Il gender gap STEM in Italia non è un problema marginale, ma una questione strutturale che ha radici profonde nel sistema educativo e culturale del Paese. Fin dalla scuola primaria, le bambine italiane vengono allontanate dalle discipline scientifiche attraverso stereotipi, aspettative limitate e la mancanza di modelli di riferimento. Questo fenomeno non solo compromette le loro opportunità professionali future, ma impoverisce l’intero tessuto sociale ed economico nazionale. Nel dibattito pubblico di questi anni si è affermata una narrazione pericolosa: le donne con ruoli di potere vengono ridotte a caricature.
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La delegittimazione delle donne nel dibattito pubblico e l’effetto sulle nuove generazioni
Nel dibattito pubblico di questi anni si è affermata una narrazione pericolosa: le donne con ruoli di potere vengono ridotte a caricature. Dalla retorica sessista rivolta a Ursula von der Leyen, alla premier finlandese Sanna Marin – criticate più per gli abiti indossati o per aver partecipato a una festa che per le loro politiche – fino alle accuse di essere «iraconda» rivolte a Greta Thunberg o alle polemiche sulla «poca esperienza» di giovani eurodeputate, non si contestano idee o competenze, ma si attaccano aspetto fisico, età e stile di vita.
Questo linguaggio delegittimante crea un clima da caccia alle streghe che colpisce la libertà delle donne e, di riflesso, quella delle bambine che osservano e imparano. Chi cresce in un contesto in cui l’autorità femminile è messa costantemente in discussione interiorizzerà l’idea che esprimere opinioni sia pericoloso con la conseguenza che molte ragazze evitano campi considerati «maschili», come le discipline scientifiche e tecnologiche.
I numeri del divario STEM in Italia: un gap che parte dall’infanzia
I dati raccolti da Save the Children alla vigilia della Giornata internazionale delle ragazze nella scienza sono impietosi: nel 2023 solo il 16,8 % delle donne italiane tra i 25 e i 34 anni con un titolo terziario possiede una laurea nelle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), contro il 37 % dei loro coetanei maschi. Il divario è presente in tutto il Paese ma varia a seconda della regione: al Nord si laurea in materie STEM il 17,5 % delle ragazze contro il 41,4 % dei ragazzi, nel Centro il 16,4 % contro il 39,3 %, mentre nel Mezzogiorno si scende al 16% contro il 27,5%.
Queste percentuali affondano le radici nella scuola primaria: secondo l’ultimo rapporto INVALSI sintetizzato da Save the Children, già dopo i primi due anni di scuola le bambine ottengono in matematica risultati mediamente inferiori di 9 punti rispetto ai coetanei; lo svantaggio sale a 11 punti alla fine della scuola primaria e rimane fino alle superiori. Paradossalmente, nelle competenze digitali le tredicenni risultano 18 punti avanti rispetto ai loro compagni, a conferma che non esiste una predisposizione «naturale», ma un problema di stereotipi e di aspettative.
Povertà educativa e diritti negati: il peso delle disuguaglianze territoriali
Anche l’Indice WeWorld Italia 2025, che misura la qualità della vita di donne e minori, evidenzia una situazione allarmante. Più di una donna su quattro (28,3 %) e quasi un minore su tre (29,9 %) vivono in regioni italiane dove l’accesso a diritti fondamentali come istruzione, salute e lavoro è minimo. Le donne sono il gruppo più vulnerabile, con un punteggio medio di 42,4/100, e quelle con figli nel Sud soffrono tassi di occupazione che non superano il 69,5 %.
La scarsa copertura dei servizi socio‑educativi (17,3 % rispetto al target europeo del 45 %) rende ardua la conciliazione tra vita e lavoro. La mancanza di infrastrutture educative e il carico di cura ricadono quasi esclusivamente sulle madri, creando un circolo vizioso: se alle donne non rimane il tempo per aggiornarsi, come possono trasmettere alle figlie la fiducia di poter eccellere in campi scientifici?
Stereotipi familiari e scolastici: come si forma il gender gap
Il gender gap STEM è dunque il risultato di fattori strutturali e culturali. Molte famiglie e molti media continuano a trasmettere l’idea che le materie scientifiche siano “cose da maschi”. L’indagine dell’Istat sul rapporto istruzione‑occupazione del 2024 mostra che nelle famiglie in cui almeno un genitore possiede una laurea, il 70 % dei figli riesce a conseguire un titolo terziario, mentre tale percentuale crolla al 10 % nei nuclei con genitori poco istruiti.
Questa “povertà educativa” penalizza soprattutto le ragazze, che devono affrontare stereotipi di genere e la mancanza di role model. I docenti, spesso inconsapevolmente, contribuiscono a rafforzare questi pregiudizi: alle bambine viene lodata la diligenza, ai maschi l’ingegno. Così molte ragazze perdono fiducia nelle proprie capacità matematiche e si orientano verso percorsi che la società percepisce come più «femminili».
Il mercato del lavoro ostile: precarietà e discriminazioni di genere
La pressione sociale non finisce con il diploma. Nel mercato del lavoro le donne devono affrontare contratti più precari: nel 2023 il 30,7 % delle lavoratrici tra i 25 e i 64 anni era costretto al part‑time, contro il 6,6 % degli uomini. I congedi parentali sono poco retribuiti e il 72,8 % delle dimissioni di neo‑genitori riguarda le madri. Una laurea STEM dovrebbe garantire maggiore stabilità, ma in Italia il differenziale occupazionale resta forte: fra i laureati in scienze e matematica il tasso di occupazione femminile è inferiore di 6,3 punti percentuali rispetto a quello maschile, e in informatica e ingegneria il gap sale a 9,3 punti: una giovane donna che studia ingegneria sa, dunque, che dovrà lottare il doppio per affermarsi e spesso senza supporto.
