Nel flusso infinito dei social, tra post simili e contenuti ripetitivi, ogni tanto qualcosa ci spiazza: un video che non ha logica, una battuta che non porta da nessuna parte, un meme che ribalta le regole.
Pensiamo a certe clip virali su TikTok in cui un gesto banale, come pronunciare una parola, viene esasperato fino all’assurdo: ci fermiamo, ridiamo e lo riguardiamo più volte.
È il potere del nonsense, che ci cattura più di tanti contenuti costruiti con cura. Ma perché il nostro cervello sembra non resistere all’assurdo? La risposta sta nella psicologia e nella sociologia delle nostre interazioni digitali.
Il cervello umano va pensato come una macchina predittiva: si aspetta che il prossimo contenuto (un reel di viaggi, un balletto, un tutorial) sia simile a quello precedente. Perciò, quando ci imbattiamo in qualcosa di assurdo, la sorpresa suscitata dall’inaspettato attiva un “errore di previsione”. Ciò che si presenta dinanzi ai nostri occhi non era quello che immaginavamo e questo effetto-sorpresa amplifica la nostra esperienza: la ricordiamo meglio, la percepiamo come più forte e siamo più portati a condividerla. Studi come quelli di Loewenstein (2018)[1] e Clark (2017)[2] mostrano infatti che la sorpresa non è solo una reazione ma un vero e proprio meccanismo che tiene vivo il nostro interesse e ci spinge alla ricerca di novità. In un flusso visivo ininterrotto, questa pausa diventa quasi una ricompensa: uno stimolo che rinfresca l’attenzione e ci fa sentire di nuovo presenti.
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Nonsense sui social: perché la sorpresa ci fa ridere
A volte la sorpresa si traduce in divertimento e il nonsense ci strappa una risata. Ma perché accade? Secondo la teoria delle “violazioni benigne” di McGraw e Warren (2010)[3], proviamo divertimento quando una norma viene trasgredita purché ciò non rappresenti una reale minaccia. Che si tratti di un paradosso linguistico, un’immagine assurda, una situazione illogica o fuori dagli schemi, il cervello registra la violazione ma la percepisce come sicura.
È lo stesso meccanismo che rende irresistibili i trend “cringe” o i meme che giocano con situazioni imbarazzanti ma innocue: il disagio controllato diverte, perché è vissuto a distanza di sicurezza. Ed è proprio questo mix a generare la risata. Il nonsense diventa quindi una forma di comicità leggera, innocua, che abbassa le difese, ci sorprende e ci rende più propensi a guardare il contenuto fino alla fine, e magari a condividerlo con altri.
Come il nonsense sui social diventa perfetto da condividere
Trattandosi infatti di emozioni altamente sociali, sorpresa e divertimento non restano mai chiuse in noi: ci viene spontaneo raccontarle e mostrarle agli altri, in un atto di condivisione che rafforza il benessere individuale e la connessione con chi ci circonda (Lambert et al., 2012)[4]. Non è un caso se i contenuti nonsense diventano più virali di altri: più li condividiamo, più ci sentiamo parte di un’onda collettiva di risate e stupore.
Questa dinamica è incentivata dal fatto che sui social domina la logica della cultura partecipativa (Milner, 2016)[5], che da semplici spettatori ci trasforma in veri e propri creatori di contenuti: un video o un meme assurdo è perfetto da remixare, ripetere, ribaltare. Basta davvero pochissimo per aggiungere un proprio tocco, che sia un duetto, un filtro particolare o una qualsiasi altra variante prevista dalla piattaforma. Questa semplicità e accessibilità trasforma i contenuti nonsense in una materia prima che tutti possono plasmare senza bisogno di grandi competenze tecniche, entrando a far parte di un “gioco” che alimenta la creatività collettiva.
Meme e appartenenza: ridere insieme come collante sociale
Ridere insieme è infatti molto più che divertirsi, è un modo per rafforzare i legami. Un video nonsense visto in gruppo crea un momento condiviso che diventa un codice implicito di appartenenza, fungendo da collante sociale. Gli studi sociologici sui meme (Harbo, 2022[6]; Milner, 2016[7]) mostrano come questi funzionino da linguaggio condiviso: chi li capisce si riconosce come parte di una comunità che parla la stessa lingua (è come dire: “noi siamo dentro la stessa battuta”), chi non li coglie resta fuori dal cerchio.
Sui social, un gesto, un suono o un template che a prima vista sembrano assurdi diventano così segnali di riconoscimento, vere e proprie chiavi di accesso a un gruppo. Anche la dimensione generazionale gioca un ruolo importante: per molti under 30, i meme nonsense non sono solo divertenti ma una forma di linguaggio identitario. Capirli significa far parte del gruppo, non capirli equivale a restarne esclusi.
Dal linguaggio immediato alle inside joke digitali
Il nonsense si distingue inoltre per la sua immediatezza: essendo un linguaggio “low-context”, in cui il significato non è nascosto tra le righe ma si manifesta apertamente, è facile da cogliere. Tuttavia può diventare anche la base di inside jokes più raffinate, legate a chi partecipa attivamente al gioco.
In questo senso, il nonsense non è “vuoto”: è un linguaggio che, pur giocando con l’assurdo, crea confini e identità all’interno di un gruppo, dando vita a un codice culturale che viaggia più veloce di qualsiasi spiegazione e crea legami istantanei tra persone.
Il trionfo del nonsense sui social oltre la moda passeggera
Il trionfo del nonsense sui social non può quindi essere ridotto a una semplice moda passeggera. È un fenomeno frutto di dinamiche e meccanismi stratificati, che coinvolgono elementi di psicologia e sociologia: sorpresa, umorismo innocuo, condivisione emotiva, partecipazione collettiva e appartenenza.
In un mondo ormai saturo di contenuti simili tra loro, dove le informazioni viaggiano veloci e spesso si confondono in un mare di messaggi ripetitivi, l’assurdo emerge come un segnale forte e distintivo, capace di sorprendere, far ridere e creare legami inattesi. Come abbiamo visto, questo tipo di comunicazione si basa su un linguaggio semplice e universale, facilmente memorizzabile dal cervello umano e che la società digitale amplifica e diffonde.
Il nonsense, insomma, non è affatto “senza senso”: al contrario, è una delle chiavi più efficaci e potenti per comprendere come funzionano oggi la nostra attenzione, le nostre emozioni e il modo in cui si creano e si rafforzano le comunità digitali.
Note
[1] Loewenstein, J. (2018). Surprise, recipes for surprise, and social influence. Topics in Cognitive Science, 11(1), 178–193
[2] Clark, A. (2017). A nice surprise? Predictive processing and the active pursuit of novelty. Phenomenology and the Cognitive Sciences, 17(3), 521–534.
[3] McGraw, A. P., & Warren, C. (2010). Benign violations. Psychological Science, 21(8), 1141–1149.
[4] Lambert, N. M., Gwinn, A. M., Baumeister, R. F., Strachman, A., Washburn, I. J., Gable, S. L., & Fincham, F. D. (2012). A boost of positive affect: The perks of sharing positive experiences. Journal of Social and Personal Relationships, 30(1), 24-43.
[5] Milner, R. M. (2016). The world made meme.
[6] Harbo, T. F. (2022). Internet memes as knowledge practice in social movements: Rethinking Economics’ delegitimization of economists. Discourse Context & Media, 50, 100650.
[7] Milner, R. M. (2016). The world made meme.











