di significato.
La leadership umana delle nuove generazioni nell’era dell’intelligenza artificiale
È per questo che, guardando le generazioni più giovani, vedo un’immensa speranza. C’è una forza in loro, una determinazione che può guidarci verso un futuro migliore. Perciò considero i giovani come maestri, in grado di insegnarci a vedere il mondo con occhi nuovi e a riscoprire in noi stessi una capacità di apertura e di rinnovamento. Se riusciamo a guardare al mondo e al futuro con la stessa intensità e rispetto, potremo davvero creare un lascito positivo, uno sforzo collettivo per affrontare le sfide che ci attendono con intelligenza e sensibilità.»