la riflessione

Per favore, non chiamateli nativi digitali

Una ricerca della Bicocca smonta il mito della competenza informatica giovanile. Poiché i ragazzi usano dispositivi che si connettono in modo trasparente, invisibile, non percepiscono Internet come un’infrastruttura di base. Stanno crescendo in un mondo nel quale non solo non sanno, ma non possono smontare, smanettare, sperimentare. Tutto questo non crea nativi digitali. Polli di batteria, piuttosto

Pubblicato il 18 Nov 2013

Paolo Attivissimo

giornalista informatico e cacciatore di bufale

Per favore, non chiamateli nativi digitali

Vado spesso nelle scuole a insegnare le basi della sicurezza informatica e della gestione della privacy in Rete, per cui incontro sovente i cosiddetti “nativi digitali”: i giovani che hanno sempre vissuto attorniati dalle tecnologie digitali e dalle consuetudini sociali che li caratterizzano. Quelli che non si ricordano del mondo prima di Internet, cellulari, tablet, Playstation e smartphone e quindi li considerano elementi assolutamente ovvi e naturali della propria esistenza. I genitori di questi nativi li contemplano spesso estasiati, ammirando la naturalezza con la quale maneggiano i dispositivi digitali, come se vedessero Mozart al clavicembalo, e sospirano rassegnati, convinti di non poter competere con chi è cresciuto sbrodolando omogeneizzati sul touchscreen e sicuri che basti dare ai loro virgulti un iCoso per garantire loro l’articolata competenza informatica di cui avranno bisogno nella carriera e nella vita quotidiana. Se solo sapessero.

Come ragionano i nativi digitali

Pochi giorni fa, durante una delle mie lezioni, ho chiesto agli studenti di quinta elementare (tutti già dotati di iPad o iPod touch) se c’era per caso qualcuno di loro che non usava Internet. Si è alzata una mano. Ho chiesto al ragazzo come mai non navigasse in Rete e mi ha risposto, perplesso per la mia domanda, che lui non va su Internet. Lui usa Youtube. I suoi compagni non hanno fiatato per contraddirlo o correggerlo. Mi sono reso conto che dal suo punto di vista avevo fatto una domanda stupida.

È un bell’esempio di come ragionano i “nativi digitali”: poiché usano dispositivi che si connettono in modo trasparente, invisibile, non percepiscono Internet come un’infrastruttura di base alla quale ci si deve prima collegare per poter fare qualcosa. Vedono soltanto i servizi commerciali che Internet veicola e interagiscono con quei servizi toccando un’icona separata per ciascuno di essi. E questa separazione grafica è diventata un ghetto mentale. Non mandano più mail, ma messaggi su Facebook o WhatsApp. Guardano e riguardano i video di Miley Cyrus in streaming, scaricandoli ogni singola volta invece di salvarli localmente: non hanno alcuna percezione del consumo di banda. Con pochissime eccezioni, non hanno la più pallida idea di come funzionino realmente i dispositivi che usano. Si scambiano foto intime tramite SnapChat, convinti che le immagini vengano davvero cancellate per sempre dall’app e non siano recuperabili; si fidano delle promesse di privacy di Facebook, senza rendersi conto che il social network vive raccogliendo e vendendo i loro dati personali.

Il PC, questo sconosciuto

Non è un fenomeno limitato ai giovanissimi. Una recente indagine dell’Università di Milano-Bicocca sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde indica che due su tre non sanno come funziona Wikipedia, non sanno riconoscere una pagina di login fasulla guardandone l’URL (e non chiamatelo URL, se non volete che vi guardino basiti) e non hanno idea di come si reggano in piedi economicamente i siti commerciali più popolari. Due su tre hanno uno smartphone e la metà lo usa per andare online tutti i giorni: la fruizione della Rete da postazione fissa sta diventando minoritaria. Il computer, se c’è, è prevalentemente un portatile: sigillato, non modificabile, da usare a scatola chiusa, come lo sono i tablet e gli smartphone.

Questo rende molto più difficile che in passato l’apprendimento di come funzionano i dispositivi e le tecnologie di uso quotidiano. I “nativi digitali” stanno crescendo in un mondo nel quale non solo non sanno, ma non possono smontare, smanettare, sperimentare, in parole povere diventare hacker, nell’accezione originale, positiva e sempre più spesso dimenticata, di questo termine. Non hanno le possibilità che hanno avuto gli “immigrati digitali”, che anzi erano costretti a imparare per riuscire a far funzionare modem, schede audio e periferiche bisbetiche. Quelli di oggi sono meri utenti, e non è neanche tutta colpa loro: è la tecnologia stessa ad ostacolarli. L’emancipazione, il brivido di libertà che offrivano i PC autocostruiti, i modem, le BBS e Internet sono stati accecati dalla lucentezza dello specchio scuro nel quale questi “nativi” si riflettono per una media di tre ore al giorno: lo schermo del telefonino e del tablet.

Un generazione di falsi nativi digitali

Non stiamo semplicemente crescendo una generazione di falsi nativi digitali, che non hanno una reale competenza informatica (chiedete loro come si fa a mandare una mail in BCC o che cos’è un sistema operativo, per esempio; per loro Tor è un personaggio della Marvel). Intorno a loro si sta evolvendo, non per cospirazione ma per aggregazione spontanea, un giardino cintato e privatizzato dal quale diventa sempre più difficile uscire per diventare competenti. E in questo contesto affidare un tablet a un’adolescente non farà di lei un’informatica provetta, esattamente come rinchiuderla tante ore in garage non la trasformerà in un’automobile.

L’origine del potere dirompente dei primi personal computer, in particolare del PC IBM, era il fatto che era basato su standard tecnici aperti. Dopo decenni di calcolatori incompatibili, farciti di componenti proprietari e non intercambiabili, arrivava sul mercato un oggetto che accettava componenti di marche differenti tra loro. Con poche eccezioni, i protocolli e i linguaggi di comando di quei componenti erano noti e liberamente utilizzabili. Chiunque poteva essere hacker e sviluppare software, driver, sistemi operativi. Questo fece prosperare in modo esplosivo la cultura dell’informatica amatoriale.

