Per molti centri di ricerca a livello internazionale e in numerosi Paesi, la politica industriale sta tornando al centro della riflessione e del dibattito, anche se è stata di fatto praticata anche durante gli ultimi cinque decenni di predominio del cosiddetto “liberal international rule-based order” (Allison, 2018), come dimostra l’analisi di 50 anni (1970-2020) di politica industriale negli USA (PIIE, 2021). In effetti, però, molto è cambiato negli ultimi tre decenni.
Ripensare la politica industriale per una nuova era
In seguito ad alcuni fattori dirompenti:
- dinamica esponenziale del progresso tecnico-scientifico, che ha innescato la creazione di quello che si può definire “universo fisico-cibernetico”[1].
- Forti tensioni geo-economiche, in seguito ai processi di globalizzazione tecno-economica e alla conseguente formazione di reti globali sul piano economico-produttivo, finanziario e soprattutto nell’universo informativo, dove le società Big Tech gestiscono i flussi di informazioni e sviluppano modelli di business, che influenzano i feedback[2] tra gli utilizzatori dei social per una varietà di obiettivi complementari (socio-economici, politici, tendenzialmente monopolistici).
- Grandi sfide globali (Reid et al., 2010), connesse proprio ai prevalenti modelli di produzione e consumo, i quali comportano crisi climatica ed energetica, scarsità di materie prime e materiali strategici alla base dei dispositivi computazionali presenti ovunque, insorgenze di problematiche sanitarie con veloce diffusione collettiva.
- Rapido aumento delle tensioni geo-politiche, strettamente intrecciate ai precedenti fattori e al riaccendersi di finora sopite rivalità politico-militari e socio-etniche[3].
Lo scenario complessivo è pertanto generatore di incertezza, imprevedibilità, insicurezza, ansietà, mentre è in corso una dinamica tecnico-scientifica di fatto incontrollabile, che ingenera la necessità di ripensare processi e prodotti dalla nanoscala a quella globale, alla luce delle molteplici ripercussioni che essi hanno nei vari ambiti, da cui scaturiscono sfide che tutta l’umanità è chiamata ad affrontare. Occorre partire dalla consapevolezza che siamo nel pieno di un processo estremamente complicato di trasformazioni multidimensionali, con un crescente grado di complessità sistemica.Tutto ciò richiede interventi differenti da quelli del passato e appare fondato ritenere che “The New era of industrial policy is here” (Shih, 2023).
Ridefinire i fondamenti del modo di pensare nel corso di una era di profonde trasformazioni
L’epoca odierna vede il progressivo affievolirsi del ruolo di attori economico-produttivi, che hanno fatto la storia del secolo scorso, e l’entrata in gioco di nuovi protagonisti, che hanno un potere inimmaginabile solo qualche anno fa. Ne deriva che sono destinate a cambiare profondamente le modalità di interazione tra soggetti pubblici e privati, insieme al mutamento delle funzioni degli operatori istituzionali, che devono anche misurarsi con i problemi emergenti nei vari contesti nazionali e locali.
La politica industriale diviene quindi, necessariamente, un banco di prova per la capacità di soggetti pubblici di misurarsi con le sfide globali, in una fase storica di tendenziale declino della globalizzazione degli ultimi decenni e caratterizzata dall’emergere della consapevolezza che la visione incentrata sull’assoluta libertà del mercato abbia provocato squilibri distruttivi del sistema capitalistico.
Dallo shareholder allo stakeholder capitalism
La versione manageriale di questo orizzonte strategico è stata –e ancora è in alcuni Paesi come l’Italia- il principio dello “shareholder capitalism”, cioè obiettivo dell’impresa è creare valore per gli azionisti, come aveva enunciato nel 1970 il monetarista Milton Friedman sul New York Times Magazine. Per contro nel 2019 un Manifesto della Business Roundtable, con le firme di quasi 200 manager delle più importanti imprese USA, ha delineato un nuovo paradigma, lo stakeholder capitalism, indicando che obiettivo dell’impresa è creare benessere per i portatori di interesse quali occupati e comunità di appartenenza, oltre che l’impresa stessa. Questa “rottura epistemologica” con la cultura prevalente è il segnale che i cambiamenti sono tali da richiedere un ripensamento profondo dei tradizionali schemi di pensiero, essendo consapevoli che occorre ridefinire produzione e consumo, insieme alle relazioni tra i vari attori.
