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Scuola 4.0: fare didattica con i meme per educare alla creatività e alla complessità



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Le molte tecnologie digitali che entreranno a scuola, il potenziamento delle reti e la formazione dei docenti per avviare sperimentazioni con l’AI avranno bisogno di creatività e progettazione didattica. Educare ad un uso coerente dei meme potrebbe essere una delle sfide per la scuola 4.0

Pubblicato il 2 giu 2023

Daniela Di Donato

Docente di italiano (Liceo scientifico), PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della Ricerca educativa presso Sapienza Università di Roma, esperta di metodologie didattiche, inclusione e uso delle tecnologie digitali a scuola.



Scuola digitale

Avete mai fatto un meme? Li avete mai letti? I meme sono artefatti digitali, che circolano in rete e sui social, con una diffusione molto rapida e spesso incontrollata. Le immagini ironiche e virali, accompagnate da un breve testo, hanno l’intenzione di comunicare, ma allo stesso tempo di provocare una reazione in chi le guarda.

I meme nella didattica

Didattizzare i contesti di apprendimento è una delle competenze principali del docente: lo sguardo di chi educa vede nei contesti quotidiani scenari potenziali per l’apprendimento. Per questo da diversi anni ho trasformato i meme in un artefatto metacognitivo e didattico contemporaneo, adatto a svelare i fraintendimenti, le comprensioni e le incomprensioni e allo stesso tempo motivante e coinvolgente per gli studenti.

Il nome viene coniato da Richard Dawkins, biologo evoluzionista, che ha creato il concetto del meme culturale: alla fine degli anni Settanta prese la parola meme dal greco mimesi (imitazione) per identificare un’unità di cultura, che si tramanda da una generazione all’altra e può essere intesa come l’equivalente culturale di un gene. Il meme indica tutto ciò che nella cultura si replica: per Dawkins esempi di meme sono melodie, idee, slogan, abiti di moda, modi di fare, proverbi. Analogamente ai geni, che si propagano saltando da un corpo all’altro tramite spermatozoi o uova, così i meme si propagano saltando da un cervello all’altro, attraverso un processo che, in senso lato, può essere chiamato imitazione (Blackmore, 2002; Dawkins, 2017; Lolli, 2017;).

Perché la scuola dovrebbe interessarsi ai meme

Parliamo di Meme perché dovrebbero interessare il mondo della scuola, soprattutto gli insegnanti, almeno per tre motivi:

  • I meme sono media contemporanei ad alto impatto comunicativo, che si riproducono in rete grazie alla collaborazione degli utenti e tutti siamo fortemente esposti agli artefatti culturali, che la rete ci propone: ignorarli sarebbe un errore per chi si occupa di educazione e di formazione. Secondo Jenkins e Gitelman, i media sono definiti attraverso un modello a due livelli: innanzitutto un media è una tecnologia, che consente la comunicazione; poi è anche un insieme di protocolli associati a pratiche sociali e culturali, che sono cresciute attorno a quella tecnologia (Jenkins, 2006). 
  • I meme sono un linguaggio e certamente anche una forma comunicativa, che le nostre studentesse e i nostri studenti sanno parlare e sanno leggere: laddove loro dimostrano padronanza, noi insegnanti sembriamo balbettare. Bucare l’opportunità di ritrovarsi in un terreno comune parlando la stessa lingua vorrebbe dire perdere un gancio utile per motivare e coinvolgere.
  • Le AI non sanno fare i meme: l’artefatto prevede troppi scenari e allude a situazioni culturali, personali, collettive troppo complesse perché le AI ne possano tenere conto. Ci sono elementi che afferiscono alla cultura, al simbolismo, al visual design che le Ai non sanno processare e riassemblare: non sono state allenate a questa complessità. Anche nella definizione di meme le AI entrano in crisi: lo studio sui meme utilizzati a scuola è giovane e in rete non se ne parla come artefatti didattici. I meme si fanno e si diffondono, la popolazione della rete non ne discute il valore e l’impatto educativo.

Ecco degli esempi: ho chiesto ad alcune AI di dare una definizione di meme poi di crearne uno. Queste sono state le risposte del Bot Dragonfly.

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Poi ho chiesto ad altre due AI di creare un meme sul primo maggio: una (Claude Instant) fornisce una descrizione testuale inefficace e l’altra (Stable diffusion) crea delle immagini mostruose e inquietanti.

