vendite giudiziarie

Portale vendite pubbliche giudiziarie, che pasticcio la giustizia digitale: come rimediare

Con il portale delle vendite pubbliche, lo Stato è entrato nella pubblicità immobiliare, senza disporre però della necessaria professionalità e con un risultato, quindi, abbastanza pasticciato che non regge il confronto coi siti privati. Cerchiamo di capire cosa non va e come rimediare

Pubblicato il 19 Giu 2018

Enrico Consolandi

Magistrato, referente informatico Tribunale di Milano

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Il sistema delle vendite giudiziarie offre occasione per affrontare la necessità di apertura dei dati della giustizia: questi costituiscono un patrimonio conoscitivo e comunicativo che va valorizzato.

Il portale delle vendite pubbliche

In questo settore nel 2018 si è cercato di passare da una gestione “privatizzata” ad una pubblica, cioè alla costituzione e gestione del PVP, portale delle vendite pubbliche, pensato come uno strumento per far conoscere e vendere al meglio ciò che è oggetto di esecuzione forzata nei confronti dei debitori.

In precedenza vi erano società specializzate che si occupavano della pubblicizzazione delle vendite di beni pignorati, per incarico dei Tribunali.

Si sta poi tentando di passare dall’asta con presenza fisica delle persone alla vendita telematica mediante offerte veicolate dalla rete, affidata a soggetti appositamente autorizzati.

Una strada decisamente progressiva, di netto svecchiamento, che punta su modelli di vendita moderni, già utilizzati in rete, per ampliare il mercato e realizzare maggiori incassi, ad utile dei creditori procedenti e al contempo dei debitori esecutati.

Le criticità del portale rispetto ai siti privati

Nella realizzazione pratica si rischia di compromettere l’obiettivo.

L’inefficienza del portale di pubblicizzazione e condivisione dei beni in vendita condiziona le possibili offerte, le vendite telematiche appaiono difficilmente controllabili dal giudice, con menomata garanzia delle parti, e le procedure non sono state semplificate. Anzi un certo neoformalismo informatico allontana chi si sente insicuro nell’investire somme consistenti mediante la rete.

In effetti balza agli occhi, con un semplice accesso, la differenza fra il portale deputato alla pubblicizzazione degli immobili e degli altri beni in vendita forzosa e i più diffusi siti di pubblicità immobiliare, anche quelli relativi alle aste giudiziarie (come asteannunci.it o astegiudiziarie.it).

Gli immobili sono pubblicati ed ordinati con pochi metadati e informazioni distintive. Mancano, nella scheda di presentazione, il dato fondamentale e cioè la fotografia, che è stereotipata per tipi di immobile, la composizione con descrizione sintetica, il piano, un riferimento su una mappa.

La ricerca per prossimità (raggio d’azione) basata su mappe google non funziona correttamente e restituisce tutta Italia, per cui più crescerà il numero degli immobili pubblicati più sarà difficile rinvenirli. Già ora risulta impossibile cercare un immobile in una certa zona di una città, la ricerca funziona solo per Comune, per il numero di immobili presenti, per cui sarà necessario leggere tutte le migliaia di annunci per esempio milanesi per trovare quelli in zona Porta Venezia, che in ipotesi interessi il possibile acquirente.

Inoltre spesso la ricerca su più condizioni successive dà risultati incongrui, segno che i metadati non sono inseriti correttamente o lavorati correttamente: per esempio cercando un immobile a Novara con parole di testo libero Giulio Cesare non si trova l’immobile in Viale Giulio Cesare che si rinviene invece cercando solo la località di Novara.

Per molti immobili poi è indicata una data di asta nel passato, senza che vi sia evidenza del risultato, per cui l’utente resta con il dubbio che si tratti di immobili già venduti.

