Ormai si fa tutto online: riunioni, incontri, seminari, eventi, lezioni, confronti e addirittura telefonate, che si sono trasformate nelle famigerate call. È come se non fossimo più capaci di fare qualcosa senza la parte video, anche dopo cinque anni da quando siamo stati costretti ad abituarci a queste modalità. Ma è davvero così necessario essere sempre “sul pezzo” con una videoconferenza che ci aspetta? Secondo me no.
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L’evoluzione della comunicazione interpersonale
Partiamo dal fatto che la comunicazione interpersonale, oggi come oggi, è distante anni luce rispetto a quella di dieci anni fa. Quasi tutti gli strumenti per tenersi in contatto si basano principalmente sulla comunicazione asincrona: io ho qualcosa da dirti e lo faccio quando è comodo a me, mentre tu puoi rispondermi quando sei disponibile. Semplice, lineare, comodo e liberatorio. E possiamo scambiarci di tutto: testo, video, audio, foto, file e presentazioni. Che senso ha trasformare tutta questa comodità in fastidiose call istantanee, in tempo reale?
Poi ci sono le riunioni: nella vita fisica spero per voi che le abbiate ridotte al minimo possibile, con il minor numero di partecipanti possibile e la minor durata possibile, per non trasformarle tutte nella classica riunione che serve solo a decidere quando fare la prossima, senza che per un’ora sia servita ad altro. In questo caso, la videoconferenza ha un certo senso logico: far incontrare diverse persone coinvolte in uno stesso progetto senza perdere tempo logistico.
Il paradosso delle videoconferenze
Ma così è nato il “paradosso della call”: invece di farci risparmiare tempo, queste riunioni video ce lo fanno perdere. Per un motivo molto semplice: ogni volta che dici a qualcuno “sentiamoci domani”, la risposta è “ti mando l’invito calendar e aggiungo anche Mario, Silvia, Peppino, Luca” e altri dieci… l’inferno sulla terra. Una normale telefonata di cinque minuti si trasforma in un incubo di mezz’ora per dieci persone. Ma è un gesto purtroppo quasi automatico, e, a mio avviso, sbagliato. Già metà delle telefonate potrebbe essere sostituita da un messaggio email, figuriamoci se serve una videoconferenza, dove i primi dieci minuti si buttano via a domandare “Mi vedete? Mi sentite?”.
Quindi sì alle riunioni online, ma solo se strettamente necessarie e con le persone minime giuste. Il tempo è denaro e non è solo un modo di dire, anzi.
Quando i webinar funzionano e quando no
Un’altra cosa che si è profondamente trasformata sono i seminari e i corsi: ormai tutto diviene webinar, corso remoto o evento in live streaming sulle piattaforme. Per quanto riguarda i corsi veri e propri, sono una manna dal cielo: io pure ne tengo diversi, sia per aziende sia per istituti scolastici e università. Anche i webinar possono essere molto utili, sia come introduzione per corsi più approfonditi sia come attività di marketing, e non solo per enti di formazione. Promuovere il proprio prodotto o servizio facendo un webinar ha un certo senso, se è organizzato in modo da essere un momento di crescita, di informazione realmente utile e su piattaforme chiuse, possibilmente su registrazione. Il senso di “occasione da non sprecare” deve essere grande, così l’attenzione aumenta e le persone saranno più invogliate a interagire, stando nell’ambito di un luogo circoscritto.
Altra cosa sono i webinar organizzati come trasmissioni in diretta su Facebook e YouTube. Secondo me non hanno alcun senso. Una live di questo tipo, vissuta come una sorta di programma televisivo (a volte radiofonico perché messo in sottofondo solo come ascolto), non si adatta a contenuti da seminario, soprattutto se in solitaria e con le slide. Le slide infatti sono un altro degli incubi della comunicazione, usate troppo spesso come canovaccio per lo speaker anziché come strumenti a supporto del racconto. Ho visto webinar dove in una singola slide c’era più testo della Divina Commedia: brutto, illeggibile, inutile.
Completamente fuori contesto per una diretta sulle piattaforme social, che richiede continuo richiamo all’attenzione e trucchi da TV per mantenere vivo l’interesse. Bisogna ricordarsi che quello delle live è un pubblico “casual”: per la maggior parte passa di lì per caso; sono pochi quelli che arrivano perché si sono iscritti o hanno memorizzato la data, e non sentono nemmeno la pressione dell’effetto “classe”; soprattutto, partecipando in forma completamente anonima. Per questo spesso i numeri online oscillano di continuo. Quindi, per riassumere: webinar sì, se a numero chiuso e su piattaforme dedicate; meglio evitare invece eventi aperti e diffusi con una diretta social generica.
Live streaming: tra format e piattaforme in crisi
Ovviamente, qui stiamo facendo un discorso generale e orientato al lavoro e al business, anche se in parte applicabile alla vita privata, soprattutto se siamo liberi professionisti o consulenti. C’è però sempre da considerare il caso specifico e le necessità, per trovare il giusto equilibrio.