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Dalla prima definizione di meme come fenomeno di Internet (Davison, 2012), pezzo di cultura, scherzo, che acquista influenza attraverso la trasmissione online si passa alla definizione dell’Oxford Dictionary online, secondo il quale un meme è un’idea, che viene trasmessa da un membro della società all’altro, non nei geni ma dalle persone. Può essere anche un’immagine, video, testo, ecc. che passa molto rapidamente, spesso con lievi modifiche che la rendono spiritosa. In italiano il termine meme viene rintracciato per la prima volta nel 1979 con il significato, affine a quello definito da Dawkins, e quindi appartenente al linguaggio tecnico-specialistico della biologia come “elemento regolante i comportamenti degli individui di una collettività della stessa specie trasmesso non per via genetica ma per via culturale attraverso apprendimenti imitativi”.

Immagine che contiene testo, libroDescrizione generata automaticamente Oggi la stessa Enciclopedia Treccani descrive il meme come un’“unità di informazione culturale e mentale analoga al gene che, in milioni di esemplari in continua ricombinazione, costituirebbe la nostra mente, durante il percorso esistenziale che viene affrontato giorno per giorno”. Per a Treccani il meme “risiede nel cervello umano, nella memoria, e quindi un meme si diffonde più facilmente se è facile da imitare e quindi da memorizzare.” (Treccani, 2022). L’Accademia della Crusca, nella sua sezione del sito web dedicata alle consulenze linguistiche, ne dà una definizione simile e in perfetta sintonia con lo spirito del meme ne offre un esaustivo esempio (realizzato da Vera Gheno nel 2014).

Dal punto di vista linguistico è attestato in italiano dal 2017 anche il verbo memare, con il significato di creare, diffondere e condividere meme, ma sui social network ci sono occorrenze precedenti al 2017. Su Twitter è stata rintracciata una prima attestazione del 2012, in cui il verbo è usato transitivamente (di Valvasone, 2022):

Immagine che contiene testoDescrizione generata automaticamente

I meme sono generalmente condivisi in piattaforme di social media e siti web dedicati (aggregatori di meme): questi ambienti, identificati in letteratura con i termini memesphere (Stryker,2011) o memescape (Wiggins & Bowers,2015), sono moderati da regole stabilite e condivise collettivamente (Osterroth, 2018) e costituiscono l’habitat virtuale e culturale in cui vengono creati e consumati i meme di Internet.

Immagine che contiene testo, personaDescrizione generata automaticamente

Gli elementi che costituiscono un meme

Collegando insieme le varie definizioni, possiamo elencare gli elementi costituenti i meme:

  • un’immagine digitale e/o un video (breve come una gif oppure più lungo) o un testo:
  • una natura tipicamente umoristica e provocatoria;
  • un’altissima mutevolezza e diffusione;
  • la capacità di essere un segmento culturale vivo.

A causa della loro natura digitale, i meme di Internet si sono diffusi nello spazio e nelle culture a un ritmo estremamente più rapido rispetto i loro antenati offline e hanno raggiunto una massiccia diffusione mondiale, però i meme non sono solo virali (prevedono una condivisione multipla): necessitano di una vera reinvenzione e una diversa struttura di partecipazione (Shifman, 2014). Se il meme è una vera e propria cornice interpretativa della realtà, filtrata con ironia (talvolta sarcasmo) ed esposta alla divulgazione e alla perenne e continua modifica degli utenti della rete possiamo ritrovare un legame significativo tra la diffusione dei meme e gli studi sulle reti neurali, le neuroscienze cognitive e la psicologia evolutiva tanto, che per un periodo si parlò di scienza memetica.

Le potenzialità da esplorare nella didattica e nella formazione

Ho cominciato ad utilizzare questi oggetti pop perché ho visto potenzialità da esplorare, sia nella didattica che nella formazione. Sono innanzitutto diventata autrice di meme (i meme poi sono sempre anonimizzati dalla rete: rispetto all’autorialità, è più importante dove sono stati visti per la prima volta) e li ho condivisi con regolarità in ambienti social oppure nelle comunità scolastiche: mi divertivo e contemporaneamente li capivo sempre meglio. Nel 2017 ho cominciato a studiarli, cercando di analizzarne il funzionamento: da ricercatrice mi sono chiesta come scattasse il coinvolgimento e da dove nascesse la provocazione, quali aspetti venissero maggiormente modificati nei meme di internet più ricorrenti, che cosa fosse immediatamente comprensibile e che cosa invece meritasse un lavoro di analisi più accurato.

