Negli ultimi anni, la fiscalità sulle criptovalute è diventata uno dei temi più caldi del panorama economico italiano. Con l’emersione di un numero crescente di investitori, startup e operatori, il legislatore ha progressivamente riconosciuto la necessità di dare un quadro normativo stabile a un ambito in costante evoluzione. L’obiettivo è duplice: da un lato garantire certezza giuridica e tutela per gli investitori, dall’altro assicurare un’adeguata imposizione fiscale su un mercato che, fino a poco tempo fa, si muoveva in un’area grigia. In Italia, la Legge di bilancio 2026 prevede un’evoluzione nella tassazione delle cripto: vediamo quale.
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Lo stato attuale della tassazione crypto in Italia
Oggi, in Italia, le plusvalenze derivanti da criptovalute sono tassate al 26%, come previsto per gli strumenti finanziari tradizionali. L’imposta si applica solo se i guadagni superano la soglia di 2.000 euro annui e riguarda le operazioni di conversione in valuta legale o il passaggio da un cripto-asset all’altro che generi una differenza positiva tra il prezzo di vendita e quello d’acquisto.
Il contribuente ha la possibilità di dichiarare autonomamente le proprie plusvalenze nel quadro RT del modello Redditi, oppure di avvalersi di intermediari regolamentati che agiscano da sostituti d’imposta.
Con l’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2023, l’Italia ha riconosciuto ufficialmente i cripto-asset come attività patrimoniali digitali, introducendo strumenti di regolarizzazione del pregresso e regole più chiare sulla determinazione del valore di acquisto. Tuttavia, il dibattito politico e tecnico non si è fermato: l’attenzione si è spostata sulle prospettive future e su un possibile incremento dell’aliquota.
L’ipotesi di aumento al 42% e cosa comporterebbe
Negli ultimi mesi, diverse fonti parlamentari e ministeriali hanno lasciato intendere che si stia valutando un aumento dell’aliquota fino al 42% per alcune categorie di redditi finanziari, incluse le plusvalenze da criptovalute.
L’ipotesi, ancora allo stadio di discussione, si inserisce in un contesto di revisione complessiva della tassazione dei redditi da capitale e da investimenti, con l’obiettivo di aumentare il gettito e ridurre la disparità tra redditi da lavoro e rendite finanziarie.
Un’eventuale applicazione di questa misura avrebbe un impatto significativo. Portare la tassazione delle crypto al 42% — cioè allinearla a quella dei redditi più alti — invierebbe un segnale chiaro al mercato: le criptovalute non sono più considerate una nicchia speculativa, ma un settore maturo, soggetto alle stesse regole fiscali dei capital gain tradizionali. Tuttavia, la mossa rischia di produrre l’effetto opposto a quello desiderato: spingere una parte degli investitori verso giurisdizioni più favorevoli o, peggio, verso forme di evasione e sommerso.
Resistenze del settore e rischio di economia sommersa
L’industria crypto italiana e le startup del settore hanno espresso preoccupazioni crescenti. Secondo diverse associazioni di categoria, un’aliquota così elevata rischierebbe di penalizzare l’innovazione e di rendere l’Italia meno competitiva rispetto ad altri Paesi europei che stanno cercando di attrarre capitali digitali attraverso politiche fiscali più favorevoli.
Un eccessivo carico fiscale potrebbe disincentivare la trasparenza, rendendo più conveniente mantenere le proprie attività su piattaforme non europee o in ambiti decentralizzati difficilmente tracciabili. Il rischio, in questo caso, non è solo economico ma anche sistemico: allontanare operatori e startup significherebbe rinunciare a un pezzo importante dell’economia digitale nazionale.
Scenari futuri per la tassazione crypto in Italia
Al momento, gli scenari sul tavolo sono diversi.
Se l’aliquota restasse al 26%, l’Italia manterrebbe una posizione intermedia rispetto ai principali Paesi europei, con un’impostazione simile a quella di Spagna e Germania.
Alcune fonti vicine al Ministero dell’Economia ipotizzano invece un aumento più graduale, con un passaggio al 33% dal 2026, per allineare la tassazione alle rendite finanziarie ordinarie.
Altri analisti suggeriscono una tassa sostitutiva ridotta, ad esempio del 18% sul patrimonio crypto, da applicare su base volontaria per semplificare la rendicontazione e favorire l’emersione dei capitali.
Ognuna di queste opzioni comporta implicazioni diverse: mentre l’aliquota più alta punta all’equità fiscale, le alternative più flessibili potrebbero incentivare la regolarizzazione e garantire gettito stabile nel tempo.
Impatti su startup e operatori tra MiCAR e compliance fiscale
Per le imprese che operano in ambito blockchain e cripto-asset, l’evoluzione del quadro fiscale rappresenta un elemento cruciale.
Aziende che stanno richiedendo la licenza MiCAR (Markets in Crypto-Assets Regulation), come nel caso di operatori italiani specializzati in servizi di intermediazione e custodia, dovranno garantire non solo conformità normativa ma anche solidità contabile e trasparenza nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate.
La compliance fiscale, in questo scenario, diventa un vantaggio competitivo: essere in regola non è più un semplice obbligo, ma un requisito per poter dialogare con banche, investitori istituzionali e partner internazionali.
Cosa cambia per gli investitori: dati, tracciabilità e controlli
Per i piccoli e medi investitori, le implicazioni principali riguardano la gestione dei dati e la tracciabilità delle operazioni.
Tenere un registro accurato delle transazioni, conservare le ricevute di acquisto e vendita e utilizzare piattaforme che forniscano rendiconti dettagliati sono pratiche essenziali per evitare contestazioni.
Con l’aumento della supervisione, è probabile che il Fisco introduca sistemi di scambio automatico di informazioni anche per i wallet e gli exchange esteri, seguendo l’esempio della DAC8 europea. In prospettiva, il mercato italiano dovrà trovare un equilibrio tra l’esigenza di regolare e tassare un settore in crescita e la necessità di non soffocare l’innovazione.
Una tassazione eccessiva rischia di rallentare lo sviluppo di un ecosistema che, con MiCAR, sta finalmente trovando una cornice normativa chiara e condivisa a livello europeo.
Una scelta politica tra gettito, equità e crescita
Il dibattito sulla tassazione delle criptovalute in Italia è solo all’inizio, ma rappresenta un punto di svolta cruciale.
Se da un lato la maggiore attenzione fiscale segna la maturità del settore, dall’altro la sostenibilità di un’aliquota del 42% resta discutibile.
La vera sfida per il legislatore sarà coniugare rigore fiscale e crescita economica, riconoscendo che la blockchain non è più un fenomeno marginale, ma una delle infrastrutture centrali della finanza del futuro.