Ma i nativi digitali sono “illetterati digitali”: ecco il ruolo della Scuola

Quando il computer era personal e gli utenti creativi

Il personal computer era, appunto, personal. Ci mettevi su il software e l’hardware che volevi, senza renderne conto a nessuno. Ora considerate invece un iPad: è bello, funziona bene, ma è sigillato. Niente aggiunte hardware. Provate a installarvi software non autorizzato da Apple: potete farlo soltanto pagando una licenza ad Apple o ricorrendo a un jailbreak. Il dispositivo è fisicamente vostro, ma per essere liberi di metterci il software che vi pare dovete scavalcare attivamente gli ostacoli e le restrizioni che il costruttore ha imposto. Il salto da consumatore passivo a utente creativo è diventato più lungo.

Com’è cambiato il paradigma dell’informatica personale: da uno scatolone rustico, flessibile e aperto a una tavoletta patinata, rigida e chiusa. Nel terzo trimestre del 2013 sono stati venduti nel mondo 80 milioni di PC (8,6% in meno rispetto a un anno prima) contro 250 milioni di smartphone, e le previsioni di IDC indicano che le consegne di tablet, da sole, supereranno quelle di PC prima della fine di quest’anno. Il PC sta morendo per abbandono: troppo scomodo, troppo ostico come manutenzione, troppo vulnerabile al malware. Un universo di app sterilizzate e verificate, su un dispositivo che fa di tutto per non sembrare un computer, è molto più allettante e rassicurante per il consumatore medio.

La stessa china scivolosa si sta delineando per Internet. Il boom della Rete è avvenuto per merito dei suoi standard e protocolli aperti e interoperabili, a differenza di tutte le reti telematiche commerciali chiuse che l’avevano preceduta. Su queste fondamenta aperte, accessibili a chiunque volesse semplicemente studiare, è stato possibile costruire liberamente di tutto: mail, Web, ftp, VoIP sfruttabili con qualunque client e qualunque sistema operativo, anche fai da te (Linux, e scusate se è poco). La mancanza di un gestore centrale ha impedito l’introduzione di sistemi di censura e controllo liberticidi e ha intralciato i tentativi commerciali monopolistici d’imporre il Browser Unico e il Sistema Operativo Unico: non dimentichiamo, infatti, che nel 2002 Internet Explorer era usato dal 96% degli utenti e Windows deteneva oltre il 90% del mercato desktop.

Non nativi digitali, ma polli di batteria

Confrontate questa situazione con quella di oggi: Facebook per molti utenti è l’unico sito visitato, tanto da essere per molti sinonimo e sostituto integrale di Internet. Qui le regole d’uso vengono decise unilateralmente, senza dibattito, col risultato che per esempio il video di una donna che viene decapitata va benissimo, ma un seno del quale si veda l’areola è tabù, e la mannaia della sua censura può colpire anche un museo che osa pubblicare una foto di nudo femminile parziale in bianco e nero (però Rate My Bikini o Boobs, Butts and Cleavage Collection non sono un problema). È un ambiente chiuso, controllato secondo criteri bizzarri e soprattutto insindacabili. Il parco pubblico è stato sostituito dal centro commerciale. E a un miliardo e cento milioni di utenti questo va benissimo.

I dati indicano che stiamo rinunciando progressivamente agli elementi tecnici fondamentali che hanno permesso lo sviluppo della Rete, sostituendoli con un ecosistema hardware e software progressivamente sempre più chiuso. La mia preoccupazione è che tutto questo non crea nativi digitali. Crea polli di batteria.

*Credits foto: Antonio Sofi

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

guest

123 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti
Colombo Massimo
Colombo Massimo
8 anni fa

Sarebbe come chiamare noi degli anni 80 nativi analogici, perché anche noi, per prima cosa al mattino cerchiamo l’interruttore della luce in casa. Eppure non conosco molti quarantenni in grado di spiegarmi il funzionamento di un generatore elettrico o di un frigorifero.

Riccardo Sibani
Riccardo Sibani
8 anni fa

Condivido molte cose di questo articolo ma mi sento anche di far notare che è l’aspettativa di base ad essere sbagliata.
Mi spiego meglio, non si può essere esperti di informatica per il semplice fatto di averla usata tutta la vita; sarebbe come pretendere che ogni persona nata con una macchina in garage se ne intenda di meccanica.

In generale si stanno creando le stesse tendenze dell’industria automobilistica, all’inizio era facile smanettare con motori, cilindri e scarichi (e si fa ancora dove i design costruttivi rimangono semplici) ma la complessità ha creato distacco tra “gli smanettoni” e chi semplicemente usa lo strumento (macchina o PC che sia).

In generale, considero una vittoria il fatto che oggi i nativi digitali sappiano “guidare” l’internet anche senza saperne il funzionamento, allo stesso modo in cui molte persone non sanno come funzioni un motore.

ness1
ness1
8 anni fa

Ma è proprio quella invece l’accezione con cui si usa “nativi digitali”: cioè dei poveri ragazzini cui i genitori rifilano cell. fin dalla culla (e attenzione bene: glieli progettano apposta, per crear dipendenza fin da piccolissimi!) e che non han la minima idea non solo di cosa fanno e come son fatti etc. (il che sarebbe il meno visto che anche noi usiamo altre tecnologie tipo tv etc. che non sappiamo smontare né modificare), ma perdono proprio il contatto con la realtà della vita concreta (diciamo naturale, ma inclusa la natura umana!) schermati dietro a multimediazioni di massa spacciate da strumenti d’interconnessione e che invece isolano sempre più nel virtuale – ci son già studi sulla perdita delle capacità manuali dei bimbi nei giochi, abituati a cambiar scenario solo sfiorando con un dito un monitor: tirando le somme, da una parte c’è la concentrazione di conoscenze altamente specializzate a livello tecnologico (più annessi e connessi), dall’altra una utenza sempre più idiota (a vari livelli, fino ai più gravi). E nonostante lo si sappia, si continua come niente: pure qua, il mercato la vince sull’umano.