Immagine che contiene testo, persona, uomo, cartelloDescrizione generata automaticamente

Meme e processi di apprendimento

Ho riconosciuto nei meme una forte analogia con i processi di apprendimento:

  • è necessaria l’accessibilità al compito
  • si prevede l’acquisizione di familiarità e poi di una certa padronanza;
  • perché il compito o la proposta sia efficace è necessario personalizzarla;
  • l’apprendimento significativo si può vedere solo quando avviene un vero Transfer e si applica qualcosa che si è imparato anche in luoghi e contesti diversi da quelli in cui è avvenuto l’apprendimento;
  • La natura di artefatto digitale mediale richiamava due aspetti fondanti delle tecnologie didattiche digitali: la condivisione e la partecipazione.
  • Il meme rappresentava sempre una sfida creativa sociale, comunicativa, mediale, culturale.

Ho cominciato ad utilizzarli nella formazione, come icebreaker o per avvicinare i docenti ai temi che proponevo: la libertà di comunicare senza troppi filtri le proprie emozioni, l’abbassamento delle inibizioni, l’ironia erano il fattore vincente. In seguito, li ho sperimentati con le studentesse e gli studenti: in una prima fase li ho proposti io, per avvicinarli con apparente leggerezza a temi complessi; successivamente ho chiesto loro di produrre meme per accedere a diversi livelli di profondità di un tema, attingere alle loro comprensioni significative o ai loro fraintendimenti senza esercitare la violenza di un’interrogazione o la minaccia di un voto. Ho usato i meme nella mia ricerca di dottorato, chiedendo ad un gruppo di Animatori digitali trentini di utilizzarli per comunicare la loro percezione di efficacia nel loro ruolo a scuola e come pensavano di essere percepiti dalle colleghe e dai colleghi. L’eccentricità del meme ha rotto le difese, allentato i filtri affettivi e generato curiosità e coinvolgimento: la sua natura allegorica ha permesso di attingere ad un immaginario collettivo (del quale si deve essere a conoscenza, per poterlo manipolare in modo personale e trovare nel destinatario un contributore del significato) e dall’altra ha stimolato il desiderio di sfida creativa e originalità.

Restituire la propria opinione, l’interpretazione di un evento, un apprendimento attraverso uno o più meme diventa un gioco molto serio, soprattutto se si sa come leggere i meme prodotti da ogni studente e si è padroni del linguaggio specializzato, che si richiede di usare perché collegato alla disciplina o all’area semantica.

Realizzare un meme

Realizzare un meme è un compito autentico, complesso e allo stesso tempo molto preciso: analizzare un meme è già una operazione valutativa del tema affidato e della conoscenza che se ne ha e comporta una competenza specifica che investe gli elementi visuali, il testo e la sintesi. In un percorso sulla Didattica con i meme che ho progettato e realizzato insieme all’Iprase e un gruppo di docenti trentini, una collega (Roberta Dallabetta, Docente presso Sophie Magdalena Scholl di Trento e la sua classe di cinese, 4B, che ringrazio) li ha utilizzati per proporre lo studio della poesia Shī, nata durante il Medioevo cinese, e verificare la comprensione di almeno uno degli autori proposti. Ecco due esempi di meme, che naturalmente sono comprensibili solo dalla comunità, alla quale fanno riferimento, non solo per la lingua ma anche per il messaggio:

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La parte tecnologica e digitale del meme

La parte tecnologica e digitale del meme è in verità essenziale e accessibile: esistono numerose web app, senza registrazione, anche sugli smartphone più comuni, che in pochi minuti supportano la realizzazione di meme foto e meme gif. Si può immaginare di far partire tutti dalla stessa immagine oppure lasciare la libertà di scegliere e comporre un meme come risposta ad una domanda o come metafora di una situazione, di un evento storico, di una teoria scientifica. Le immagini possono essere sequenze di film, strisce di fumetti, rappresentazioni di opere d’arte o scatti di eventi di cronaca: questa estrema libertà di selezione va poi combinata con la parte testuale e quello che nasce da questi significanti non è mai la semplice somma dei due elementi, ma un terzo complesso significato, che ha bisogno di un processo dialettico per acquisire senso.

