L’adozione dell’intelligenza artificiale accelera in Italia, in Europa e nei Paesi del G7, ma resta fortemente concentrata nelle grandi imprese e nei settori più digitalizzati.
Il confronto tra dati pubblicati in questi giorni da ISTAT, Eurostat e OECD mostra che il vero discrimine non è l’accesso alla tecnologia, bensì la capacità organizzativa di comprenderla, governarla e integrarla nei processi.
Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale è entrata stabilmente nel dibattito pubblico, alimentando la percezione di una tecnologia ormai diffusa in modo capillare nei sistemi produttivi.
I dati ufficiali raccontano però una realtà più articolata: la crescita c’è, ma l’uso resta minoritaria e non sempre strutturato.

Indice degli argomenti
Adozione dell’AI nelle imprese: i numeri chiave tra Italia, UE e G7
Secondo Eurostat, nel 2025 utilizza almeno una tecnologia di AI il 19,95% delle imprese europee con almeno dieci addetti.
In Italia, il dato ISTAT si attesta al 16,4%, pur in forte crescita rispetto all’8,2% del 2024 e al 5,0% del 2023.
Nel perimetro OECD, che include i Paesi del G7, la quota di imprese che adottano AI raggiunge circa il 14% nel 2024, più che raddoppiata rispetto al 2020.
Il messaggio è duplice: da un lato l’AI entra in una fase di accelerazione reale; dall’altro, resta una tecnologia usata da una minoranza di imprese.
Adozione AI: dimensione aziendale come spartiacque reale
Il confronto tra ISTAT, Eurostat e OECD converge su un punto cruciale: il principale fattore discriminante nell’adozione dell’AI non è il contesto nazionale, ma la dimensione dell’impresa.
In Europa oltre il 55% delle grandi imprese utilizza AI, contro circa il 17% delle piccole.
In Italia il divario è ancora più accentuato: nel 2025 il 53,1% delle grandi imprese dichiara di usare AI, mentre tra le PMI la quota scende al 15,7%.
Nei Paesi OECD la dinamica è analoga, con circa il 40% delle grandi imprese e meno del 12% delle piccole.
Questo scarto è più ampio di quello osservato per altre tecnologie digitali, come il cloud o l’analisi dei dati.
L’AI non agisce come fattore di livellamento, ma tende ad amplificare differenze organizzative preesistenti.
Settori dove l’adozione dell’AI nelle imprese corre più veloce
Anche sul piano settoriale, i dati delle tre fonti restituiscono uno schema coerente: l’adozione dell’AI è più elevata nei settori ad alta intensità informativa.
I servizi di informazione e comunicazione e le attività professionali, scientifiche e tecniche registrano livelli che superano spesso il 40–50%.
Al contrario, costruzioni, trasporti e logistica restano stabilmente sotto il 15%.
Questo non indica una scarsa rilevanza dell’AI per l’industria tradizionale, ma segnala modalità di utilizzo diverse e meno visibili, spesso incorporate in software, macchinari o sistemi di controllo.
Non una sola applicazione: un portafoglio di micro-usi
Un ulteriore elemento di chiarezza riguarda la natura dell’adozione: non esiste una singola “killer application” dell’AI.
Eurostat mostra che nessuna tecnologia domina: text mining, AI generativa, machine learning, riconoscimento vocale e automazione presentano livelli di diffusione relativamente simili.
In Italia, oltre la metà delle imprese che adottano AI utilizza strumenti di AI generativa, ma quasi sempre in combinazione con altre tecniche.
L’OECD osserva che, soprattutto nelle PMI, l’uso dell’AI è spesso sperimentale, legato a strumenti standard e a iniziative bottom-up.
Perché l’adozione non è ancora “strategia”
L’AI entra quindi come portafoglio di micro-adozioni, non come progetto unitario già pienamente integrato nella strategia aziendale.
In questa fase la differenza la fa la capacità di governare il cambiamento: dati, competenze, ruoli e processi.
Dove si concentra l’adozione dell’AI nelle imprese: funzioni e processi
Le tre fonti concordano anche sugli ambiti aziendali di applicazione.
Marketing, vendite, amministrazione e supporto decisionale sono le funzioni in cui l’AI è oggi più diffusa.
Produzione e logistica restano, almeno per ora, marginali.
