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Meta blocca gli ads politici in Ue: censura? No, paura della trasparenza



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La decisione di Meta di sospendere la pubblicità politica in Ue apre un confronto tra libertà d’impresa e trasparenza democratica, innescando riflessioni sul futuro della comunicazione politica digitale e sugli effetti per partiti, elettori e pluralismo

Pubblicato il 24 set 2025

Federica Giaquinta

Consigliere direttivo di Internet Society Italia



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La decisione annunciata da Meta il 25 luglio 2025 di cessare, a partire dall’inizio di ottobre, ogni forma di inserzione a pagamento su politica, elezioni e temi sociali nell’Unione europea rappresenta uno spartiacque nel rapporto tra piattaforme private e spazio pubblico europeo, perché sposta dal terreno tecnico-operativo a quello costituzionale il baricentro del conflitto tra libertà d’impresa digitale e garanzie della deliberazione democratica.

Il regolamento TTPA e la risposta di Meta

A motivare la scelta è l’entrata in applicazione del Regolamento (UE) 2024/900 sulla trasparenza e sul targeting della pubblicità politica (la c.d. TTPA), norma approvata nel 2024 e applicabile, con limitate eccezioni, dal 10 ottobre 2025 che impone etichettatura chiara, indicazione dei finanziatori, deposito in un archivio pubblico europeo e severi limiti al targeting, escludendo dati dei minori e categorie particolari come origine etnica, religione e orientamento sessuale, motivo per cui, dinanzi a tali obblighi Meta, decide di addurre “incertezze giuridiche” e “complessità operative” che renderebbero il quadro “inattuabile”, optando per un autovincolo radicale: non erogare più quell’intera classe di pubblicità in UE.

Le reazioni politiche e istituzionali europee

La ricostruzione, oltre che dall’annuncio ufficiale dell’azienda, è confermata dalle principali agenzie e spiega anche la tempistica, infatti, mentre la Commissione e vari attori politici europei hanno respinto la narrazione della “censura”, chiarendo che le regole mirano alla trasparenza e che il discorso politico organico resta pienamente possibile sulle piattaforme; tra le reazioni, significativa quella dell’eurodeputato Sandro Gozi, relatore del dossier in Parlamento, che ha definito la scelta di Meta sintomo di “profonda allergia alla trasparenza e alla responsabilità democratica”, segnalando come l’uscita di un gatekeeper dallo spazio dell’advertising politico non sia un evento neutro per il pluralismo informativo.

Il contesto transatlantico e le fratture culturali

Nello sfondo, non secondario resta il progressivo irrigidimento del discorso transatlantico sul modello europeo di regolazione delle piattaforme, con il Dipartimento di Stato USA che ha bollato come “orwelliane” alcune misure europee sulla moderazione e la trasparenza, a conferma di una frattura culturale tra approccio di risk regulation europeo e impianto più libertario statunitense, frattura riaccesa anche dall’annuncio di Meta che in parallelo ha infatti rimodulato negli Stati Uniti i propri programmi di fact-checking.

I tre pilastri giuridici della vicenda

Ciò premesso, per comprendere la portata giuridica ed economica della vicenda bisogna ribadire tre punti:

  • primo, la TTPA non vieta la pubblicità politica in quanto tale, ma la assoggetta a condizioni uniformi, imponendo trasparenza, limiti al targeting e tracciabilità dei finanziamenti;
  • secondo, la decisione di Meta è un atto discrezionale di un’impresa dominante che sceglie un modello di compliance radicale per ridurre rischi, cioè l’uscita dal mercato di un prodotto;
  • terzo, questa scelta produce esternalità normative che si intrecciano con gli obblighi del Digital Services Act (DSA) per le very large online platforms, incluse le valutazioni e mitigazioni dei rischi sistemici per l’integrità dei processi elettorali: un paradosso apparente, dove la piattaforma invoca la protezione dalla “incertezza” normativa mentre il quadro DSA/TTPA le chiede proprio di governare, rendicontare e mitigare i rischi della propria architettura informativa.