Cultura mediatica e mancanza di welfare: l’intreccio che blocca le donne
La combinazione di una cultura mediatica sessista e di un sistema educativo ancora sottofinanziato amplifica questi ostacoli, l’insistenza dei modelli di bellezza e della notorietà, spesso attribuiti a lavori di supporto maschile e dai facili guadagni, non invoglia molte ragazze a perseguire il loro investimento personale né nei percorsi STEM né in carriere nei settori non legati all’estetica e all’apparenza. Parallelamente, la mancanza di politiche efficaci per conciliare lavoro e vita familiare e l’assenza di servizi come asili nido economicamente accessibili rendono difficile per le donne mantenere la continuità professionale.
Gli alti tassi di part‑time involontario – quasi la metà delle donne sono costrette a orari ridotti, con il 49,1 % del part‑time femminile accettato poiché mancante di alternative– mostrano quanto il mercato del lavoro italiano resti ostile alla piena partecipazione femminile.
Esperienze virtuose: il ruolo dell’educazione ai diritti nell’abbattere gli stereotipi
Nonostante il quadro fosco, esistono esperienze virtuose anche a livello nazionale, il Programma “Scuole per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” promosso da UNICEF e Ministero dell’Istruzione e del Merito offre alle scuole un percorso triennale per far conoscere la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e promuovere la partecipazione attiva di alunne e alunni. Le scuole che aderiscono si impegnano a garantire la libera espressione e l’ascolto degli studenti, collaborando con il territorio per diffondere l’educazione ai diritti. Inserire nel curriculum un’educazione alle differenze e ai diritti consente di contrastare stereotipi e micro‑discriminazioni fin dalla scuola primaria, creando un terreno più fertile per l’orientamento scientifico.
Cambiamento culturale: il primo passo verso l’emancipazione scientifica
Per colmare il divario in STEM e, più in generale, emancipare le bambine, occorre agire su più livelli.
Innanzitutto, serve un cambiamento culturale: smettere di giudicare le donne per l’aspetto e valorizzare le competenze, come ricorda la linguista Vera Gheno, è il primo passo. I media devono adottare criteri etici che valorizzino la competenza e la professionalità femminile, superando l’oggettivazione e dare spazio a scienziate e tecniche.
Le famiglie dovrebbero evitare frasi come «la matematica non fa per le femmine» e incoraggiare i talenti delle figlie, orientare gli acquisti dei giochi per le bambine su strumenti educativi che combinano scienza, tecnologia, ingegneria, matematica per offrire fin da subito di poter essere coinvolte nell’esperienza con curiosità e sviluppare lo spirito critico.
La scuola come laboratorio di equità e le riforme necessarie
La scuola deve diventare un laboratorio di equità: introdurre nei curricula l’educazione di genere e i diritti umani; proporre attività laboratoriali di matematica e coding sin dalla primaria; promuovere competizioni scientifiche miste in cui si valorizzino creatività e collaborazione. Investire nell’istruzione e nella ricerca scientifica, garantendo pari opportunità formative per tutti offre alle giovani generazioni alternative solide alla carriera mediatica e contrasta la povertà educativa.
Politiche strutturali: welfare, incentivi e servizi per l’occupazione femminile
Sul piano strutturale, l’Italia deve investire in servizi socio‑educativi e conciliazione: più asili nido, tempo pieno nelle scuole, congedi di paternità retribuiti e smart working diffuso. Senza un welfare solido il carico di cura continuerà a frenare le madri e le figlie non vedranno modelli di carriera sostenibili. Il Governo potrebbe istituire borse di studio mirate per studentesse STEM, programmi di mentoring e stage nelle aziende tecnologiche, soprattutto nel Mezzogiorno dove la fuga dei cervelli è più marcata.
Oltre a questi interventi, servono politiche attive per l’occupazione femminile: incentivi fiscali e salariali alle aziende che assumono e promuovono donne in settori strategici, congedi parentali paritari e adeguatamente retribuiti e servizi per l’infanzia capillari e accessibili. Solo così sarà possibile ridurre le barriere strutturali che impediscono la continuità professionale e favorire una reale emancipazione.
Il potere dell’immaginazione: costruire un futuro senza stereotipi
Infine, non si dimentichi il potere dell’immaginazione. Le bambine devono poter sognare di diventare astronaute, ingegnere, informatiche, scienziate e quant’altro desiderino. Per farlo serve un ambiente che le incoraggi, non che le derida, come ricorda il WeWorld Index, la qualità della vita delle donne e dei minori dipende dal contesto, abbattere le barriere strutturali e culturali è un dovere collettivo. In un Paese che ancora discute se sia appropriato che una premier balli o che un’attivista esprima rabbia, la vera rivoluzione passa dalla scuola e dalle famiglie. Se vogliamo un’Italia che non sia più una «caccia alle streghe», dobbiamo iniziare a liberare le bambine dalle gabbie degli stereotipi e aprire loro la porta della scienza affinché le giovani donne possano aspirare a carriere fondate su competenze e merito piuttosto che sulla bellezza o sulla notorietà.