Data l’estensione e la profondità dei mutamenti in atto, appare logico ritenere che la politica industriale debba assumere nuove peculiarità rispetto al passato, partendo dai problemi in essere.
Successi e fallimenti e della politica industriale mission oriented
Così negli USA la politica industriale degli anni ’60-’70 e primi anni ’80 è stata “mission oriented”, come la “Missione Apollo”, culminata con lo sbarco sulla Luna e basata sulla capacità di soggetti istituzionali (ad es. il DARPA) di finanziare e coordinare progetti ambiziosi coinvolgendo attori pubblici e privati in grandi progetti, i quali hanno segnato la storia della seconda metà del XX secolo: Internet, GPS, traduzione del parlato, arseniuro di gallio (semiconduttore), Stealth (bombardiere invisibile ai radar), Google maps, Windows e World Wide Web, e tanti altri). Ci sono però stati anche progetti fallimentari, quali: Solyndra, creata nel 1980 per produrre pannelli solari, a cui ha partecipato anche Elon Musk; Synthetic Fuel Corporation, che avrebbe dovuto produrre carburante sintetico, sostitutivo di quello proveniente dal Medio Oriente e quindi tale da rendere gli Usa meno vulnerabili alle crisi insorgenti nel Golfo Persico.
Gli anni ’80 hanno visto altri fallimenti di politica industriale “mission oriented”, questa volta in Europa, come nel caso del famoso aereo supersonico Concorde, prodotto franco-inglese, che non vola più dal 2003, dopo enormi perdite. Il decennio ’80 segna anche l’inizio dell’accettazione entusiasta del “credo” friedmaniano, relativo allo shareholder capitalism, che assumerà forme peculiari nei vari Paesi, a seconda dei contesti politico-istituzionali.
La politica industriale dell’Estremo Oriente
In Paesi dell’Estremo Oriente, invece, la politica industriale sviluppatasi fino al secondo decennio di questo secolo ha avuto come protagonisti sia l’apparato pubblico, in grado di erogare finanziamenti ed esercitare un ruolo di guida strategica, sia operatori privati, che hanno collaborato efficacemente alla realizzazione di direttrici strategiche di innovazione dell’industria. Giappone, Corea, Taiwan sono la dimostrazione di come si attuano strategie correlate a trend previsti in anticipo: auto ibride ed elettriche, processori, componenti elettroniche estremamente avanzate. Hanno peraltro beneficiato di collaborazioni con entità dell’Occidente sviluppato.
È solo nel secondo decennio del XXI secolo che in Europa e negli Usa appare la consapevolezza che occorre cambiare profondamente il tessuto socio-economico e produttivo, perché con la globalizzazione e le catene del valore distribuite a livello internazionale, alla ricerca di minori costi e di maggior valore per gli azionisti, l’analisi e l’elaborazione strategica di medio-lungo periodo sono state abbandonate, con il risultato di trovarsi impreparati di fronte a sfide globali. Inizia così una fase di revisione delle strategie di politica industriale, con l’emanazione di misure legislative miranti ad affrontare alcune delle sfide. Gli Stati Uniti hanno emanato provvedimenti importanti come Infrastructure Investment and Jobs Act (IIJA) nel 2021, Inflation Reduction Act (IRA) nel 2022, CHIPS and Science Act nel 2022. Per quanto riguarda l’Europa, sono noti i progetti Horizon 2020, European Green Deal, Strategic Forum for Important Projects of Common European Interest (IPCEI) con significativi importi finanziari (Shih, 2023).
La strategia della Cina
Nel frattempo, però, la Cina ha effettuato una serie di azioni strategiche di vario tipo: dal Made in China 2025 e Belt and Road Initiative (BRI) al sostegno della Commercial Aircraft Corporation of China (COMAC) per la produzione di un aereo passeggeri analogo all’Airbus anglo-francese. La Cina ha quindi sviluppato una politica industriale ad ampio raggio: oltre a misure ad ampio raggio, mettendo in atto disegni mirati in ambiti di rilevanza strategica quali: sorgenti luminose a stato solido, energia eolica, pannelli solari, industria manifatturiera con particolare focus sulla produzione di auto elettriche. Il tutto completato con incentivi ai produttori cinesi di auto elettriche e ai consumatori per l’acquisto dei relativi veicoli di produzione nazionale.