L’intreccio tra DSA e TTPA: paradossi normativi

Si noti, infatti, che il DSA richiede ai VLOP di identificare e mitigare rischi sistemici collegati anche ai processi elettorali e alla correttezza del discorso civico, con linee guida e toolkit elettorali emanati dalla Commissione proprio per orientare misure proporzionate: in astratto, una piattaforma potrebbe ritenere che l’eliminazione della pubblicità politica sia una misura di mitigazione, ma in concreto ciò non la esonera dagli altri doveri di equità e trasparenza di sistema, né dai controlli sulle proprie raccomandazioni e sui fenomeni di amplificazione organica che restano, a maggior ragione, l’unico canale di circolazione del messaggio politico.

L’effetto redistributivo: incumbent vs outsider

L’esito pratico, allora, è un riequilibrio forzato tra paid e organic che, lungi dall’essere neutro, introduce un rischio di “effetto Matteo”: i soggetti dotati di basi organiche ampie – partiti maggiori, leader già noti, attori con forte presenza mediatica o con infrastrutture editoriali – beneficeranno di una rendita di posizione, mentre soggetti emergenti, liste minori, associazioni civiche o campagne tematiche con poche risorse rischiano di perdere l’unico strumento scalabile e relativamente economico per farsi conoscere; perciò la tesi di chi intravede in questi ban una distorsione concorrenziale del mercato delle idee non è peregrina, come segnalato da varie analisi sull’effetto dei divieti di advertising politico nelle piattaforme e sul vantaggio che ne traggono gli incumbent o chi dispone di alternative costose (televisione, stampa, affissioni) o di macchine di mobilitazione pre-esistenti; tuttavia, sarebbe riduttivo rovesciare il tavolo e concludere che “senza ads non c’è democrazia”: la letteratura empirica sull’efficacia persuasiva degli annunci politici digitali è mista, talora suggerendo effetti marginali su atteggiamenti e voto e nondimeno l’impatto redistributivo tra insider e outsider resta concreto, perché gli ads non servono solo a persuadere ma, soprattutto, a costruire notorietà e salienza del tema presso pubblici altrimenti irraggiungibili a costi sostenibili.

Strategie per un ecosistema informativo equo

Pertanto, è proprio da queste considerazioni che discende il nucleo della riflessione giuridico-strategica: come preservare un ecosistema informativo europeo che sia insieme trasparente e aperto alla contendibilità del discorso politico, quando i gatekeeper scelgono di ritirare un’intera tipologia di servizio?

  • Sul piano delle politiche pubbliche, un primo rimedio è già nel disegno TTPA/DSA: rendere effettivi gli archivi europei delle inserzioni, definire con chiarezza le esenzioni e le condizioni applicative e consolidare le linee guida interpretative riducendo la “zona grigia” che alimenta la narrativa della incertezza;
  • sul piano antitrust/digitale, il DMA non impone alle piattaforme di veicolare specifiche categorie di annunci, ma la scelta di escluderli non la esime dall’adempiere obblighi di non discriminazione, trasparenza e interoperabilità, né dal divieto di auto-preferenza a vantaggio di servizi propri (per esempio spingere formati “civici” proprietari che però non siano accessibili su base equa): qui la vigilanza delle autorità dovrà concentrarsi sui possibili spostamenti di inventario e sulle pratiche di discovery organica; sul piano costituzionale, il bilanciamento tra libertà d’iniziativa economica (art. 16 Carta) e pluralismo informativo non può degenerare in una “libertà di recesso” che, se massiva, svuota di contenuto gli obiettivi europei di trasparenza e integrità elettorale: la Commissione, con i Digital Services Coordinators, dovrà valutare se l’eliminazione del canale paid imponga misure correttive sulla parte organica per mitigare i rischi per l’equità della competizione informativa, nell’alveo degli artt. 34-35 DSA;
  • sul piano culturale, ricordare l’origine di questo ciclo regolatorio – gli abusi del 2016 e lo scandalo Cambridge Analytica, con raccolta impropria di dati di decine di milioni di utenti per targeting politico, aiuta a leggere la TTPA non come “censura”, ma come rimedio proporzionato a un deficit sistemico di trasparenza che nel 2018 apparve lampante e oggi il legislatore intende superare; su questo registro, la reazione delle istituzioni europee alle accuse di “censura” è stata ferma, così come la presa di posizione politica che invita le piattaforme ad applicare tempestivamente le nuove regole: un segnale che l’UE non intende farsi trascinare in un framing libertario che misconosce il nesso tra mercato pubblicitario digitale e diritti politici fondamentali.