Il caso italiano è particolarmente indicativo: oltre un terzo delle imprese che dichiarano di usare AI non associa la tecnologia ad alcun ambito aziendale specifico, segnalando una fase di esplorazione diffusa.
Le vere barriere all’adozione dell’AI nelle imprese
Quando si analizzano le ragioni del mancato utilizzo, ISTAT, Eurostat e OECD restituiscono un quadro sorprendentemente allineato.
La principale barriera è la mancanza di competenze, seguita dall’incertezza normativa, dai timori legati alla privacy e alla protezione dei dati e dalla qualità insufficiente dei dati disponibili.
I costi giocano un ruolo secondario, mentre solo una quota ridotta di imprese dichiara di non adottare l’AI perché ritenuta poco utile.
Questo è centrale: il problema non è la percezione del valore dell’AI, ma la capacità di governarla in modo responsabile, sicuro e coerente con i processi esistenti.
Italia, Europa e G7: dati a confronto in sintesi
| Dimensione | Italia (ISTAT) | UE (Eurostat) | G7 / OECD |
|---|---|---|---|
| Adozione complessiva | 16,4% (2025) | 19,95% (2025) | ~14% (2024) |
| Grandi imprese | 53,1% | 55,03% | ~40% |
| PMI | ~15–17% | ~17% | ~12% |
| Settori leader | ICT, servizi | ICT, servizi | ICT, servizi |
| Principale ostacolo | Competenze | Competenze | Competenze |
Adozione dell’AI per dimensione d’impresa
Il blu indica la quota di PMI (piccole e medie imprese, tipicamente 10–249 addetti) che utilizzano l’AI, l’arancio indica la quota di grandi imprese (250 addetti e oltre) che utilizzano l’AI.
La vera frattura non è geografica, ma dimensionale: il gap PMI–grandi imprese è enorme, più rilevante della differenza tra Paesi, e l’AI amplifica le asimmetrie organizzative.
Principali barriere all’adozione
Le imprese non rifiutano l’AI perché inutile, ma perché non sanno come governarla.
Competenze al primo posto, normativa e dati subito dopo, mentre “non utile” è marginale.
Le cose che i dati non dicono: qualità, persone e tempi
Il confronto tra ISTAT, Eurostat e OECD restituisce un quadro solido su quanto e dove l’AI venga adottata, ma lascia fuori elementi cruciali per comprenderne l’impatto reale.
Il primo riguarda la qualità dell’adozione: i dati censiscono la presenza di tecnologie di AI, ma non misurano il grado di integrazione nei processi né il valore effettivamente generato.
Un secondo aspetto riguarda il ruolo delle persone.
Le statistiche osservano l’impresa come unità, ma non distinguono tra uso individuale e uso organizzativo: in molte PMI l’AI è adottata da singoli professionisti o team ristretti, senza un mandato chiaro, senza formazione strutturata e senza una governance esplicita.
C’è poi il tema del tempo.
L’adozione dell’AI non è un evento puntuale, ma un processo cumulativo che richiede sperimentazione, errori, adattamenti e apprendimento: i dati fotografano uno stato, ma non catturano la traiettoria.
Infine, resta sullo sfondo il nodo della trasformazione del lavoro.
Le statistiche sull’adozione non dicono nulla su come l’AI stia modificando competenze, ruoli, autonomia decisionale e responsabilità, eppure è proprio su questo piano che si giocherà gran parte dell’impatto economico e sociale nei prossimi anni.
Oltre la retorica dell’adozione dell’AI nelle imprese
Il confronto tra ISTAT, Eurostat e OECD consente di superare due narrazioni opposte ma ugualmente fuorvianti: l’idea di un’AI già pervasiva e quella di un’Italia o di un’Europa strutturalmente in ritardo.
I dati mostrano invece una traiettoria comune alle economie avanzate: l’AI cresce, ma amplifica le differenze organizzative e richiede basi digitali solide, competenze diffuse e capacità di integrazione nei processi.
La sfida centrale non è aumentare il numero di imprese che sperimentano l’AI, ma accompagnare la transizione dall’uso esplorativo a un’integrazione strutturale.
Su questo passaggio, più che sulla tecnologia in sé, si giocherà l’impatto dell’intelligenza artificiale su produttività, competitività e lavoro nei prossimi anni.