Non è quindi un caso che due imprese (CATL e BYD) siano diventate leader mondiali nel produrre batterie al litio. La Cina è così diventata leader in ambiti strategici, mentre gli USA e l’Europa (sia le imprese che le istituzioni) hanno compreso in ritardo la necessità di adottare strategie differenti da quelle dell’“epoca d’oro” della globalizzazione, quando i profitti in continuo aumento sono stati destinati soprattutto a dividendi e molto meno a investimenti strategici. Gli Usa hanno comunque cercato di reagire, mossi da una forte tensione competitiva con la Cina, mediante la concessione di sussidi e prestiti alle imprese, l’introduzione di tariffe sulle importazioni e di ampi incentivi fiscali, ad esempio nell’insieme di misure contenute nel Federal Advanced Manufacturing Production Tax Credit dell’Inflation Reduction Act.
Ritardi e risposte occidentali
Le risposte cinesi hanno indotto altri Paesi ad intervenire a loro volta. Ad esempio l’Europa con il Green Deal Industrial Plan e la Corea con il K-Chips Act, mentre gli stessi USA hanno cercato di ampliare il set di Paesi coordinati con la proposta del Presidente Biden di una Chip 4 Alliance, comprendente Giappone, Corea del Sud e Taiwan. I G7 hanno poi tentato di affrontare i rischi connessi alla supply chain dei minerali critici per i semiconduttori e l’Inghilterra ha iniziato una partnership con il Giappone nel campo dei semiconduttori.
Interdipendenze economiche e politiche
Dall’analisi appena svolta emergono alcuni elementi fondamentali:
- il ritardo dei Paesi occidentali nel percepire l’importanza di adottare nuove direttrici strategiche, peraltro connesse a innovazioni disruptive da essi stessi introdotti.
- Attori pubblici e privati, in primis i loro leader, hanno mostrato una tardiva consapevolezza della necessità di cambiare paradigmi decisionali, sia nel campo del business che sul terreno dell’operatività istituzionale e delle interazioni pubblico-privato. In breve, è prevalsa una resistenza culturale diffusa a vari livelli, da cui è derivata un’impreparazione di fondo. Ovviamente l’attaccamento a una cultura economica e politico-istituzionale inadeguata dipende anche dal timore di mutamenti delle relazioni di potere consolidate nel cosiddetto “trentennio glorioso”, ovvero i decenni di sviluppo postbellico e consolidamento egemonico di determinate economie a livello mondiale.
Coordinamento strategico e sfide cibernetiche
Le sfide generate dalla trasformazione fisico-cibernetica in atto richiedono lo sviluppo di forme di coordinamento strategico multi-scala a livello internazionale, data la natura dei problemi da affrontare, che non possono essere risolti con interventi unilaterali, Anzi, essendo le interdipendenze economico-produttive e politico-istituzionali molto diffuse e variabili, solo azioni coordinate tra una pluralità attori possono sperare di essere efficaci. Bisogna infatti tenere presente che, come ha argomentato Michael Pettis (2024) a proposito degli Stati Uniti, in un mondo iperglobalizzato la politica industriale di un Paese ha comunque conseguenze sulle economie di altri Paesi, a maggior ragione se si tiene presente che nel 2023 erano attivi nel mondo ben 2500 interventi di politica industriale, così distribuiti (Tab. 1).
Tab. 1 Le nuove politiche industriali per regione

Fonte: IMF, 2024a, Tab. 5
Politica industriale e globalizzazione
Esemplare a questo riguardo è quanto è avvenuto negli ultimi decenni. Le politiche industriali dei Paesi prima indicati hanno generato surplus commerciali e corrispondenti deficit negli Usa, con riduzione significativa del settore manifatturiero. Al tempo stesso nei Paesi con surplus si è generato un eccesso di risparmio che, dato il ruolo dominante degli Usa nel mondo della finanza, è affluito soprattutto negli Usa, divenuto “absorber of last resort” dell’eccesso di risparmio globale, alimentando oltre misura il processo di “finanziarizzazione” (financialisation) del mondo, che dovrebbe preoccupare tutti (Tett, 2023). Infatti il McKinsey Global Institute (MGI, 2023) ha calcolato che negli ultimi venti anni “The past two decades have generated $160 trillion in paper wealth but sluggish growth and rising inequality. What comes next?”.
