Progressivamente, il web è diventato una dimensione della nostra vita, per cui tutte le attività analogiche, ormai, hanno un corrispettivo digitale: oggi Freud direbbe “Mi parli del suo Twitter” (Mandrone, 2022).
Indice degli argomenti
La vita sdoppiata tra reale e digitale
Le persone spesso si sdoppiano, identificandosi preferibilmente nella loro dimensione digitale.Ciò genera confusione e alcuni rischi.
La dimensione digitale consente potenzialmente a tutti di mettersi in contatto con tutti. Il prezzo da pagare per questa connessione globale è la deprivazione sensoriale dell’esperienza virtuale.
La disintermediazione, infatti, aggira quei sensi che trasmettono alla mente le sensazioni corporali, quelle che sfuggono alla ragione: amore, paura, imbarazzo e dolore.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il dolore come un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a un evento.
La perdita dei sensi e il ruolo del dolore
È proprio l’essere una sensazione sgradevole che consente al dolore di imporre al corpo di fermarsi, di autotutelarsi, di proteggersi. A volte dura poco, a volte a lungo, a volte è un’emozione, altre una vera e propria lacerazione. Certe volte non deve neanche manifestarsi: è lo scampato pericolo, il sudore freddo sulla fronte.
Il dolore si impone. È un torcibudella, un pizzico, una netta discontinuità tra lo stare bene e lo stare male.
L’assenza di dolore e la fine dell’empatia
Il computer, invece, non è in grado di farti percepire il dolore. Una luce lampeggiante o un suono sincopato non riesce sempre a destarti, ad avvertirti, a metterti in guardia istantaneamente. E così ti fai male. O fai male a qualcuno.
Qualcuno che lavora e tu non vedi che fatica, qualcuno che combatte e tu non senti il suo grido quando lo colpisci con un drone, qualcuno che piange per le parole che hai scritto su di lui ma non lo senti.
L’assenza di dolore implica scarsa empatia, distacco, disintermediazione, disinteresse, bassa coscienza degli effetti delle proprie azioni sugli altri.
Il soldato digitale e la guerra senza corpo
Quando pensiamo a un soldato, ad esempio, pensiamo a una persona prestante, forte, aggressiva, con un’innata tendenza al combattimento, coraggiosa e sprezzante.
Torna alla mente il marine che si cala da un elicottero nella giungla, il paracadutista che si lancia nelle linee nemiche nell’Europa occupata dai nazisti, l’ardito che striscia tra le trincee della Prima guerra mondiale e, risalendo nel tempo, si arriva al gladiatore del Colosseo. Una persona che nell’immaginario collettivo ha una divisa logora, una presenza importante, un odore forte di polvere da sparo e sudore, un corpo segnato, uno sguardo truce.
Oggi il soldato digitale indossa un camice bianco, ha una laurea in informatica, è un esperto di droni a controllo remoto. Si muove poco, ha qualche chilo di troppo, a volte non appartiene neanche a un esercito regolare, puzza di sigaretta elettronica e cibo cinese.
Quello che rischia è che gli si rovesci il pranzo sulla tastiera o che cada la connessione all’improvviso. Il soldato digitale è letale tanto quanto il soldato analogico. Con un’enorme differenza: è un intervento a bassa coscienza, un videogame molto realistico, una sequenza di codici con un esito predefinito. Non si incrociano gli sguardi di chi colpisce, non si sentono i boati delle bombe che sganciano, non si vedono i danni che si provocano.
La giacca non si sporca strisciando, la mano non trema all’idea di sparare, il nemico è in un mirino, un visore a infrarossi, simile a una scena di un sniper games.
Non c’è lo “spirto guerrier che entro mi rugge”, non c’è il contrasto tra il buono e il cattivo, non c’è commozione. È più simile a un intervento in laparoscopia, è come seguire le istruzioni del navigatore o pagare con la carta di credito. Si perde qualcosa spesso rilevante per capire il processo nel suo complesso.