Tassare i dati, un esempio controproducente

La “tassa” per la pubblicità è di 100 euro ad annuncio (per immobili e beni mobili registrati, art. 18 bis dpr 115/2002 appositamente modificato da art. 15 83/2015) che viene posta a carico inizialmente del creditore che li deve anticipare per poi rivalersi sulla procedura. Ma questa “tassa” viene richiesta sia per il primo inserimento che per le modifiche successive, per cui correggere eventuali errori comporta il suo pagamento: in questo modo si è ottenuto che, per risparmiare, si rinunci spesso a correggere gli errori, ottenendo una scarsa qualità del dato.

Una scelta di cassa estremamente miope quanto al risultato possibile: per qualche danaro in più si svende la qualità dei dati, che è invece la finalità dell’operazione.

Incongruità e discrepanze tra PVP e siti privati

A cercare oltre si possono trovare molte incongruità simili a queste sul Portale Vendite Pubbliche, il che ostacola la ricerca dei beni e compromette l’obiettivo di allargamento del mercato.

Per legge (art. 596 cpc) la pubblicità deve essere fatta anche su altri siti, di privati soggetti ad autorizzazione e censimento pubblici ed infatti nel PVP sono presenti i link a questi siti, che offrono maggiore chiarezza ed efficienza (si veda il confronto fra il medesimo immobile nel PVP, all’interno del file specifico e un sito privato che pubblicizza il medesimo immobile, accessibile dal PVP stesso).

In questo modo effettivamente la pubblicità si amplia, con il riutilizzo dei dati delle vendite, salvo il fatto che, ammesso di riuscire a trovare lo stesso immobile sul sito pubblico e privato, vi possono essere discrepanze e in questo caso l’utente non saprà a quale delle informazioni dare prevalenza.

Maggiore efficienza vi è in quei Tribunali in cui veniva data in appalto a un operatore privato la pubblicizzazione delle vendite, perché questo operatore organizzava sia la raccolta dei dati giudiziari che la loro pubblicazione sui siti dei Tribunali e sul proprio sito privato; questa impostazione tuttavia consentiva la appropriazione di dati pubblici in modo problematico e sono state frequenti le impugnazioni al TAR degli atti di assegnazione del servizio.

Perché il PVP non regge il confronto

Qui si evidenzia la criticità dell’attuale momento: il settore pubblico ha pensato di svolgere in proprio questo servizio, ma al momento il PVP non regge il confronto con i siti privati, forse perché manca dietro al portale una organizzazione dedicata e la competenza degli operatori professionali, da tempo sul mercato, che non si può inventare di punto in bianco in una struttura ministeriale. La Direzione del Ministero della Giustizia preposta alla informatica (DGSIA) tra l’altro già arranca dietro le mille necessità di sviluppo del processo civile telematico, cui ora si aggiunge un processo penale telematico decisamente problematico.

Siamo ancora lontani da un sistema che fornisca dati aperti cui operatori professionali possono aggiungere valore con un’efficiente pubblicazione ed organizzazione.

In buona sostanza lo Stato entra nella pubblicità immobiliare, come fanno siti privati di intermediazione immobiliare, senza disporre però della necessaria professionalità.

Il risultato allo stato è scadente e non pare esservi la predisposizione di una struttura che migliori le prime realizzazioni.

La via ad oggi percorsa comporta che il Ministero della Giustizia diventi imprenditore dei dati in proprio, il che è decisamente estraneo alle sue tradizionali funzioni, giacchè non è certo Google, ma neanche Tecnocasa o Casa.it.

Difatti il portale sta riuscendo male e rischia di compromettere intenti virtuosi quali la apertura delle informazioni sulle vendite giudiziarie, cosa sicuramente utile per incrementare un mercato troppo asfittico per oscurità e difficoltà procedurali.

Forse occorrerebbe ripensare la strada: non organizzare in proprio i dati in un portale, ma offrire questi a imprenditori esperti del settore, che li gestiscano, legandoli a trasparenza e completezza mediante controlli ed apposite concessioni e ricavando così dai dati stessi le risorse per migliorare la loro qualità.

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