Tornando alla politica industriale, in un mondo interconnesso e con crescenti asimmetrie tra Paesi in ambiti cruciali del sistema globale, un Paese differente dagli Usa può reagire alle politiche industriali altrui in due modi:
- Adesione al credo dei “Confused economists” (definizione di Pettis) fiduciosi nell’azione del “libero mercato” e nella libertà degli scambi, il che implica subire gli effetti dei Governi che effettuano scelte strategiche e avviarsi ad un declino di settori tradizionalmente proficui.
- Sviluppare capacità di elaborazione strateica, che si basa sull’analisi del proprio posizionamento rispetto alla frontiera tecnico-scientifica e delle opzioni possibili alla luce del potenziale esistente e di quello da attivare. Su questa base si dovrebbero poi elaborazione disegni di trasformazione, sviluppando partnership con operatori privati. Deve essere chiaro, però, che ciò è possibile solo se nella sfera pubblica esiste una tecnostruttura all’altezza, ovvero team di competenze multiple, che possano interagire con gli attori privati. Sarebbe da evitare, a nostro avviso, lo scenario proposto da Shih (2024), secondo il quale i corporate executives hanno il compito di “educating…. today’s lawmakers” circa la necessità di superare i tradizionali approcci, basati su incentivi monetari e fiscali. È facile immaginare gli effetti distopici di questa asimmetria culturale, ove si pensi agli essenziali cambiamenti di visione proposti dalla Business Roundtable, prima citata, e alla vischiosità con cui determinati cambiamenti di cultura sono recepiti. È d’altra parte assolutamente necessario un radicale ed esteso processo di acculturazione digitale dell’intero sistema socio-economico e della popolazione tutta, data le discontinuità sistemiche generate dalle interconnessioni fisico-digitali (Lombardi, 2024).
Strategie multi-scala e cooperazione europea
In conclusione, quindi, non è in discussione se effettuare politica industriale, bensì di farla bene, ovvero ancorata a principi generali e operativi appropriati per l’odierna fase di intense trasformazioni.
Dai punti precedenti discende che gli interventi devono essere progettati per il medio-lungo periodo ed essere coordinati in alleanze-network multi-scala, perché misure unilaterali perdono di efficacia in un mondo di interdipendenze che attraversano continenti. Ciò è quanto sostiene ad esempio il Fondo Monetario Internazionale (IMF, 2024a) con l’intensificazioni le direttrici già poste in essere, dopo il superamento dell’evento pandemico.
Fig. 1

Fonte: IMF (2024b)
Un altro studio IMF (2024c) mostra come il successo della Politica industriale dipenda non da come si spende, bensì dallo spendere bene, dopo aver individuato priorità e dirigendo con efficacia le risorse Fig. 2
Fig. 2

Fonte IMF (2024c)
Di fronte a crisi sistemiche come quelle odierne, l’Europa ha dunque bisogno di azioni coordinate di politica industriale, perché quelle unilaterali possono provocare effetti di retroazione e comportamenti ostruttivi di altri protagonisti. Occorre pertanto sviluppare cooperazione strategico-progettuale a livello europeo, in modo che si possano ridurre asimmetrie conoscitive e di potere tra Stati, nonché tra questi ed entità economico-produttive, tecno-economico-finanziarie[4] (Big Tech). In questa prospettiva l’orizzonte strategico suggerito da più parti è quella di un singolo mercato europeo, entro il quale si mettano in opera strategie mirate, come ad esempio quella per la transizione green (IMF, 2024d) oppure per questa insieme ad una politica di difesa comune (Draghi Report, 2024).