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Il lettore del meme contribuisce a completare il messaggio del creatore del meme, ne fa parte attivamente. Impossibile non pensare ai timori legati al progresso tecnologico espressi da Benjamin e all’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (ed estetica). È infatti la riproducibilità, che determina il punto di vista su quello che vediamo e nel meme gioca un ruolo politico. La perdita di aura è superata dall’instagrammabilità, dalla viralità, dalla spinta imitatrice. Il Medium non è solo il messaggio, ma permette il messaggio, lo sostituisce: i media non sono più solo protesi, ma estensioni dei nostri sensi e dei nostri pensieri.

Dopo aver elaborato un modello metodologico di uso didattico dei meme, ho scoperto che c’era qualche collega che stava sperimentando i meme nella didattica come me: chi in letteratura, chi in geografia, chi in storia. Ho studiato la sperimentazione dei meme matematici (Bini & Robutti, 2019, 2022), che ha posto in correlazione gli ambienti culturali nei quali i meme sono prodotti e il loro valore educativo-epistemologico, sperimentandoli anche a scuola.

Il potenziale inclusivo dei meme

Andrebbe avviata una riflessione ancora più articolata sul potenziale inclusivo dei meme, i loro vantaggi in termini di accessibilità, motivazione e adattabilità ad ogni disciplina. Le sequenze memetiche possono diventare frame narrativi: i meme attingono ad un linguaggio contemporaneo e contribuiscono anche a svelare le criticità e i limiti di un uso pubblico talvolta non accessibile a tutti; preparano gli studenti ad interpretarli e a crearne di personali con consapevolezza, evitando l’effetto di passività, che porterebbe a subirli come messaggi di propaganda politica o sociale (Di Donato, 2021). Riducono stress e ansia: la natura ludica/umoristica può ridurre il carico emotivo percepito dagli studenti durante la lezione o durante la valutazione e l’appartenenza ad una cultura partecipativa può diventare opportunità per lavorare sulla digital citizenship. La letteratura e la ricerca sull’uso didattico-educativo dei meme sono ancora agli inizi. Un approccio possibile che suggerisco è quello che li associa alla retorica visiva, che combina elementi dell’approccio semiotico e discorsivo, per analizzare gli elementi persuasivi dei testi visivi (Faccioli & Losacco, 2003) e dell’opera aperta a continue e infinite variazioni (Eco, 1984, 2013).

I meme poi hanno il pregio di unire l’elemento partecipativo della cultura con la convergenza mediale. Jenkins (2006) spiega che una cultura partecipativa è una cultura con barriere relativamente basse per l’espressione artistica e l’impegno civico, un forte sostegno alla creazione e alla condivisione delle proprie creazioni e un qualche tipo di tutoraggio informale, in cui ciò che è conosciuto dai più esperti viene trasmesso ai novizi. La convergenza riguarda invece da una parte una significativa disponibilità di informazioni incanalate in un unico dispositivo, dall’altra è un vero cambiamento culturale, che incoraggia i fruitori del media nella ricerca di nuove informazioni e nel creare connessioni tra i media dispersi. Incoraggia la partecipazione e l’intelligenza collettiva e nella stessa prospettiva le culture si intersecano, contribuendo ad attivare la crossmedialità del meme: scrittura, libri, film, video, fumetti, fotografie, eventi sono la fonte inesauribile di ispirazione e i media digitali come il meme fluttuano dall’uno all’altro, senza attrito, attingendo a tutte le fonti possibili per comunicare in modo efficace il messaggio. La trasformazione più grande nei media digitali è forse il passaggio dal consumo me­diale individuale e personalizzato a quello che viene vissuto come pratica collettiva e reticolare: i cambiamenti più rilevanti avvengono quindi nelle comunità di consumo.