Frank12716
Frank12716
9 anni fa

Ho 13 anni e sono pienamente d accordo. Intorno a me la gente è sempre con i telefonini e console e non sanno minimamente Cos e una scheda video. Avevo già visto questa situazione da tempo e vedere sempre più persone che la pensano come a me mi fa tanto piacere. In tutta la mia scuola (abito in provincia di catania) saranno una decina su 500 persone che “giocano al pc” spero possa farvi piacere che ci siano alcuni tra la mia generazione che la pensino come a noi

alphac
alphac
9 anni fa

Mi pare evidente, quella dei nativi digitali come genietti del computer è una invenzione della mamma 2.0. Ma non mi sembra neanche una situazione involuta rispetto a prima, come c’erano quelli che puntavano e cliccavano senza sapere cosa accadesse ora ci sono quelli che tappano senza saperlo, più o meno siamo lì.

J.
J.
9 anni fa

Sottoscrivo. Per esperienza diretta: tutti i giorni vedo ragazzini/universitari fenomeni perchè rispetto ai genitori che li esaltano sanno fare due o tre cosette come scaricare un’app da uno store o scrivere molto piu’ velocemente sul tchscr.

Un’appunto a Rick: guarda che fai prima a fare la foto e condividerla direttamente piuttosto che passare da paint ed allegarla in mail o sui client pc di whatsapp o telegram….

Sabrina
Sabrina
9 anni fa

Come tutte le cose e tutte le ere generazionali, la conoscenza e l’apprendimento nascono dalla passione. Saper usare uno strumento non vuol dire conoscerlo ma, se usandolo ci si appassiona, la voglia di sapere il suo funzionamento aumenterà!! È come le tabelline: sapere le tabelline non ti fa risolvere un problema di matematica

Rick
Rick
9 anni fa

anche funzioni di base di windows sono completamente ignote a molti..
vedo su facebook una marea di ragazzini che al posto di usare il printscreen con il tasto stamp/r-sist (a sinistra del F12) e poi farsi la loro bella immaginetta su paint, fanno la foto dello schermo con il cellulare…

dino
dino
9 anni fa

analfabeti digitali

Daniele
Daniele
9 anni fa

Credo che chi ha scritto questo articolo, ha guardato la situazione utilizzando dei modelli vecchi e non considerando che le nuove generazioni non partono dai costrutti mentali con cui sono partiti i nativi dell’era pre-internet. Mi spiego meglio… nel 1990 effettuare un montaggio richiedeva strumentazione complessa e costosa, per ottenere risultati scadenti… ora i nativi digitali ottengono cose di altissimo livello con un iPhone… stessa cosa per la musica, la grafica e qualsiasi altra forma creativa… parlare loro dei costrutti mentali dei nativi pre-internet per loro significa fare una lezione di “storia” del tutto inutile e priva di contesto ed applicazione diretta. Credo semplicemente che la cosa debba semplicemente essere storicizzata per capire che frutto darà questo update tecnologico che è giusto non venga compreso appieno dalla generazione precedente… infondo diciamocelo…. qualsiasi sistema tende all’omeostasi… questo significa che le nuove generazioni troveranno nuovi costrutti che funzioneranno bene in questa epoca e diventeranno i protagonisti di nuove rivoluzioni in serbo per le prossime generazioni.

Marite
Marite
9 anni fa

Scusate, come mai stiamo commentando (nel maggio 2016) un articolo del 2013? Anche a destra dello schermo, compare il titolo di un articolo che fa riferimento alla riforma della scuola del ministro Carrozza (2013). E questo sarebbe il sito dell’Agenda Digitale? Dovreste rinominarlo “Agenda Digitale Preistorica”….

Maria Renata Zanchin
Maria Renata Zanchin
9 anni fa

E perchè non chiamarli “nativi digitali”? Il termine non significa che siano degli esperti digitali, ma semplicemente dei nativi, volendo significare che hanno stili di pensiero e di azione diversi dalle persone che hanno conosciuto le tecnologie quando ormai erano adulti. Qualcuno li chiama anche generazione dell'”homo zappiens” e come educatori ci interessa aprirci al modo in cui affrontano la realtà e la rete stessa, per farli ulteriormente crescere approfittando di ciò che sanno già.

afullo
afullo
9 anni fa

Il grande pregio di Internet è che si tratta di una rete telematica completamente libera: io mi registro un dominio, e su di esso ci scrivo quello che mi pare, come mi pare, senza sottostare a regole di utilizzo di alcun tipo (salvo il rispetto delle leggi, ma questo dovrebbe essere ovvio).

Al giorno d’oggi, però, alla maggior parte degli utenti sembra non interessare questa libertà: più facile affidarsi ai servizi di realtà private e commerciali, che in cambio di qualche facilitazione si arrogano diritti nei confronti di essi che magari nemmeno gli stessi conoscono, forti delle loro posizioni giuridiche ed economiche.

Sia chiaro, ciò non significa che bisogna leggere negativamente i social network e altri fenomeni degli ultimi anni: sta a dire semplicemente che è il caso di prendere atto che la Rete non è *principalmente* quello, e che i suoi punti di forza sono altri. Invece, come scritto nell’articolo, diversi identificano perfino l’intera struttura telematica con questi brand.

Quanto all’elettronica, pure non si vede tutta questa natività digitale: negli ultimi 10 anni abbiamo assistito ad una capillare diffusione di dispositivi di ogni genere. Tuttavia gli adolescenti di oggi non mi sembrano eccessivamente più preparati di quelli di un decennio fa: una crescita nel complesso c’è stata, ma è corsa ben più piano dello sviluppo tecnologico. Da come si dice, sembrerebbe che un giovanissimo di oggi dovrebbe essere in grado di fare quasi tutto quello che è possibile compiere con un computer, quando invece già solo una riga di comando invece di un’interfaccia grafica fa da sbarramento per un sacco di utenti.