Dall’evoluzione delle politiche industriali si evince il progressivo aumento di incidenza delle misure mirate su tecnologie dual use militare-civile (Fig. 3), finalità che ha un ruolo importante nel recente documento elaborato dal Governo italiano nell’ambito delle tre transizioni (green, tech, geo-politica) (Mimit, 2024)
Fig. 3 Politiche industriali distorsive per settore

Fonte: IMF (2024a, Fig.4)
Gli elementi esposti fondano la tesi che le dinamiche multi-dimensionali in atto possono essere affrontate solo se si realizza un profondo e generalizzato mutamento delle culture prevalenti nel tessuto socio-politico e istituzionale, grazie ad assunzioni più consone rispetto all’insieme dei problemi emergenti dalla triplice transizione indicata dal Mimit: green, tecnologica, geo-politica.
Le questioni dirompenti nei vari ambiti dell’universo fisico-cibernetico sono tutte strettamente connesse tra loro e non possono essere trattate in base a visioni esclusivamente specialistiche, ma occorrono approcci sistemici e interdisciplinari, che aiutino a ripensare i temi fondamentali fuori dagli schemi consolidati. È quindi da condividere, ad esempio, l’analisi di Temple (2022), che argomenta la seguente tesi: “We must fundamentally rethink the “net-zero” climate plans. Here are six ways …slash direct emissions… avoid effects …Invest in permanent carbon removal … Fund research and development …Move beyond renewable-energy credits… Push for policy”). Due casi esemplari a questo riguardo sono analizzati da Temple (2024) e O’Donnell (2024), che mettono in luce la poderosa crescita delle emissioni dei modelli come il modello di Open AI Sora (attualmente il triplo di quelle del 2018), confermate da uno studio, effettuato su 2132 data center degli USA da parte di team congiunti appartenenti a Harvard T.H. Chan School of Public Health e UCLA Fielding School of Public Health (Guidi G., 2024). L’evoluzione dell’intelligenza artificiale ha quindi effetti planetari immediati e richiede di pensare ex novo componenti hardware e software, modi di regolazione sociale, comportamenti dei consumatori, strategie di imprese, direttrici tecnico-scientifiche.
Una nuova politica industriale per un’era “stra-ordinaria”: perseguire la “sovranità tecnologica”
Scelte drastiche e radicalmente innovative in tema di politiche industriali si impongono, dunque, a partire dalla situazione esistente, ovvero dalla composizione odierna delle economie mondiali e dal potenziale raggiungibile da ciascuna di esse. Esaminiamo allora, tenendo presente i necessari limiti di questo contributo, la morfologia odierna del manifatturiero a livello mondiale. Dalla Fig. 4 emerge chiaramente il ruolo del tuto predominante della Cina
Fig. 4

Fonte: Statista (accesso 20-12-2024)
Il peso del manifatturiero sul Pil dei vari Paesi è molto diversificato (Fig. 5)
Fig. 5 Distribuzione del Pil tra i vari settori dell’economia in un gruppo selezionato di Paesi

Fonte: Statista (accesso 20-12-2024)
In Italia l’importanza del manifatturiero sul totale dell’economia è di assoluta rilevanza (Fig. 6).
Fig. 6 Distribuzione del Pil tra i vari settori dell’economia in Italia dal 2012 al 2022

Fonte: Statista (accesso 20-12-2024)
Una riflessione sulla politica industriale per il nostro Paese non può che avvenire in coerenza con i punti emersi finora. Ci limitiamo in questa sede ad indicare due ambiti strategici, decisivi per il perseguimento di qualsiasi obiettivo di medio-lungo periodo, specialmente se si intende preservare e rafforzare la produzione manifatturiera italiana, senza pregiudicare altre traiettorie, che anzi sono necessariamente complementari.
Importanza della sovranità tecnologica
Le tensioni competitive sul piano geopolitico, economico e tecnico-scientifico non possono prescindere dalla considerazione che il fattore essenziale sia oggi costituito dall’infrastruttura tecnologica, la quale circonda e permea i processi fisici e sociali, influenzandone la dinamica con diffusi meccanismi di controllo. Sulla base di questa considerazione è da ritenere fondamentale il perseguimento della technological sovereignty, concepita come “the ability of a state or a federation of states to provide the technologies it deems critical for its welfare, competitiveness, and ability to act, and to be able to develop these or source them from other economic areas without one-sided structural dependency” (Edler, 2020; 2023: 2). Non si tratta di autarchia, bensì di autonomia tecnico-scientifica, cioè sviluppo della dotazione materiale e immateriale che consentano l’indipendenza strategica nella realizzazione di progetti di sviluppo settoriale e/o multisettoriale.
