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Comunicare e collaborare: ecco le competenze per l’industry 4.0

Pubblicato il 15 Feb 2018

Barbara Quacquarelli

professore Associato di Organizzazione Aziendale, Università degli Studi di Milano-Bicocca

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Il Piano Nazionale Industria 4.0 aiuta ed incentiva le imprese che investono in Ricerca e Sviluppo e beni strumentali mirati alla trasformazione dei processi produttivi. Un importante supporto al cambiamento tecnologico ed economico delle aziende del nostro Paese, che però per poter funzionare necessita di due elementi imprescindibili: le competenze delle persone e l’organizzazione del lavoro.

LEGGI COSA SONO LE COMPETENZE 4.0 IN AZIENDA

Come cambia davvero l’azienda con Industry 4.0

Il cuore dell’avvento dell’Industry 4.0 riguarda la trasformazione delle aziende in “sistemi cyber-fisici” che vedono l’interazione tra hardware, software e persone per gestire i processi di lavoro.

I cambiamenti che le aziende dovranno affrontare per gestire la sfida dell’industria 4.0 in Italia avranno un impatto a tutti livelli, da quello interno, che attiene all’organizzazione aziendale, al modo di relazionarsi con il cliente sul mercato. La connessione tra interno ed esterno dell’azienda diventa sempre più rilevante, e i tradizionali confini tra unità organizzative, come tra diverse aziende della supply chain sono destinate ad essere sempre più permeabili.

La possibilità, mediante l’analisi dei dati, di avere accesso a informazioni in grado di configurare per il cliente prodotto, produzione, comunicazione, pricing e vendita porta ad un importante ripensamento dei flussi di informazioni ma anche, di conseguenza, dei flussi di persone nelle organizzazioni intorno a questi flussi.

Ma avere la disponibilità di una gran mole di dati e connessioni non è di per sé predittivo né del successo di un’impresa né di un automatico aumento di produttività. Anzi, paradossalmente un eccesso di volumi di informazioni può portare ad una diminuzione della produttività se l’organizzazione e le persone non sono pronte o in grado di gestirlo.

Quindi ben vengano gli investimenti in questa direzione, che consentono alle aziende e al sistema Paese di dotarsi della necessaria infrastruttura, ma cosa porterà questi investimenti a generare effettivo valore per le organizzazioni e per noi tutti clienti di prodotti e servizi?

L’intelligenza sociale: le competenze

Per ottenere dei risultati rilevanti in termini di business e di produttività non basterà aumentare l’intelligenza delle cose (parafrasando quello che accade con l’Internet of Things), ma sarà necessario aumentare l’intelligenza delle organizzazioni. Intelligenza cognitiva, ma come vedremo, anche intelligenza sociale.

Come? La sfida riguarderà la necessità di formare nuove competenze professionali, ma soprattutto la capacità delle organizzazione di saperle aggregare in modo organico e produttivo.

Il tema delle competenze è particolarmente critico a livello di sistema Paese, perché da un lato andrà ad aumentare il già importante fenomeno in Italia del gap tra competenze richieste dalle aziende e competenze presenti sul mercato del lavoro, ma dall’altro lato apre la problematica sulla capacità delle aziende di gestire queste nuove competenze, che coinvolge il sistema organizzativo delle aziende ma, come vedremo, soprattutto il loro sistema culturale.

Le competenze di comunicazione e collaborazione

Gli scenari prevalenti dell’Industry 4.0 descrivono una collaborazione ibrida tra uomo e tecnologia, più che un’automazione autonoma guidata dall’uomo. Ma anche nel caso della sola automazione, si richiede sempre che siano le persone a progettare e completare il lavoro. Se nelle precedenti rivoluzioni industriali la tecnologia ha sostituito il lavoro fisico dell’uomo, oggi la tecnologia è chiamata a sostituire il lavoro mentale e ad aumentare la capacità di analisi delle persone, per agevolare o migliorare i processi decisionali, arrivando a predire cosa può piacere o interessare o soddisfare maggiormente il cliente.

Come tale le competenze richieste riguardano la progettazione e la pianificazione integrata sia di prodotto e sia di processo. Proviamo però a riflettere sul concetto di competenze. Le competenze al lavoro includono motivazione, atteggiamenti, abilità, capacità e conoscenze. Esistono competenze di comportamento e competenze tecniche.

Per quanto riguarda le competenze tecniche, l’Industry 4.0 richiede competenze professionali ad ampio raggio: la conoscenza della tecnologia, ma soprattutto competenze di gestione del colloquio con i dati. Si tratta di competenze di analisi di dati. Ma da sole non sono sufficienti, accanto a queste vanno sviluppate competenze di processo di pianificazione e di gestione di progetti di innovazione e automazione industriale, che ci portano a dover ampliare il raggio di azione delle persone con importanti competenze anche di comportamento.

L’industry 4.0 si basa sulla interazione tra profili professionali sono molto differenti: si va dai programmatori, a ingegneri di diversa estrazione (di produzione, meccanici, informatici) ai tecnici di automazione, di produzione, in un flusso che metta in connessione l’information&communication tecnology con i sistemi cyber fisici con la produzione reale.

Questo da un lato vuol dire una spinta verso specializzazione, ma dall’altro si traduce in una maggiore interdisciplinarietà in azienda, in una gestione in grado di supportare logiche di inclusione di risorse umane con professionalità molto diverse, che vanno dallo statistico, al ricercatore sociale, allo programmatore di software analitici: ruoli diversi, ma anche orientamenti culturali differenti, che devono lavorare insieme.