Anche l’approccio dell’informazione a questi argomenti non aiuta: secondo l’opinione pubblica l’esperto di informatica è quello che cambia il suo smartphone ogni sei mesi e che passa le notti in coda in attesa dell’inizio della vendita del nuovo prodotto, trascurando il fatto che possa tranquillamente non aver mai scritto una riga di codice in vita sua. Si dice esplicitamente che i laptop sono una tecnologia vecchia, sostituita da smartphone e tablet, quando chiunque col computer ci lavori un minimo si rende conto immediatamente che i dispositivi mobili sono un ottimo strumento da affiancarsi al pre-esistente per alcune mansioni, ma per tante altre non ne sono assolutamente all’altezza.

Pure i cosiddetti “speciali” sono spesso proposti per fare promozione piuttosto che per informare in maniera neutrale, volendo invitare il lettore o l’ascoltatore all’acquisto dei dispositivi per i quali un inserzionista ha pagato la sua parte, e trascurando spesso tutto ciò che non ha un risvolto commerciale, come software libero ed open source. In tutto questo calderone, il ragazzino, sul quale pesa anche il fattore “moda” (l’importanza di un dispositivo non solo quanto a funzionalità ma come status all’interno del gruppo, che nell’universo adolescenziale è il primo giudice), si trova a ritenersi soddisfatto dal “giardino dorato” che gli viene offerto, dando l’impressione ad altri e a sé stesso di essere protagonista di una rivoluzione, quando invece è soltanto l’anello terminale di una catena prettamente verticale azienda-clientela.

Patrocloo!
Patrocloo!
9 anni fa

Bell’articolo. Complimenti!
Mancano solo due cosette, ma non da poco:
Oltre a Fakebook, il problema ora è Google con Android che che fornisce un sistema falsamente “aperto” per detenere posizioni dominanti o di quasi monopolio, come la UE sta indagando… Di quei 250 milioni almeno 220 sono Android… se lo era dimenticato?
E i suoi fondatori, veri nativi digitali, non hanno alcun interesse alla concorrenza tant’è che hanno dichiarato (Schmidt) di essere loro la Nuova Microsoft! Questo ci racconta la strategia che sta dietro alla realtà che lei ha ben disegnato: una banda di nativi digitali senza scrupoli a caccia del potere assoluto e di tutto il denaro possibile!

E una domanda: ma Lei le racconta queste cose agli studenti? Lei che ha voce in questo mondo, si mette in gioco contro questa pericolosa banda di veri nativi digitali?

Ed infine: essere curiosi è qualcosa che si ha dentro, non dipende dalla scuola anche se potrebbe aiutare, non dipende dalla società. Potrebbe dipendere un po di più dalla famiglia, ma…
Lei è curioso? E’ mai andato a guardare e leggere cosa fanno uscire dalla capitalizzazione di Google i 3 soci quasi ogni mese? Quanto incassano di stock option o di privilegiate? NO? Allora vada su Internet e cerchi Insider Monkey e poi digiti la ricerca con il nome di ognuno di loro, ma non si stupisca, i NATIVI DIGITALI VERI non hanno alcuna passione informatica se non la CARRIERA, IL POTERE, IL DENARO.

Se vuole cercare chi è veramente curioso ma libertario, chi difende Thor o l’Open Source, chi combatte giornalmente sulla disinformazione dell’internet PRIVATIZZATO e oramai per lo più COMMERCIALE, deve cercare i NATIVI della Meccanica e dell’Elettronica, passati negli anni 80 al Digitale! E non hanno molto meno di 50 anni, glielo garantisco! Ma non ci chiami Nativi Digitali, semmai Hippy Digitali!

Grazie e un caro saluto!

Mario Carta
Mario Carta
9 anni fa

La tua visione segue l’eco di Umberto. L’idea che l’informatizzazione degli studenti delle più diverse discipline debba andare di pari passo con la nostra (informatici), quella degli insegnanti, degli ingegneri, degli sviluppatori e degli esperti è una follia. E’ come dire agli studenti che si fanno prendere in giro dai medici chiedendosi perché non sanno quanto i medici.

Questa è una visione alla Eco, alla Gino Paoli, all’Adelphi che non consente diversità di informatizzazione. Facebook e Youtube fornisco la loro educazione, altri un’altra educazione. L’idea che siano poi onnipotenti fa il paio sempre con gli stessi esempi.

astromauh
astromauh
9 anni fa

Sono d’accordo con l’autore dell’articolo, però il fenomeno di cui parla non è circoscritto all’informatica e non è un fenomeno degli ultimi anni.

Gli uomini delle caverne costruivano da soli gli strumenti che utilizzavano per la caccia. Per cui producevano la tecnologia che essi stessi utilizzavano, ma da allora non è più stato così. Il progredire della tecnologia ha creato un divario sempre più grande tra produttori e utilizzatori della stessa.

Diversi anni fa accendevo le sigarette con i fiammiferi, però non ero, e non sono in grado di fabbricarmi dei fiammiferi. Per quanto un fiammifero sia un prodotto tecnologico estremamente banale, io utilizzatore finale dello stesso, non sarei stato in grado di auto produrli.

Tanto più aumenta la complessità della tecnologia, tanto più diminuisce la possibilità di comprenderla da parte di coloro che la utilizzano, è inevitabile. La cosa è un po’ scocciante, perché ho l’impressione di perdere il controllo, e che il mondo mi sfugga dalle mani.
Ma la soluzione qual è?