Soluzioni pratiche: canali alternativi conformi

Ma cosa fare, quindi, concretamente, se non è più possibile sponsorizzare i contenuti su Meta?

Spostare la spesa su altri canali

Spostare – dove utile e lecito – la spesa verso canali che non hanno adottato divieti generalizzati e che rispettano la TTPA; molti editori e concessionarie europee continueranno ad accettare pubblicità politica conformata alla norma, ed anzi il nuovo regime, con l’archivio europeo e le etichette di trasparenza, può essere un vantaggio reputazionale per media che svolgono una funzione editoriale piena; si tratta di costruire pianificazioni “context first” sull’open web, con buy side certificate e catene di fornitura trasparenti, prendendo in considerazione i registri pubblici che la TTPA pretende e investendo in creatività informativa che regga fuori dal giardino recintato delle piattaforme.

Strategia di comunicazione diretta e organica

Adottare una strategia di comunicazione centrata sui canali diretti e guadagnati, privilegiando strumenti che non dipendano dalla pubblicità a pagamento: newsletter con iscrizione a doppio consenso per garantire trasparenza e rispetto del GDPR, politiche di consenso separate per i contenuti di natura politica, una gestione accurata dei dati attraverso CRM pienamente conformi alle normative europee sulla privacy, siti e blog ottimizzati per qualità e autorevolezza, podcast e format lunghi per approfondire i temi in modo narrativo, comunità e canali broadcast sulle piattaforme di messaggistica, che diventano spazi di relazione piuttosto che di mera promozione e momenti di confronto dal vivo o digitali con sessioni di domande e risposte aperte, oltre a repository aperti che raccolgano materiali e documenti verificabili, è necessario affiancare una strategia organizzativa che trasformi i sostenitori in veri e propri amplificatori del messaggio: la creazione di una rete di volontari digitali, dotata di contenuti già pronti – come infografiche, brevi testi e clip – e di strumenti intuitivi per condividerli, consente di moltiplicare la diffusione del messaggio in modo spontaneo e gratuito, mantenendo così il carattere di partecipazione civica ed evitando di ricadere nella disciplina della pubblicità politica a pagamento.

Relazioni con creator e ottimizzazione algoritmica

Costruire relazioni con creator e podcaster indipendenti, coinvolgendoli in interviste, dialoghi e format di confronto, in cui prevalga la logica editoriale e giornalistica piuttosto che quella commerciale, assicurando comunque trasparenza e dichiarazioni di eventuali interessi; infine, è necessario un lavoro di ottimizzazione algoritmica: se la diffusione organica diventa l’unico canale di visibilità, occorre progettare contenuti che favoriscano l’engagement e la condivisione, utilizzando formati nativi delle piattaforme, come reel, caroselli e video sottotitolati, strutturati in sequenze narrative che mantengano alta l’attenzione, stimolino interazione attraverso domande e commenti e siano facilmente condivisibili con schede e materiali che rispondano in anticipo alle obiezioni più frequenti.

Utilizzo degli strumenti DSA e garanzie di equità

Utilizzare gli strumenti previsti dal Digital Services Act ogni volta che l’applicazione delle regole di piattaforma genera squilibri o rimozioni ingiustificate, presentando notifiche formali, dialogando con i coordinatori nazionali e segnalando eventuali rischi sistemici; nelle fasi più delicate, come le campagne elettorali o le consultazioni pubbliche, si possono inoltre richiedere alle piattaforme veri e propri impegni di equità civica, come la garanzia di neutralità degli algoritmi che raccomandano i contenuti politici e la possibilità di accedere a procedure di ricorso rapide in caso di rimozioni o penalizzazioni.