In un ambiente di industry 4.0, ogni membro di unità organizzativa per poter partecipare al processo produttivo ha accesso a un maggior numero di informazioni su quello che sta accadendo in tempo reale, e può comprendere meglio come la propria attività e le proprie scelte siano connesse con quelle degli altri.

Questo rende i meccanismi di controllo centrali e le strutture verticali troppo lente, e per questo inefficaci ed inefficienti. Ma il passaggio verso strutture organizzative più orizzontali, verso la condivisione di informazioni, e con processi decisionali più agili richiede un importante investimento non solo sulla tecnologia abilitante per collegare software, hardware e persone, ma soprattutto sul modo di lavorare delle persone e sulla cultura organizzativa sottostante. La flessibilità e l’integrazione delle competenze diventano la base per la costruzione di un vantaggio competitivo sostenibile. Ma queste funzionano solo se integrate in ecosistemi aziendali improntati all’agilità. In un processo interfunzionale, la generazione di prodotti e servizi innovativi richiedere un cambiamento dei comportamenti organizzativi

Le competenze 4.0 più importanti: lo studio

I risultati di un recente meta-studio sull’analisi delle competenze richieste dalle aziende nell’Industria 4.0 (Hecklau et al., 2017), che mette insieme i risultati delle ricerche più recenti sull’argomento, riportano le competenze che secondo le aziende a livello globale sono le più importanti per il successo della trasformazione Industry 4.0.

In modo sorprendente le competenze più importanti riguardano la comunicazione e la cooperazione (59%), che sono valutate anche più importanti delle competenze di programmazione, che si assestano al secondo posto.

È un risultato di primo acchito controintuitivo, in quanto le tecnologie di information&communication sono alla base dei processi di digitalizzazione legati all’industry 4.0. Ma le aziende sembrano invece avere ben in mente che lavorare in ecosistemi aziendali connessi non è semplicemente un tema di piattaforme virtuali, ma la capacità di collaborare gioca un ruolo decisivo per il funzionamento dell’azienda “connessa”. Il lavorare a distanza, con meno contatti diretti comporta una sfida notevole, in termini di gestione delle relazioni, di engagement dei dipendenti e di responsabilità condivise.

Tanto di più aumenta il lavoro virtuale tanto di più saper comunicare e collaborare diventa predittivo della qualità del lavoro delle persone nell’Industry 4.0 all’interno di team eterogenei e dinamici. Inoltre lavoro agile, spazi di co-working, team virtuali, interazioni su piattaforme on line con lavoratori freelancer aprono un’importante ridefinizione delle modalità di interagire con gli altri. Anche per questo, la dimensione sociale diventa cruciale. Infatti, il medesimo studio riporta come competenze rilevanti, successivamente, la comprensione dei processi (25%) e la creatività (18%).

Già nel campo dei Science & Technology Studies, ben prima di parlare di Industry 4.0, si è sottolineato quanto l’innovazione sociale nella sua processualità rappresenti una pratica situata e “sociomateriale” (Orlikowski, 2007), ovvero agita da attori sociali in collaborazione con tecnologie e conoscenze all’interno di contesti non tradizionali.

Questo porta necessariamente le aziende a doversi confrontare con il tema dell’organizzazione del lavoro e in particolar modo con le attuali strutture organizzative, che inevitabilmente generano comportamenti che sono orientanti a lavorare per silos funzionali, che poco incentivano una gestione interdisciplinare e complessa del lavoro.

Le sfide organizzative con Industry 4.0

Le professionalità che servono al nuovo paradigma non sono presenti nelle aziende. Inoltre anche le stesse strutture organizzative delle aziende del nostro Paese non sembrano adatte ad accogliere, sviluppare e sfruttare queste professionalità.

Per passare da una produzione di massa a prodotti e servizi personalizzati, le aziende 4.0 necessitano di strutture meno verticistiche e più collaborative in cui le persone siano messe in grado di generare idee, risolvere problemi e prendere decisioni velocemente. Di frequente l’ostacolo per cavalcare l’innovazione e rendere produttivi gli investimenti in questa direzione, è insito nelle aziende stesse, che sono resistenti a cambiare modelli consolidati.

Spesso e volentieri si “relega” il compito dell’innovazione a ruoli e unità organizzative specifiche, pur di non mettere in discussione l’organizzazione attuale. Molte organizzazioni hanno costruito ruoli di staff, come le figure del “chief digital officer” o similari. Questa scelta se ha il merito di concentrare gli sforzi e le risorse, ha il limite di mandare un messaggio culturalmente fuorviante all’organizzazione: l’innovazione come “progetto speciale”, avulsa dalla routine attuale dell’organizzazione. Invece sarebbe più opportuno diffondere attività e competenze legate alla digitalizzazione a tutte le unità organizzative dell’azienda, coinvolgendo progressivamente tutti i ruoli. Perché senza una spinta ad aumentare la connessione e collaborazione tra le unità, sperimentando nuove modalità orizzontali di condivisione del lavoro, potrebbe venire a mancare l’infrastruttura sociale per rendere efficaci gli investimenti tecnologici.

Bibliografia

Hecklau, Fabian; Orth, Ronald; Kidschun, Florian; Kohl, Holger (2017). Proceedings of the International Conference on Intellectual Capital, Knowledge Management & Organizational Learning, p163-174, 12p. Publisher: Academic Conferences & Publishing International Ltd.., Database: Complementary Index

Orlikowski W. (2007) Sociomaterial Practices: Exploring Technology at Work, Organization Studies, Volume: 28 issue: 9, page(s): 1435-1448.

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