Spagno
Spagno
9 anni fa

Il Primo Pollo Digitate e chi ha permesso di scrivere questo articolo e divulgare un concetto che va sicuramente discusso e lo sta facendo su una piattaforma datata e obsoleta dove non c’e la possibilità di avere un riscontro con altre persone per il semplice fatto che assente di nuove non ormai standard funzionalità come il Reply ai commenti da parte della comunity.

brandfx
brandfx
9 anni fa

Complimenti per l’articolo e per la presa di coscienza di quello che è uno dei peggiori mali “tecnologici” moderni. Prima di proseguire mi prenderò qualche minuto di auto-presentazione dato che penso che sia piuttosto importante in questo caso. Nato nell’81 ed ho iniziato a “smanettare” con i l C64 e le prime stringhe in basic da bambinetto,per poi passare ad Amiga e infine pc (con un vetusto DX4 66mhz). Sono cresciuto insomma con l’ambiente esterno che mi guardava stralunato per la mia passione all’informatica ma che ha visto questa stessa persona studiare prima e lavorare poi dopo nel solito ambiente avendo molte soddisfazioni. Spesso nella mia ditta arrivano i cosidetti “stagisti”,mandati dalle più disparate scuole di elettronica ed informatica e quello che vedo ogni volta purtroppo è proprio la descrizione precisa di quello che è scritto sopra. Persone che pur studiando informatica non sanno assolutamente riconoscere una scheda video da una RAM,o che danno per scontato che dentro un hard disk c’è Windows e dentro un Mac c’è OSX. Non sanno che esistono altri sistemi,non sanno installare driver,non sanno quali sono i componenti da cambiare per migliorare le performance (anzi pensano che un computer quando inizia a diventare obsoleto vada semplicemente “cambiato”). Hanno tutti quanti il loro iPhone,non capiscono la bellezza di poter “spippolare”,”installare”,”flashare” un dispositivo per renderlo veramente personale. Gli viene dato in quella maniera,ci installano whatsapp,facebook,istagram e spotify e stop…dopo un pò ci sarà da cambiarlo con l’ultimo iphone,ma non sanno nemmeno loro il motivo per cui dovrà essere cambiato fra qualche anno. Nonostante facciano informatica non hanno quella sete di conoscere cosa c’è dentro…e questa cosa mi rattrista veramente,perchè non c’è peggior cosa che “dare per scontato”.

kniv7s
kniv7s
9 anni fa

Non sono d’accordo. E qui si parla del niente. La prima cosa che andava fatta in un articolo del genere è dare una definizione di “nativo digitale”. Quale sarebbe quindi? “Tecnici informatici aborigeni”? “Hacker dalla nascita”?

Ezio
Ezio
9 anni fa

Un analisi completa e che fa riflettere. Ho 55 anni e ricordo la fatica di imparare i comandi DOS. Fatica di cui traggo i vantaggi ancora adesso…

Ugos
Ugos
9 anni fa

Faccio l’informatico, nel senso più ampio e generale possibile, da 33 anni, da quando ne avevo 13, e ho sentito parole molto simili dai miei nonni, dai miei zii e dai miei genitori. Il mondo cambia, va avanti. Si creano nuove abitudini, nuovi equilibri. I polli ci sono sempre stati, in tutte le epoche. Lasciateci vivere per favore.

Emanuele
Emanuele
9 anni fa

Credo che questo discorso non tenga conto di molti fattori.
Penso che raramente nel passato si trovassero casi di bambini e/o ragazzi che conoscessero il funzionamento effettivo di Internet o altri aspetti più tecnici dell’Informatica.
Molte persone, semplicemente perché non gli interessa, non lo apprendono mai, e coloro che lo apprendono lo fanno già in età adulta, e cioè quando si hanno gli strumenti logici e lessicali per comprendere le basi di una qualsiasi disciplina. È sicuramente sbagliato pensare che i ragazzi di oggi siano tutti dei geni informatici, perché verrebbe dalla convinzione sbagliata che capirci di informatica equivalga a saper utilizzare dispositivi informatici.
Tuttavia, è innegabile che le generazioni precedenti alla nostra dovevano imparare le basi anche solo del semplice utilizzo dei dispositivi informatici e di internet, molto spesso con enorme fatica. Ti faccio l’esempio di mia madre, una persona intelligente e dalle mille abilità e conoscenze, che frequentò un corso sui primi moduli dell’ECDL e mi diceva di trovarlo estremamente difficile. Gli argomenti? Accendere il computer, spegnerlo, creare una cartella, creare un file, ed operazioni di questo calibro.
Ed è innegabile che dalla nostra generazione in poi, tutti possiedano una competenza PRATICA incredibile rapportata alle generazioni precedenti, semplicemente perché l’abbiamo acquisita da bambini (quando il nostro cervello è super spugnoso).
Se queste competenze pratiche sono reputate miracolose da parte dalle vecchie generazioni, è perché gente come mia madre deve fare uno sforzo enorme per imparare le caratteristiche di ogni nuova applicazione o funzionalità con cui viene a contatto, mentre noi siamo capaci di scaricare un’applicazione su computer o smarphone ed utilizzarla correttamente e fluidamente da subito senza averla mai vista prima.

Igor Fobia
Igor Fobia
9 anni fa

Il problema c’è ma stano provando a risolverlo (altrove).

Il progetto Raspberry Pi nasce appunto da degli informatici inglesi che avevano notato una riduzione in qualità e quantità degli iscritti ad informatica a Cambridge, dovuta al fatto che con un Commodore 64 dovevi barcamenarti un minimo anche per far partire un gioco, mentre le console sono sistemi chiusi. Il mini-computer che propongono è fatto riavvicinare le nuove generazioni alla programmazione ed a “smanettare” con l’hardware https://www.raspberrypi.org

Da notare anche come Arduino abbia permesso un più facile accesso all’elettronica (progetto peraltro italiano).

Dunque esisterebbero strumenti per superare il problema, ma, avendo in Italia degli insegnanti con scarsissime competenze informatiche (nonché maestre che insegnano solo con il diploma) e dei genitori anch’essi molto impreparati sul tema, temo si stia facendo poco.