La riduzione e il tendenziale azzeramento della dipendenza strategica significa stabilità o resilienza nell’acquisizione delle componenti fondamentali per realizzare l’infrastruttura, sulle fondamenta della quale si possono rendere operativi progetti di innovazione diffusa. Perseguire la sovranità tecnologica implica il superamento di ottiche prettamente nazionali e costruire reti sovranazionali per creare le condizioni idonee ai fini di una dinamica multi-scala negli ambiti socio-economici ritenuti cruciali per il proprio Paese. Nel caso dell’Italia potrebbe essere il manifatturiero e il Made in Italy, ma bisogna trascurare introdurre nella riflessione nuovi campi di attività, a partire da quello dei servizi avanzati di sistema. Questo discorso vale ancora di più se si pone mente all’odierno intreccio tra competizione economica e competizione geopolitica globale. Il che richiede un coordinamento sovranazionale e lo sviluppo di strategie cooperative transcontinentali, specie in riferimento al dato ineludibile che i materiali critici e le terre rare, input basilari per i dispositivi computazionali, non sono disponibili ovunque, ma concentrati in determinate aree e sotto il controllo di alcuni Paesi-chiave, come la Cina.
Risorse strategiche e ruolo dell’Africa
La disponibilità di materiali critici e terre rare può essere una chiave di volta per disegni strategici che vedano protagonisti l’Italia e l’Europa. I dati sulla distribuzione mondiale di materiali critici mostrano la funzione cruciale dell’Africa negli scenari che stiamo delineando in questo scritto (Fig. 7).
Fig. 7

Fonte: Unctad, 2022
Per quanto riguarda le terre rare, invece, l’assoluta preponderanza della Cina è chiara, il che dovrebbe indurre a prudenti riflessioni in tema di conflitti.
Fig. 8 Distribuzione mondiale della produzione di terre rare

Fonte: Statista accesso (16-12-2024)
L’Africa potrebbe però svolgere una funzione decisiva in questo campo, qualora si riuscisse ad elaborare una strategia multicountry (Sudafrica, Angola, Malawi) (Brookings Istitution, 2022). L’analisi svolta porta a ritenere che l’Africa, come sostengono alcuni studi, possa diventare il centro propulsore di un modello di sviluppo globale, connesso alle molteplici sfide che l’umanità deve affrontare: crisi climatica, transizione ecologica, nuove modalità di sviluppo del rapporto tra Umanità e Natura. Può a prima vista sembrare paradossale che il Mediterraneo possa avere una centralità in un mondo come quello odierno, basato sulle interdipendenze multi-scala a livello globale: 1) filiere di produzione distribuite in molti paesi, come ad esempio l’automotive (KPMG, 2022), la fast fashion industry (WorldBank, 2024), i microprocessori (Lombardi, 2022). 2) Ormai non esiste attività produttiva che non sia organizzata attraverso reti multi-country, dal momento che esiste l’infrastruttura globale prima indicata.
Una politica industriale con protagoniste Italia ed Europa
L’analisi svolta induce a ritenere che una nuova politica industriale, correlata all’era odierna, debba definire priorità in termini di filiere strategiche da ripensare su nuove basi tecnico-scientifiche, con alla base una tecnostruttura pubblica di livello in grado di interagire con attori privati, anch’essi protagonisti di un proprio rinnovamento culturale-manageriale.
Centralità del mediterraneo e cooperazione
Ponendosi sempre in un orizzonte globale, è fondamentale ripensare le priorità per le relazioni tra Europa e Paesi del Sud Mediterraneo, tenendo presente che l’Unione Europea ha una debole capacità strategica, ma ha un enorme soft power. I conflitti in atto tra potenze globali e le conseguenze della crisi climatica rendono ancora una volta il Mediterraneo e l’Europa un crogiuolo decisivo per il futuro dell’umanità. È necessario elaborare nuove strategie incentrate sulla sostenibilità, ma a questo scopo è necessaria capacità di elaborazione strategica, fondata su nuove finalità invece di puri obiettivi di dominio.