Per il lavoro proposto agli insegnanti ho trovato utile seguire soprattutto l’approccio costruzionista di tipo discorsivo (Hall, 1997), nel quale il meme è una porta per accedere all’intero sistema in cui nasce quella rappresentazione dei saperi (Milner, 2012) e il discorso diventa l’unico modo per parlare di un certo argomento, in un determinato momento storico o in una sua fase (Foucault, 2016). Poi il costrutto dei significati parziali (Bini & Robutti, 2019), che individua i tre significati parziali nel meme, che devono essere tutti accessibili perché il meme raggiunga la comprensione. La scelta del meme come media formativo è stata pensata proprio per restituire un ruolo attivo sia ai produttori che ai destinatari della comunicazione.

Gli schemi sono le strutture di conoscenza che rappresentano un concetto e se mancano gli schemi, la capacità di ricordare, riflettere e interpretare un’esperienza è limitata (Wu & Dunning, 2020); per questo offrire dei modelli di comunicazione e dei linguaggi nuovi, per permettere le associazioni cognitive necessarie, comunicare le informazioni apprese nel corso delle esperienze e le emozioni suscitate, può aiutare chi apprende a percepirsi in modo più chiaro e ad attivare risorse metacognitive.

Conclusioni

In un ambiente come quello in cui i meme sono immersi, le studentesse e gli studenti possono dare prova di abilità non standard come la creatività, lo humour e la competenza nella cultura popolare. Si possono scovare Bias cognitivi (uno di quelli testati con i meme è il DKE), recuperare fraintendimenti, lavorare su piani transdisciplinari. Insomma, credo che il lavoro su apprendimento e memetica possa finalmente entrare ufficialmente nell’area delle metodologie didattiche innovative. La nuova sfida per i docenti è aperta.

Bibliografia

Bini, G. & Robutti, O. (2019). Pensare all’interno del post: indagare sull’uso didattico dei meme matematici di Internet. In A. Shvarts (a cura di), Atti della conferenza russa PME e Yandex “Tecnologia e psicologia per l’educazione matematica ” (pp. 106–113). Casa editrice HSE

Bini, G., Robutti, O., & Bikner-Ahsbahs, A. (2022). Maths in the time of social media: conceptualizing the Internet phenomenon of mathematical memes. International Journal of Mathematical Education in Science and Technology, 53(6), 1257-1296.

Blackmore, S. (2002). La macchina dei Memi: perché i geni non bastano. Torino: Instar Libri.

Dawkins, R. (2017). Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente. Mondadori.

Davison, P. (2012). Il linguaggio dei Meme di Internet. In M. Mandiberg (a cura di), The social media reader, Michael Mandiberg, New York University Press.

Di Donato, D. (2021). Didattica con i Meme. In Biancato L. & Tonioli D. (Eds). 101 idee per la Didattica Digitale Integrata. (pp. 240-242). Erickson.

Di Donato, D. (2023). Oltre il digitale. La formazione dei docenti tra strumenti e pratiche. In Relazioni, Il mondo come aula (03). Luca Sossella Editore.

di Valvasone Luisa. (2022), L’arte di memare non è per tutti. In Italiano digitale. Rivista dell’Accademia della Crusca, XX, 2022/1 (Gennaio-Marzo). Disponibile qui: https://id.accademiadellacrusca.org/articoli/larte-di-memare-non–per-tutti/14793

Eco, U. (1984). Semiotica e filosofia del linguaggio. Einaudi

Eco, U. (2013). Opera aperta. Bompiani

Faccioli, P. & Losacco G. (2003). Nuovo manuale di sociologia visuale. Dall’analogico al digitale. FrancoAngeli.

Falcinelli, R. (2020). Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Instagram. Einaudi.

Jenkins H. (2006). Cultura convergente. Apogeo.

Lolli, M. (2017). La guerra dei meme. Fenomenologia di uno scherzo infinito. Effequ.

Milner, R. M. (2012). The world made meme: Discourse and identity in participatory media. (Unpublished doctoral dissertation). University of Kansas, Lawrence, KS. Retrieved from academia.ed

Shifman, L., Levy, H., & Thelwall, M. (2014). Internet jokes: The secret agents of globalization? Journal of Computer-Mediated Communication, 19(4), 727–743.

I meme pubblicati in questo articolo sono tutti dell’autrice, tranne quelli citati: Gheno, 2014; di Valvasone, 2012; Dallabetta, 2023.

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Lo spazio europeo dei dati sanitari: come circoleranno le informazioni sulla salute nell’Unione Europea
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La trasformazione digitale degli ospedali
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Comuni e digitale, come usare il PNRR senza sbagliare
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