Alessandra Salimbene
Alessandra Salimbene
9 anni fa
Cris
Cris
9 anni fa

Serviva fare uno studio universitario per capirlo? Basta avere in casa un adolescente che ognuno di noi lo può capire da solo.

agh
agh
9 anni fa

Condivisibile solo in parte. Lo stesso discorso si faceva agli albori dell’automobile: chi non era capace di riparare da sè la macchina era perduto, non era un vero meccanico, o un vero automobilista. Saper mettere le mani nel motore è certamente utile, ma è davvero così vitale? L’auto e i pc sono strumenti, alla fine conta quello che ci fai

io
io
9 anni fa

ciauuuuuu

GAMoN
GAMoN
9 anni fa

La riflessione di Paolo Attivissimo sui nativi digitali può essere traslata allo stesso modo sui “nativi democratici”.
Le generazioni nate in regime di democrazia affermata, non riescono a percepirla come un’importante infrastruttura della vita sociale. La danno per scontata ma non ne conoscono il funzionamento, non ne riconoscono i principi, anche perché non hanno mai avuto esperienza diretta del contrario. E se la stanno facendo portare via, come in fondo è sempre successo anche con le democrazie del passato. Non ricordo una sola democrazia millenaria.

Nino
Nino
9 anni fa

Vorrei che di tutto ciò se ne parlasse nelle scuole,dalla prima elementare all’università; perchè non solo gli adolescènti ma anche gli adultiadulti fanno uso di questi “cosi” non sapendo che “arma” hanno in mano.Il loro cervello è come una spugna che assorbe tutto indiscriminatamente, e tutti si sentono “fichi” all’avanguardia.!!!

Kobla
Kobla
9 anni fa

Lei mangia la tartare di fassona ? Immagino che quindi sappia come cacciare l’animale che dovrà mangiare.
Immagino quindi che sappia anche ucciderlo, scuoiarlo, sezionarlo e porzionarlo, scegliendo il taglio più adatto.
Sicuramente poi avrà anche maturato competenze di tecniche di macelleria e di cucina. Saprà per certo come battere la carne al meglio e condirla con il giusto mix di spezie, in modo che risulti più saporita e digeribile.
Beato lei ! io mi limito a sedermi al ristorante ed ordinarla.

mariopansera
mariopansera
9 anni fa

mmm secondo me attivissimo fa confusione tra utilizzo del mezzo e competenza del mezzo. Ovviamente ha ragione nel dire che i ragazzi di oggi non capiscono l’infrastruttura. Ma questo vale per qualsiasi tecnologia. Uno puo usare la macchina o l’aereo senza sapere niente di motori. Il concetto di ‘nativo digitale’ sta nel nascere in un ambiente dove certi codici, certe ‘routines’ vengono assorbite automaticamente, quasi inconsciamente. Da qui il parallelismo con ‘l’essere nativo di una lingua’. Infatti quando io parlo la mia lingua nativa lo faccio indipendentemente dal fatto che conosco le regole grammaticali o no, la dinamica della creazione del suono etc etc insomma l’infrastruttura….

ddregs
ddregs
9 anni fa

Non mi stupisce leggere l’ennesimo articolo di Attivissimo orientato alla frecciata anti-Apple
Essendo cresciuto (nato nel 1971) in un periodo dove gli IBM PC costavano un occhio della testa, inaccessibili per chi come me è cresciuto in una famiglia di 5 persone dove solo il padre lavorava, ricordo con piacere il periodo su un Home Computer (TI-99/4A), dove per sviluppare c’era il TI Basic, e chi aveva voglia di imparare si cimentava con le prime basi della programmazione, con quel poco che c’era a disposizione (grazie al Gruppo Editoriale Jackson e alla J-Soft per quanto ci hanno offerto allora!).
Chi non voleva imparare, statisticamente, era solito scambiarsi i giochi di moda su C-64, l’unica cosa che imparava era scrivere LOAD … e caricare nastri e duplicatori per scambiare.
Ecco, siamo di nuovo all’analisi con lo stesso giro di boa:
chi vuole sviluppare su iPad , iPhone, ha a disposizione XCode , gratuito (certo, richiede un computer Apple su cui scrivere codice), un sacco di tutorial gratuiti, e si può sviluppare il proprio programma, con un linguaggio (Swift oggi, Obj-C ieri), che senz’altro è all’avanguardia rispetto ai Basic / Visual Basic di turno.
Vuoi un’applicazione già fatta? C’è lo scibile a disposizione su App Store (e spesso si trovano davvero molte cose utili gratuite).
Cosa manca rispetto a quei tempi?
– i costi inaccessibili dei PC
– la pirateria che derivava dalla copia di files su nastri prima e floppy poi
Cosa hanno in più i tablet di oggi?
– protezione contro i virus che ancora oggi impestano i PC (certo, soprattutto quelli basati su Windows)
– costi delle applicazioni MOLTO più accessibili
– performance che ai tempi coi PC (e in alcuni casi ancor oggi) te le sogni
Che poi ci siano polli di batteria, non è indicativo di niente. C’erano prima di me, ci son stati a scuola di informatica con me, e continuano ad esserci oggi. Il numero di essi è soltanto lo specchio della società in cui viviamo.

Aventuri
Aventuri
9 anni fa

Si si come no, i genitori dei nativi digitali invece sanno perfettamente cos’ è un URL

Anonimo
Anonimo
9 anni fa

Circa un mese fa ho tenuto 2 giorni di lezioni presso le classi terze di una scuola media dove vivo. Ho esattamente osservato questo fenomeno: polli da batteria “ad usum app”. Il mondo finisce con le app di giochi, whatsapp, instagram, un po’ di snapchat. Stop. Il loro contatto con la rete è limitato a you tube, ma non troppo. Di circa 200 ragazzi solo una piccola parte usa il web, i motori di ricerca, guarda e si informa sulle risorse disponibili online. Non più del 5% possiede una mail e solo in due – legge un giornale: la Gazzetta. Lasciamo perdere il capitolo: ebook, in molti non sanno cosa sono. Dunque non solo esiste un totale disinteresse per la parte tecnica, di programmazione, ma pure per quello che la Rete – se usata senza fretta – può dare come formazione. Al netto dell’età, mio padre la chiamava della “stupidera”, il panorama è sconfortante. Le cause sono varie e intergenerazionali. Io credo che il peccato originale resti un sistema paese impaludato e arroccato su interessi di ieri. La mancanza della scuola, smantellata e frenata nel processo di adeguamento è figlia di questa situazione.