Riferimenti
Allison G., 2018, The Myth of the Liberal Order, Foreign Affairs, Jul/Aug.
Brookings Institutions (Baskaran G.), 2022, Could Africa replace China as the world’s source of rare earth elements?, December 29.
Draghi M., 2024, EU competitiveness: Looking ahead, European Commission, September.
Edler J. et al., 2020, Technology sovereignty From demand to concept, Fraunhofer Institute for Systems and Innovation Research ISI.
Edler J. et al., 2023, Technology sovereignty as an emerging frame for innovation policy. Defining rationales, ends and means. Research Policy, 52: 1-12.
Guidi G. et al., 2024, Environmental Burden of United States Data Centers in the Artificial Intelligence Era, License: CC BY 4.0 arXiv:2411.09786v1 [cs.CY] 14, November 14.
HIIK The Heidelberg Institute for International Conflict Research), 2023, Conflict Barometer.
IMF, (Evenett S. et al.), 2024a, The Return of Industrial Policy in Data, January.
IMF (Kammer A., Hodge A., Piazza R.), 2024b, Europe Needs a Coordinated Approach to Industrial Policy, December.
IMF (Hodge A. et al.), 2024c, Industrial Policy in Europe. A Single Market Perspective, December.
IMF (Brandao Marques L., Toprak H.), 2024d, A Bitter Aftertast. How State Aid Affects Recipient Firms and Their Competitors in Europe, December.
KPMG, 2022, Vulnerable supply. Using an EEG and tech-based approach to secure the
future of supplì chains, Automotive industry insights.
Lombardi M., 12-10-2022, L’eco-sistema globale della produzione dei semiconduttori: una
gabbia dorata intorno al mondo, Agenda Digitale,
Lombardi M., 2024, Digital economy and digital Divide, in Surinder S. Jodka & Rebhein B. (eds), Global Handbook of Inequality, Springer.
McKinsey Global Institute (MGI), 2023, The future of wealth and growth hangs in the balance.
Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy), 2024, Made in Italy 2030. Libro Verde sulla Politica Industriale.
O’DonnellJ., 2024, AI’s emissions are about to skyrocket even further, MIT Technology Review, December 13.
Pettis M., 2024, Which Country Should Design U.S. Industrial Policy?, Carnegie Endowment for International Peace.
PIIE (Peterson Institute 2021
W. V. Reid et al., 2010, Earth system science for global sustainability: Grand challenges. Science 330, 916–917
Shih W.C. 2023, The New Era of Industrial Policy is here, Harvard Business Review, September-October.
Temple J. 2022, We must fundamentally rethinlk the “net-zero” climate plans. Here are six ways, MIT Technology Review, August 24
Temple J., 2024, Google, Amazon and the problem with Big Tech’s climate claims, MIT Technology Review, July 17
Tett G., 2023, Why we should be worried about the financialisation of our world, Financial Times, May 25.
Unctad, 2024, Critical minerals: Africa holds key to sustainable energy future, June 5.
Wiener N., 1968, Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, Il Saggiatore.
WorldBank, 2024, Food Security update, March 28.
Il riferimento è ai Fondi Globali che partecipano in modo significativo a reti produttive internazionali, come avviene nel caso delle Big Tech. La trattazione di questo tema esula dal presente contributo. ↑
“defined as the profound entrenchment of physical and digital processes, has created an information sphere that continuously (and actively) interacts with the real sphere” (Lombardi e Mazzoni, 2023), Questa prospettiva si ispira evidentemente alle idee di Wiener (1968: 35) sulla cibernetica: “Abbiamo deciso di chiamare l’intero campo della teoria del controllo e della comunicazione sia nella macchina che negli animali con il nome di cibernetica”. ↑
Bisogna mettere in rilievo che i concetti di feedback e catene di feedback sono basilari nella visione di Wiener (1968: Cap. IV). ↑
Si tenga presente che nel 2023 erano in corso nel mondo 369 conflitti, 220 dei quali violenti e 149 non violenti: 252 The Heidelberg Institute for International Conflict Research Publishes the Conflict Barometer conflitti interni a Stati e 58 tra Stati (HIIK, 2023) ↑