L’Unione Europea rappresenta uno dei progetti politici più ambiziosi della Storia; tuttavia, è ancora incompiuta in molte sue parti (politica comune, difesa, debito, fisco) e, soprattutto, è irrisolta la questione dell’appartenenza che passa per una lingua comune.
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L’irrisolta questione della lingua comune europea
È una Torre di Babele 2.0 in cui il multilinguismo è sia un valore che un ostacolo. Siamo 730 milioni e parliamo oltre 150 lingue: 98 milioni parlano tedesco, 69 francese, 67 inglese, 64 italiano, 49 spagnolo, 38 polacco, 22 rumeno, 17 olandese, senza dimenticare il danese, il portoghese, il greco, lo svedese, il russo, il norvegese, l’albanese, celtico, croato, lituano, turco, serbo…c’è perfino una lingua inventata, sintetica, l’esperanto!
Sicuramente una lingua comune avrebbe migliorato, accelerato e rafforzato il processo di unificazione. Non è facile perché la lingua è una questione intima, non solo identitaria, ma proprio affettiva. Abbiamo sperato più volte che i baby boomers, la generazione X o i millennials si avviassero a un vero bilinguismo tale da potersi sentire pienamente europei.
Il multilinguismo è, in linea di principio, una bella idea ma nella prassi limita il senso d’appartenenza, la partecipazione democratica, l’integrazione, l’equità, la circolazione della conoscenza… L’incomunicabilità è un deficit civico, un costo, un freno allo sviluppo…
I limiti dell’inglese e le strade mancate
Sarebbe bello se fossimo così generosi e intelligenti da scegliere una lingua e renderla patrimonio comune, minimo comun denominatore di tutti. Ma i veti incrociati e lo sciovinismo hanno bloccato ogni ipotesi sul nascere. Solo una parte della popolazione, una quota variabile da paese a paese, è in grado di sostenere una conversazione, fare una bella litigata, spiegare in modo preciso una propria posizione non nella propria lingua madre (ritorna l’idea di un legame para-biologico). L’inglese è una soluzione che non scalda il cuore: lo si usa per lavorare, sui social, per la musica, per la tecnologia o per viaggiare. Spesso lo si parla male, lo si capisce poco. Per molti è un limite, un freno.
Quindi, pragmaticamente, la via positiva, educativa non ha funzionato e allora proviamo con la tecnologia. Parlare più lingue è una straordinaria opportunità per assimilare culture e conoscere biodiversità; tuttavia, se è limitata ad una piccola parte della popolazione non raggiunge lo scopo di essere un collante tra diversi tessuti sociali. Latino e greco sono la base su cui si costruisce la cultura classica, studiarle è un esercizio formidabile, ma elitario.
La spinta della passione e il ruolo della tecnologia
Adesso serve capirsi perché è il prerequisito per comprendersi in un mondo complesso, avvicinarsi umanamente, superare pregiudizi e diffidenze, narrazioni false o pretestuose, semplificazioni e iperboli buone a convincere chi si accontenta di soluzioni facili e semplici.
È esperienza comune che per imparare una lingua la spinta di una passione (la musica, gli amici, la fidanzata, lo sport, lo studio, la TV, i social) è fondamentale perché rende gli sforzi leggeri. Vietare o imporre ottiene solitamente l’effetto contrario a quello desiderato.
Verso un’infrastruttura linguistica digitale
La tecnologia ci offre l’opportunità di parlare con chiunque nella nostra lingua preferita e farsi ascoltare in quella preferita dal nostro interlocutore. Possiamo, simultaneamente, vederci negli occhi, notare il rossore dell’imbarazzo, l’emozione nel battito delle ciglia. Stiamo arrivando a un traduttore quasi sensoriale, che lavora sul piano linguistico, su quello visivo, su quello grafico. Non solo la fedele traduzione, ma il tono della voce, l’esitazione nel parlare che tradisce l’emozione più autentica, il termine gergale, la musicalità specifica delle varie lingue, le cadenze locali, non fredde riproduzioni sintetizzate. Manca l’odore, ma ci arriveremo presto, è solo una questione di tempo, e poi potremo dire di aver superato i limiti di traduzione tra lingue grazie a una app del computer, del telefono o degli occhiali.
Negli ultimi anni, la tecnologia ha aperto nuove prospettive. I progressi nella traduzione automatica, nella sintesi vocale, nel riconoscimento linguistico e nelle interfacce multilingue basate sull’intelligenza artificiale stanno rivoluzionando il modo in cui comunichiamo. Strumenti di traduzione (Google Translate, DeepL, Babel) e le piattaforme di comunicazione (Zoom, Teams, Whatapp.) rendono oggi possibile dialogare in tempo reale tra parlanti di lingue diverse, con una precisione e fluidità impensabili fino a pochi anni fa.