Stefano P
Stefano P
9 anni fa

Potrei obiettare che quelli che, negli anni del boom economico, della motorizzazione di massa, non fossero altrettanto consapevoli di come funzionasse la loro Fiat 600, di quali dinamiche di potere generasse e di quanto potesse inquinare, e così via. Credo sia un falso problema.

federico
federico
9 anni fa

In questo eterno dibattito io penso sempre che entrambe le tesi siano sbagliate ed estremiste.

– Esistono i nativi digitali?

– Sono esperti di ict?
NO

– E allora perché sono tali?
Perché sanno utilizzare interfacce digitali in modo intuitivo e naturale, e le considerano una commodity standard.

– Eh, ma quelle interfacce SONO state create per essere facili e intuitive!
Sì, ma se prendi uno zio medio italiano ha bisogno di training, normalmente un nativo digitale no.

Il punto è che la dimestichezza con le interfacce e le tecnologie ict ovviamente non c’entra nulla con la consapevolezza e la capacità di comprenderle e utilizzarle al meglio. E aggiungo che il non curarsi dell’educazione digitale dei “nativi” è uno degli errori più grandi commessi e che stiamo commettendo in questi anni

( Ps: scusate per il maiuscolo)

ZioFrenk
ZioFrenk
10 anni fa

… di tutta l’erba un fascio. Non sono solo i giovani a cascare, e soprattutto non ci cascano tutti. È vero, la situazione è preoccupante e le nuove logiche di realizzazione di certi dispositivi sicuramente non aiutano, ma sono dell’idea che un minimo di libertà sia rimasta, basta saperla sfruttare. Io, per esempio, non ho mai comprato un computer in vita mia, eppure in casa ne ho una trentina (dato vecchio, dovrei aggiornarlo), soprattutto fissi e tutti di recupero o assemblati con pezzi trovati in giro, tra cui un serverino prima appartenente a una ditta su cui ogni tanto ospito pagine web, un IBM PS/2 con MS-DOS e BASIC, l’immancabile Commodore VIC-20 e il PC che sto utilizzando adesso, una workstation abbastanza moderna dalla “delicata” massa di 30kg (taccio sul portarla in camera attraverso due rampe di scale). Programmo microcontrollori vari in C e ultimamente anche in assembly (per ora i PIC) cercando di utilizzare il meno possibile librerie preprogrammate. Non sono iscritto ad alcun social network e le impostazioni di default non mi vanno mai bene. Tutto questo da quando avevo sei anni e sono nato quando le prime barriere tecnologiche cominciavano a spuntare, una ventina di anni fa. Ora, non ce l’ho con quanto scritto nell’articolo, che purtroppo è vero, ce l’ho con questa logica di assimilazione e con chi mi considera allo stesso livello degli schiavi tecnologicisolo perché non mi conosce. Inoltre vorrei dare una briciola di speranza a quelli che leggendo questo articolo smettono di credere nella nostra generazione, perché fortunatamente non siamo tutti uguali e se la massa si fa sottomettere da $immensa_società e dalle sue manie di controllo non vedo perché dovrei disattivare il cervello e seguirli, così come non capisco perché l’hanno fatto loro.

Fede Tostati
Fede Tostati
10 anni fa

Purtroppo queste parole di paolo non sono solo “considerazioni”… è lo specchio della realtà… occupandomi di informatica da una vita, mi sono accorto di questo trend già una decina di anni fa, e purtroppo non solo per l’informatica, ma in ogni “tecnologia”, frigorifero di casa compreso… io queste nuove generazioni le chiamo “gli Eloi”, analfabeti nutriti a tecnologia come pecore, non solo ignoranti, ma purtroppo nemmeno curiosi. Non sanno nulla, e non si chiedono nemmeno nulla. La situazione è molto più grave di quello che può sembrare, perchè chi dovrebbe porvi rimedio, ossia la classe politica, dirigenziale e gli insegnanti, sono i primi ad essere tecnologicamente ignoranti.

Fsuomi
Fsuomi
11 anni fa

Per creare e rendere completa una lingua ci vogliono tre generazioni . – Le generazione dal 1988(più o meno) è la terza dalla nascita del computer, per questo li possiamo chiamare Nativi Digitali. – Non sapranno tutto, ma il loro cervello e le loro reti neurali sono state plasmate dalla tecnologia, per loro l’utilizzo di strumenti digitali sarà più fluido, completo e naturale. Riusciranno a vedere cose che le altre generazioni non vedono.

Attilio A. Romita
Attilio A. Romita
11 anni fa

55 anni fa quando ho preso la Patente di guida era necessario conoscere il funzionamento del motore, cosa era il carburatore e l’anticipo non era una richiesta di soldi ….prima.
La mia prima auto era una Topolino mia coetanea, del 1938, e se non si sapeva fare la “doppia debralagliata” non si cambiavano le marce. Oggi anche molte auto italiane hanno il cambio automatico ….anche la mia e si guida con maggior tranquillità.
Lo stesso vale anche per la rete, internet ed i computer e non serve saperli costruire per poterli usare come per usare un auto non serve conoscere la coppia massima.
Serve l’educazione a l’uso di uno strumento come serve sapere che la guida ubriachi è pericolosa o che, come ci raccomandavano i nostri genitori, non bisogna dar retta agli sconosciuti.
Siamo tutti polli di batteria del nostro tempo e talvolta critichiamo perchè, con il poeta, “quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia…” e, come si dice a Roma “nun ce volemo stà…”

Gattobau
Gattobau
11 anni fa

Grazie di aver condiviso con tutti le tue riflessioni, che lanciano un raggio di luce sul lato oscuro (almeno per me) del mondo digitale.

