In una grigia giornata di luglio del 2020, al largo delle Isole Orcadi in Scozia, una piattaforma ha sollevato dalle acque un enorme cilindro lungo dodici metri e con un diametro di tre metri. In una delle estremità spiccava il logo di Microsoft.
Data center sottomarini: Microsoft e il progetto Natick
Due anni prima la società fondata da Bill Gates aveva posto a circa 35 metri di profondità un data center composto da 864 server con 27,6 petabyte di storage. Era giunto il momento di recuperare la capsula e valutare i risultati di un test che faceva parte di un più ampio progetto di ricerca chiamato Natick, inaugurato nel 2014 per vagliare la possibilità di installare data center nei fondali marini. Un’iniziativa lanciata da un dipendente di Microsoft, Sean James, ex-subacqueo della Marina militare statunitense, che durante la Think Week (una settimana in cui i vari dipartimenti dell’azienda possono proporre soluzione tecnologiche fuori dagli schemi) presentò la sua visionaria idea di data center sottomarini alimentati da energia rinnovabile generata dall’oceano.
La chiusura del progetto Natick nonostante i buoni risultati
Le prime analisi misero in evidenza come le prestazioni del data center si fossero rivelate addirittura otto volte superiori a quelle di uno terrestre. Il cilindro non conteneva apparecchiature particolarmente avanzate e i server erano stati riciclati. Di questi alcuni erano stati utilizzati per il progetto Natick e altri assegnati a un data center terrestre. Tutti nel corso dei due anni avevano lavorato sul cloud Azure di Microsoft con stessi carichi di lavoro e stessa attività. Cambiavano solamente le condizioni. E quelle del mare si erano dimostrate migliori: dei 135 server terrestri 8 subirono danneggiamenti, mentre in acqua ne furono persi solo 6 su 855.
Nonostante i buoni risultati, Microsoft non sembra per il momento intenzionata a proseguire il progetto Natick: “non stiamo costruendo data center subacquei in nessuna parte del mondo”, ha detto a giugno del 2024 Noelle Walsh, Vice Presidente del team Cloud Operations + Innovation di Microsoft. “Il mio team ha lavorato su questo progetto e ha funzionato. Abbiamo imparato molto sulle operazioni sotto il livello del mare e sugli impatti delle vibrazioni sui server e applicheremo queste conoscenze ad altri casi”.
Nuovi scenari per l’archiviazione dei dati
Il progetto è stato dunque accantonato, ma resta ancora attuale la ragione che lo aveva motivato: una vera e propria corsa alla realizzazione di nuovi data center, alimentata in particolare negli ultimi due anni dalla diffusione dell’intelligenza artificiale. Il test di Microsoft ha messo in luce alcuni elementi molto interessanti che potrebbero aprire nuovi scenari per l’archiviazione dei dati. Innanzitutto, va tenuto presente che la maggior parte della popolazione mondiale vive in un raggio di circa 200 km dalle coste. Questo permetterebbe ai data center sottomarini di essere molto vicini agli utenti che fruiscono dei servizi online con ricadute positive sui costi e sulla velocità di trasferimento dei dati. Inoltre, la maggior parte dei progetti legati alle energie rinnovabili, soprattutto l’eolico, si trovano lungo le coste e potrebbero dunque alimentare i data center sottomarini, creando un circolo virtuoso di efficienza energetica e sostenibilità ambientale.
Highlander e la Cina: avanzamenti nei data center marini
Questi elementi, insieme alla scelta di Microsoft di rendere accessibili a tutti i brevetti del progetto Natick, hanno destato l’interesse di altre società. Tra queste non poteva mancare un importante player cinese. All’inizio del 2022 il gruppo Highlander, con base a Pechino, ha annunciato l’avvio dei lavori per la costruzione del suo primo data center commerciale da posizionare nei fondali sottomarini davanti a Sanya, città all’estremità meridionale dell’isola cinese di Hainan. A marzo del 2023 sono stati posati a oltre 30 metri di profondità i primi moduli di un progetto che prevede 880 milioni di investimento in cinque anni. All’inizio del 2024 Highlander ha partecipato alla Mobile World Conference a Barcellona e ha presentato con enfasi gli ottimi risultati di un anno di gestione dei dati sott’acqua. Da un punto di vista tecnico Highlander utilizza la stessa tecnologia di Microsoft e ad oggi possiede la più grande infrastruttura di data center sottomarini al mondo.
La società e quattro sue filiali sono state inserite nella Entity List statunitense, l’elenco di aziende straniere (per lo più cinesi) alle quali i fornitori americani non possono vendere tecnologie e questo dimostra la rilevanza strategica dei progetti portati avanti da Highlander, che potrebbero ampliarsi ad altre regioni cinesi. Su input del governo centrale di Pechino, molte amministrazioni locali hanno infatti già inserito la costruzione di data center sottomarini nei loro piani di sviluppo. Tra queste spicca sicuramente la provincia del Guangdong, un hub tecnologico che comprende città chiave dell’economia cinese come Guangzhou, Shenzhen e Zhuhai.
La risposta americana ai data center sottomarini cinesi
Come stanno rispondendo gli Stati Uniti a questo attivismo cinese sotto i mari? Il passo indietro di Microsoft ha in parte raffreddato gli entusiasmi, ma alcune aziende americane stanno lavorando allo sviluppo di nuove soluzioni molto innovative. È il caso di Subsea Cloud che a fine 2022 ha posizionato un data center sotto le acque di fronte a Port Angeles, nello stato di Washington. Secondo la società questa struttura può distribuire un milione di watt di potenza con un risparmio fino al 90% in meno di quanto sarebbe necessario per avere la stessa potenza in una struttura analoga a terra. Il data center di Port Angeles, chiamato Jules Verne, è costituito da un’unica capsula simile per dimensioni a un container standard e al suo interno ospita circa 800 server. È situato in acque poco profonde per permettere di essere visitato da potenziali clienti o partner tecnologici. All’inizio di ottobre di quest’anno la società ha inaugurato inoltre la prima fase del progetto OTTO nel sud-ovest della Norvegia, dando la possibilità alle aziende di testare per un periodo a scelta di 30, 60 o 90 giorni un data center immerso nelle gelide acque del Mare del Nord. Quelle a Port Angeles e in Norvegia sono operazioni di promozione commerciale di strutture che in futuro saranno posizionate in fondali molto più profondi, rispettivamente a 200-250 metri nel Golfo del Messico e a 180-200 metri nel Mare del Nord.
La sicurezza nei Data Center sottomarini: nuove sfide
Ma anche a quelle profondità la sicurezza dei data center sottomarini potrebbe essere a rischio. Un recente studio dell’Università della Florida, guidato dalla ricercatrice italiana Sara Rampazzi, ha dimostrato che una semplice cassa musicale a tenuta stagna immersa nell’acqua che suona un re acuto potrebbe far andare in crash i server o addirittura distruggerli in modo permanente. L’acqua è in grado di far viaggiare le onde acustiche a grande velocità, mettendo in pericolo anche data center situati a molte miglia marine di distanza. Oltre a mettere in evidenza la vulnerabilità, gli scienziati hanno anche sviluppato un algoritmo di apprendimento automatico in grado di identificare con precisione gli attacchi sonori, consentendo al sistema di rispondere prima che si blocchi. Una tecnologia che, se i data center sottomarini prenderanno piede, si rivelerà fondamentale per la loro sicurezza e soprattutto per la loro appetibilità commerciale.