La tecnologia, però, non propone una lingua unica, bensì una “infrastruttura linguistica digitale”: un ecosistema in cui ogni cittadino può esprimersi nella propria lingua madre e comprendere qualunque altra, grazie a una rete invisibile di traduzioni automatiche, sottotitoli in tempo reale, assistenti vocali e testi multilingue generati dall’IA. Questa prospettiva capovolge l’approccio tradizionale: non si impone una lingua, si garantisce l’interconnessione, la reciproca fedele comprensione di ogni singola sfumatura gergale.
L’europeo digitale non è una lingua in senso stretto ma, piuttosto, una piattaforma tecnologica che abbatte le barriere linguistiche senza cancellare le identità. Offre un multilinguismo aumentato, in cui si amplificano le interazioni, aumentano le percezioni, le esperienze sono immersive e interattive. Più di una lingua, un transfert semantico.
Prospettive sociali, culturali ed economiche
L’atavica diaspora dei popoli sta per essere ricomposta grazie a una app semantica, un programma informatico. Sarebbe straordinario!
Potremo corteggiare una ragazza irlandese parlando in moldavo o discutere di sport con un norvegese parlando in romano. Potremo presto parlare a più persone, mischiando decine di idiomi, restituendo una fedele, empatica e colorata parlata nella lingua che si preferisce.
La dote di conoscenze, la varietà di competenze e il capitale umano di 730 milioni di persone è di per sé un poderoso motore epistemico (Mandrone, 2025), che da un lato rappresenta un volano per le conquiste sociali e civili e, dall’altro, un potenziale economico e tecnologico.
Presto un singolo telegiornale o talk show o commento sportivo potrà essere ascoltato nella propria lingua, e tutti potremo commentare o interagire nella loro lingua ovvero con facilità e proprietà di linguaggio. L’idea che una app possa svolgere un’importante opera unificatrice come quella che fece la TV del professor Manzi negli anni ’60. Anche il titolo va ancora bene: “non è mai troppo tardi” per comprendere le reciproche idee, costumi, ragioni. Con calma, con termini semplici, ma senza intermediazione che aggiungono sovrastrutture, lenti che rendono la visione opache, corpi intermedi che alimentano i contrasti…
La costruzione dell’Europa è stata ostacolata da molte visioni divergenti, miopia diffusa, diffidenze ataviche, sane antipatie, da gusti e sensibilità diverse, da interessi economici ovvero dalla difficoltà di confrontarsi, intendersi e capirsi, come un solo popolo. Oggi ai suoi confini barbari di varia provenienza spargono sangue e calpestano diritti e istituzioni civili, sociali ed economiche, ora con le armi ora con la tecnologia, ora col denaro.
Nonostante la qualità della vita degli europei, da alcuni anni stanno riaffiorando molte forze centrifughe: dopo lo slancio degli anni ’80, la formula della comunità europea ha perso di attrattività e i nazionalismi – economici, politici e culturali – hanno ripreso a spingere, contrastando quell’entusiasmo per un continente libero da frontiere, da cortine, da passaporti e ricco di principi meravigliosi che tutti, finalmente, potevano esigere, un faro per l’umanità tutta, un processo di unione pacifica tra popoli che pure si erano combattuti per millenni.
Una relazione fragile e ancora incompiuta
Questa luna di miele è finita, travolta da un ménage stanco, senza entusiasmo, scandito dalle rate del mutuo e dalle riunioni di condominio. La passione è finita. Ci si barcamena tra un Euro 6 e le bollette della luce. L’attrazione che ha messo insieme 27 nazioni non c’è più, ha lasciato il posto alla pace dei sensi. L’equilibrio ha preso il posto della armonia.
Superato l’ultimo ostacolo, la sfida sarà di costruire l’Europa, di ristrutturare la casa comune con nuovi diritti, risorse, valori. “L’incomunicabilità non è una mancanza di mezzi ma di volontà” – notava Antonioni – “è l’assenza di interesse per l’altro il vero problema”
L’Europa è una famiglia giovane, fragile, ancora piena di dubbi e insicurezza. È una relazione tribolata, come tante oggi giorno. Sono andati a vivere sotto lo stesso tetto (Frontiere), hanno cointestato il mutuo (PNRR), ma hanno scelto la separazione dei beni (ognuno ha il suo debito pubblico) e si tengono la propria macchina (Difesa) anche se non la usano quasi mai e gli costa tanto e hanno tenuto il riconoscimento facciale per usare lo smartphone (o i Servizi Segreti). Quando litigano minacciamo di andarcene e rivendicano i loro spazi (Sovranità), poi si accordano: lei mercoledì yoga, lui lunedì calcetto, venerdì sushi (con gli amici). Sono in quella fase in cui o si fa un figlio (Europa Politica) o ci si lascia.
Curioso che nella società dell’informazione il maggior problema rimanga l’incomunicabilità. Chissà che una app semantica non ci apra gli occhi più di un terapista di coppia o di Trump.
Bibliografia
Michele Guerra, (2013), Lo sguardo smarrito: riflessioni intorno a Il grido di Michelangelo Antonioni, Ricerche di S/Confine
Emiliano Mandrone, (2025), La questione epistemologica nella società della informazione, Working Paper Inapp.
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