Lorenzo
Lorenzo
11 anni fa

E’ un dubbio che ancora oggi non riesco a dipanare. Non so se sono proprio loro definibili “nativi digitali”, io ho avuto un Commodore64 a 7 anni e il meraviglioso Amiga 500 a 11, così come moltissimi miei coetanei. Molti di loro si limitavano a caricare i giochi e attaccare il joystick, così come il 90% di coloro che oggi hanno Tablet/Smartphone si limitano a usarlo come strumento di comunicazione. Ma all’epoca per usare quei computer dovevi per forza un po’ conoscerli e la curiosità ha portato molti, come me, a imparare a programmare facendone, poi, un mestiere. Chi è il vero nativo digitale allora? Siamo noi “vecchi” che sappiamo profondamente cosa significa “digitale” (in tanti abbiamo programmato anche in assembly) o sono loro che non distinguono facebook da internet? Ma il dubbio è maggiore è quello del titolo: oggi è tutto più facile degli anni 80/90, ma un sistema talmente semplice da arrivare addirittura a oscurarne la reale natura è considerabile evoluzione? Non lo so e continuerò a chiedermelo…

Annalisa
Annalisa
11 anni fa

Lo stesso Marc Prensky, d’altra parte, ha rivisto la sua proposta di classificazione (nativi digitali/ immigrati digitali), inserendo la categoria dei sapienti digitali: in sostanza, chi usa le tecnologie con una minima cognizione di causa, in qualunque momento abbia cominciato a usarle, è un “saggio” digitale (una persona digitalmente potenziata); un ragazzo che smanetta senza rendersi nemmeno conto di ciò che fa, è solo “digitalmente abile”. E poi, naturalmente, ci sono gli stupidi digitali (che usano la tecnologia per sfuggire situazioni sgradevoli o danneggiare qualcuno, ad esempio).

Miriano
Miriano
11 anni fa

Siamo tutti cosi’

Guido
Guido
11 anni fa

Ma va la, 15 anni fa nessuno usava Internet e, per la gioia delle telco, eravamo in pochi a sobbarcarci i costi delle incredibili interrurbane di cui toccava avvalersi per collegarsi alla grande rete.
Oggi che cambia? Niente, alla TV si è sostituito il tablet. Stop.
Meh.
Attivissimo noioso come sempre.
Ossequi.

beba
beba
11 anni fa

in linea di massima concordo, sono riflessioni che (con meno competenza specifica) molti di noi hanno fatto. però.
intanto il fenomeno smartphone è terribilmente recente. come possiamo escludere che domani il software open e tutto il resto non si insinuino anche in questo settore?

secondo: i nativi digitali sono nati, loro malgrado, “sbrodolando omogeneizzati sul tablet” come noi siamo veniuti su a cartoni di tv generaliste. ma nessun adulto o sociologo ci ha mai chiesto conto delle nostre competenze tecniche. nessuno mi ha mai guardato strabiliato perché a 11 o 12 anni non sapevo cosa fosse un tubo catodico o perché a 15 ero in grado di incidere una “cassettina” alla mia amica del cuore pur non sapendo che diavolo fosse un nastro magnetico.
la conoscenza e la competenza si acquisiscono studiando, e sa a noi adulti insitllare la curiosità e pa passione per il sapere. oggi come mille anni fa.

nessuno nasce imparato. neanche i nativi digitali.

mariposa
mariposa
11 anni fa

Buongiorno sono una studentessa Dol e Mooc i suoi interventi nelle scuole hanno un costo? Insegno in una secondaria di primo grado , a Lodi…. mi farebbe sapere .Grazie , riflettero sull articolo, citato dal proff Torrebruno in conferenza MOOC. CORDIALITÀ E BUONE FESTE .alice m. Biancardi

"Linneo"
"Linneo"
11 anni fa

Finalmente Paolo ha detto che il Re è nudo! Ho una nipote di 14 anni sempre attaccata a Whats (mi pare si chiami così) e Facebook. Quando ascolta delle canzoni ogni tanto capto delle parole inglesi che non conosco. Lei trova subito il testo, ma quanto a provare di verificare la traduzione che ne fa il traduttore di Google, ogni volta è come se le dicessi di andare a scoprire l’America. Non sono un esperto di informatica, ma sono cresciuto con lo Spectrum ed il DOS. Almeno sapevo che cosa avrebbe prodotto il comando che davo alla macchina. Sono giorni che combatto con Word per far lasciare più spazio alle note a piè di pagina, ma la soluzione pensata dal programmatore non è ciò che voglio.
Questa situazione mi fa venire in mente la mia gloriosa 500, il suo carburatore e le sue puntine. Un paio di pinze ed un cacciavite e – se non altro – si riusciva a tornare a casa. Se si ferma il mio Kangoo devo avere con me un PC col programma di diagnostica, se non non riparte.
Purtroppo anche nelle scuole il PC e la rete vengono presentati non come uno strumento di lavoro – con le sue regole d’uso – ma come un passatempo.
Sto forse diventando un Informosauro?

ComputArte
ComputArte
11 anni fa

….e lo dicevano gli antichi Romani che di esperienze ne hanno fatte molte prima di giungere a questa conclusione.
Questa, si può benissimo adattare a questo punto di vista. Proprio polli in batteria non sono, ma sicuramente tutta l’infrastruttura tecnologica è stata sviluppata per giungere ad una amara conclusione: spionaggio a 360°.
Gli Ott sono in grado di raccogliere, leggere, interpretare qualsiasi dato che transita sui loro server.
Ciunque può essere spiato, controllato e profilato.
Ma mentre qualche anno addietro tutto ciò era considarta “una ipotesi” oggi è una certezza.
Quindi tornando alla mancanza di libertà e al pericolo di essere pilotati e controllati, non posso che condividere la conclusione del prof.

spocchio
spocchio
11 anni fa

Mi sembra che qualcuno sia stato punto dall’insetto della gelosia eh?

Articoli correlati