Le origini della guerra digitale
La prima battaglia cibernetica fu combattuta da esperti di semiotica e di logica tedeschi e inglesi: l’obiettivo era decifrare la macchina che criptava i messaggi nazisti, Enigma. La battaglia la vinse il matematico Alan Turing che consentì agli alleati di decodificare i piani militari tedeschi, le rotte dei sottomarini, lo spostamento dei carri armati… Contribuì a procurare serie perdite al nemico, seduto nel suo studio di Bletchley Park.
Sentire versus pensare: la lezione del cinema
Qualche giorno fa è mancato Robert Redford. Nel 1967 interpretò un giovane marito impegnato, prudente e serio che non riusciva a lasciarsi andare come avrebbe voluto con la neosposa. Era uno che pensava, mentre lei voleva qualcuno che sentisse. Lei voleva che “andasse a piedi nudi nel parco” per destare i suoi sensi, provare emozioni, non ragionare con la testa ma con la pancia. Lui, invece, trovava irragionevole passeggiare a Central Park con 8 gradi sottozero. Lei voleva un uomo che reagisse e non un professionista che soppesasse, valutasse e scegliesse l’opzione razionalmente migliore. Errori compresi.
Il piano digitale è anaffettivo, non trasmette il calore, l’odore, la paura, l’emozione e non accetta la componente irrazionale della vita. Vedersi su Zoom non è come stare abbracciati su una panchina. Giocare a pallone nel prato non è come farlo sulla playstation. I danni della disintermediazione sensoriale sono un rischio elevato, assai sottostimato.
Imitazione della vita e alienazione
I R.E.M. già nel 2001 cantavano Imitation of Life. Viviamo spesso in una duplicazione fittizia della vita. Una rappresentazione innaturale. Lo sanno bene gli hikikomori chiusi in casa davanti al pc o chi si fa venire la gastrite per un like o chi teme per il proprio ristorante per un follower perso.
Una vita vissuta avrà sempre bisogno di sentire il prato freddo sotto i nostri piedi, il battito del cuore di chi c’è accanto, gli occhi del nemico…
La disconnessione nel consumo
Questo distacco si ritrova nel consumo, per cui la produzione non è percepita come un processo reale, in cui qualcuno crea con il proprio lavoro un bene o un servizio, ma come una sorta di black box dalla quale “magicamente” si materializzano le cose acquistate.
Così non si vede la stanchezza del lavoratore, i rischi che corre, i diritti negati, ecc. In questa prospettiva il lato oscuro della disintermediazione è la mancanza di relazioni sensoriali. Quelle che ci fanno capire quello che non viene detto, vedere oltre il lavoratore o il soldato, sentire l’odore della pioggia che ci bagna entrambi.
L’odore delle pecore: la lezione di Papa Francesco
Papa Francesco per rendere questa connessione profonda che dobbiamo avere con le persone che circondano e gli eventi che alimentiamo diceva: “I pastori devono avere l’odore delle pecore”.
Vale in tutte le mediazioni che si possono fare attraverso il web, dalle relazioni personali alle notizie, dalle contese militari a quelle commerciali, dai dati alla conoscenza. C’è un rischio di eccesso di neutralità, una relazione asettica tra le parti, il troppo politicamente corretto che spegne la passione, la fine delle interazioni sensoriali, una separazione totale tra le parti, tra gli attori in gioco, tra le persone…
Perché comunicare non è connettersi
L’incomunicabilità è in una relazione non lineare con l’interconnessione. Antonioni già negli anni ’60, quando si diffusero i telefoni e il benessere – rilevò come per comunicare non servisse tanto il mezzo tecnico quanto la volontà reciproca di dirsi qualcosa.
Mi pare un’affermazione ancora valida.
Bibliografia
A. Arsenevich, 2015, REM’s Imitation of Life: A Chance to do Something Different, New York Press.
A. Hodges, 1983, Alan Turing: The Enigma, Touchstone Books.
E. Mandrone, 2023, L’era della social-democrazia, lavoce.info.
A. Tersigni, 2018, Trilogia dell’incomunicabilità o dell’esistenza di Michelangelo Antonioni, Academia.



































