Interventi pubblici per l’equità comunicativa

Introduzione da parte degli enti pubblici di voucher o crediti “civici” da utilizzare presso media europei conformi alla normativa, istituire spazi di comunicazione di pubblica utilità per le campagne di informazione elettorale e promuovere luoghi di confronto aperti e istituzionali, garantendo sempre condizioni di parità di accesso e assenza di indirizzo editoriale, così da attenuare il bias di ricchezza che il passaggio all’organico inevitabilmente accentua.

Diversificazione e riduzione della dipendenza

Diversificare le superfici di contatto oltre i duopoli, sperimentando spazi federati (ActivityPub), media locali, radio e affissione mirata; in un’ottica europea, pluralismo significa anche ridurre la dipendenza mono-piattaforma e rafforzare l’ecosistema informativo locale.

Standard di trasparenza superiori

Mantenere standard di trasparenza superiori a quelli minimi di legge perché la credibilità, in assenza di ads, è amplificatore della diffusione del messaggio e su questo versante, è cruciale apprendere dagli errori del passato (il caso Cambridge Analytica) e assicurare che il trattamento di dati, anche per finalità di mobilitazione non pubblicitaria, rispetti i principi di minimizzazione, limitazione della finalità e consenso informato.

Responsabilità delle istituzioni e dovere di equità algoritmica

Resta, in conclusione, un nodo finale, politico-giuridico che merita una tesi forte: la scelta di Meta non è una vittoria né della libertà d’impresa né della democrazia europea, è un atto di policy privata che scarica sull’arena pubblica i costi della propria incertezza regolatoria e della propria avversione alla contabilità democratica.

Non è credibile sostenere che norme di trasparenza (che chiedono di dire chi paga, come si targettizza, dove si spende e con quali basi giuridiche) siano “inattuabili” per chi ha costruito l’industria globale dell’ad-tech; piuttosto, è credibile che una regolazione che sottrae opacità e arbitrio al sistema riduca margini di estrazione di valore e di gestione unilaterale del rischio reputazionale.

Qui l’UE ha una responsabilità: rendere la TTPA applicabile con chiarezza e senza oneri sproporzionati, ma senza arretrare sul cuore della riforma; parallelamente, ammortizzare gli effetti distributivi del divieto piattaforma-specifico con strumenti di equità comunicativa nella sfera pubblica e con il pieno impiego degli obblighi DSA sulle raccomandazioni, perché una società che tolga la spina agli ads politici senza ricalibrare l’organico non costruisce uno spazio più sano, costruisce un’arena meno contendibile.

Linguaggio e sovranità regolatoria europea

Infine, è doverosa un’osservazione sul linguaggio: l’uso del termine “censura” per descrivere un regime che non tocca il contenuto politico organico ma chiede trasparenza su denaro e targeting è improprio e serve più a de-legittimare la sovranità regolatoria europea che a difendere la libertà di espressione; difendere la libertà – anche quella degli outsider di farsi conoscere – impone più trasparenza nei flussi economici e più equità algoritmica, non meno; da qui una proposta di compromesso alto: un patto europeo per la “circolazione civica” che inviti le VLOP che hanno bandito gli ads a sottoscrivere impegni misurabili di discoverability equa e di riduzione delle asimmetrie nell’organico politico, con audit indipendenti, interfacce di spiegabilità per i creators civici, canali privilegiati di ricorso e un osservatorio pubblico che misuri l’effettiva esposizione a contenuti politici per comunità linguistiche e territoriali; se l’advertising non è più il veicolo, lo diventi il dovere di equità algoritmica: in questo c’è la cifra europea, capace di tenere insieme mercato, diritti e istituzioni e di trasformare un recesso aziendale in un’occasione di maturazione costituzionale dell’infosfera.

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