Tornando alle dirette, c’è tutta la parte che negli anni è emersa con prepotenza, complice la facilità di trasmissione e le tante piattaforme che rendono agevole un lavoro di regia multicamera. Ho avuto la fortuna di creare un format divulgativo nel 2020 come spin-off del mio programma TV: ogni live era seguita da moltissime persone, erano tavole rotonde con diversi ospiti, ogni volta un argomento diverso. Ma era un anno particolare, non avevamo altro da fare se non stare in casa e la sera le scelte alternative a uno schermo erano poche. Oggi le cose sono molto cambiate e trasformare ogni evento in una diretta inizia a essere una scelta trita e ritrita. Più che il mezzo di diffusione, conta il format, l’idea e l’attrattività costante per tutta la trasmissione.
Una delle problematiche delle live, anche quando hanno un certo appeal, però, va imputata soprattutto alle piattaforme, in primis Facebook, che è stata la porta di ingresso a questo media interattivo, ma che in cinque anni non è riuscita, a mio parere, a capire bene come monetizzare e sfruttare a proprio vantaggio i contenuti dal vivo. Così, mese dopo mese, anno dopo anno, la reach organica è scemata sempre di più, assieme all’interesse della piattaforma. Molti sono passati da show con centinaia o migliaia di spettatori a poche decine, anche con format interessanti. Se una piattaforma non riesce a monetizzare come si deve una tipologia di contenuto, soprattutto se richiede molte risorse, tende a nasconderla. Così le live sono passate dal (quasi) contenuto principale di qualche anno fa a un semplice corollario secondario. Anche la scelta di Meta di non mantenere più archiviati i video delle dirette ma cancellarli automaticamente dopo un mese è un segno dei tempi e, soprattutto, del disinteresse per il formato “dal vivo”. Eliminare i video, indipendentemente dai numeri che hanno fatto, dopo 30 giorni è la “pietra sopra” che mi aspettavo da tempo.
L’alternativa alla comunicazione in diretta
Riguardo agli eventi fisici, c’è poi la possibilità di trasmetterli online in tempo reale. Lo abbiamo fatto anche noi del Digital Security Festival. Serve però un certo impegno tecnico e di personale, soprattutto se vogliamo una diretta di qualità, con almeno due o tre inquadrature diverse, un audio preso dai microfoni e, come minimo, un operatore alla regia (hardware o software). Qui la cosa si fa interessante e può generare numeri apprezzabili, soprattutto se l’evento fisico ha una certa rilevanza. Molte persone, attratte dall’importanza dell’evento, potrebbero seguire la diretta o almeno una sua parte, o la differita registrata. Come risultato secondario, avremo il nostro evento ben registrato e utilizzabile nel tempo, magari con estratti, interventi da riproporre sui social o micro video per popolare storie, reel e short. Utile, interessante, strategico. Però dobbiamo considerare che così si potrebbe depotenziare la presenza fisica: sebbene sia “oro colato” per chi abita a centinaia di chilometri dalla sede dell’appuntamento, risulta altrettanto comodo per chi è in zona, che potrebbe scegliere di restare a casa. Insomma, va valutato se ne vale la pena.
Ma al di là di tutti questi tipi di comunicazione video in tempo reale, la questione più generale è: ne abbiamo davvero bisogno? Ci migliora davvero l’esistenza passare le giornate a guardare, organizzare o partecipare a incontri tramite uno schermo?
Secondo me no. Ogni giorno abbiamo sempre più distrazioni e viviamo in uno stato di iperconnessione e infodemia che, davvero, rasenta l’inferno. Ritengo che non siamo più in grado di prestare la giusta attenzione a un video, anche se è in diretta, per troppo tempo. Ci siamo auto-programmati per “subire” il flusso video, piuttosto che viverlo con il giusto coinvolgimento: assistiamo a tutto in modo piatto, senza sussulti, che si tratti di un webinar o di una riunione strategica per analizzare il budget.
Quindi, a mio parere, prima di trasformare qualsiasi cosa in una live, fermiamoci a pensare se esiste un’alternativa, un modo per renderci la vita più semplice.
Se c’è bisogno di scambiare poche informazioni, a volte basta un’email ben strutturata oppure un semplice messaggio, senza dover costringere tutti a una videocall. Per la formazione più approfondita, invece, possiamo ricorrere a piattaforme asincrone: video registrati, materiali scaricabili e un momento di Q&A periodico. In questo modo, evitiamo di imporre orari fissi a tutti e riduciamo il rischio di “saturare” l’attenzione. Anche in questo caso la valutazione è abbastanza personale.
Prima di programmare un evento live, conviene chiedersi se l’interazione in tempo reale è davvero fondamentale, o se basta una comunicazione differita. Valutiamo il numero di partecipanti, l’importanza di un feedback immediato e la complessità tecnica richiesta: se questi fattori sono elevati, allora la diretta può fare la differenza. Altrimenti, meglio un approccio più snello e flessibile.
Forse scopriremo che una semplice email ben scritta vale più di mille call.