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Datacenter nello spazio, che c’è dietro la nuova sfida big tech



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I data center in orbita promettono energia solare quasi continua e meno pressione su acqua e territorio. La vera partita è processare i dati “a bordo”, riducendo i download a Terra, ma l’ingegneria termica nello spazio rende il raffreddamento un problema tutto diverso

Pubblicato il 12 dic 2025

Alessandro Sannini

Ceo Twin Advisors&Partners Limited



datacenter spazio

Jeff Bezos ed Elon Musk stanno aprendo un nuovo capitolo della loro rivalità: portare una parte della potenza di calcolo fuori dall’atmosfera, trasformando l’orbita bassa in un’estensione della cloud economy.

Una partita a cui partecipano però anche Google e OpenAI.

Google’s Project Suncatcher: Why AI Data Centers Are Moving to Space 🛰️☀️

Bezos contro Musk: la sfida dei data center nello spazio

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal e ripreso da Reuters, Blue Origin di Bezos lavora da oltre un anno su tecnologie per data center “orbitali” dedicati all’AI.

SpaceX di Musk, invece, starebbe preparando una generazione aggiornata di satelliti Starlink capace di ospitare carichi di calcolo, idea evocata nelle discussioni con investitori in vista di una possibile IPO nel 2026.

Dietro la narrazione futuristica c’è un driver molto concreto: chi riesce a garantire energia e dissipazione termica a costi prevedibili avrà un vantaggio nella prossima ondata di addestramento di modelli e servizi generativi.

Bezos, intervenendo all’Italian Tech Week, ha spinto l’asticella: data center “da gigawatt” in orbita entro 10-20 anni, con energia solare continua e senza vincoli meteo.

E Google

All’inizio del 2027, Google e Planet Labs mirano a mettere in orbita due satelliti di prova che trasportano i chip AI del gigante tecnologico, chiamati unità di elaborazione tensoriale. Google ha descritto il progetto come uno dei suoi obiettivi ambiziosi, dati gli ostacoli legati alla realizzazione di una rete di data center satellitari su larga scala.

Una delle sfide è il numero di satelliti che potrebbero essere necessari.

Travis Beals, un dirigente di Google che lavora al progetto dei data center orbitali, ha affermato che occorrerebbero 10.000 satelliti per ricreare la capacità di calcolo di un data center da un gigawatt, ipotizzando satelliti da 100 kilowatt.

Secondo Beals, la missione di prova del 2027 ha lo scopo di dimostrare gli elementi chiave del funzionamento dei satelliti come cluster di calcolo AI. “Poi avremo una strada lunga e difficile da percorrere in termini di ottimizzazione, di tutte le varie nuove tecnologie che dobbiamo potenziare e poi farlo in modo economicamente vantaggioso”, ha detto in un’intervista.

OpenAI, Ibm…

Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, ha valutato la possibilità che la sua azienda acquisisca un operatore spaziale per utilizzare i veicoli spaziali al fine di implementare l’intelligenza artificiale nello spazio, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal. Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google che ha acquisito Relativity Space, un’azienda che lavora sui propri razzi spaziali, ha parlato di data center orbitali.

La divisione software Red Hat di IBM e la società Axiom Space con sede a Houston hanno lanciato ad agosto un prototipo di elaborazione dati. Aetherflux, Starcloud e altre startup finanziate da venture capital stanno definendo i propri piani per competere con i grandi operatori del settore.

Perché portare i data center in orbita: energia, acqua, “sovranità del dato”

La promessa è tripla. Primo: accesso al Sole quasi costante, utile a disaccoppiare la crescita del calcolo dai colli di bottiglia di rete sulla Terra.

Secondo: minore pressione su territorio e, soprattutto, sui consumi idrici locali: lo studio europeo ASCEND evidenzia che data center spaziali non richiederebbero prelievi d’acqua per il raffreddamento, fattore non secondario in un’Europa più esposta alla siccità.

Terzo: integrazione con le stesse costellazioni satellitari. Se i dati nascono già in orbita (osservazione della Terra, telecomunicazioni), processarli “a bordo” può ridurre la necessità di scaricare a terra flussi grezzi, inviando solo risultati o dati già filtrati.

È un punto che l’ESA (agenzia spaziale europea) ha messo a fuoco in progetti con IBM e KP Labs: l’ostacolo, oggi, è proprio la fatica di scaricare tutto a Terra.

Il lato duro della fisica per i data center nello spazio: radiazioni, calore e latenza

Portare server nello spazio non significa replicare un campus a terra. Le radiazioni degradano l’elettronica, l’assistenza diventa logistica spaziale e il raffreddamento è un problema di ingegneria termica: niente convezione, solo irraggiamento verso il vuoto.

Anche la latenza resta un vincolo: l’orbita è ideale per processare dati già in orbita, meno per sostituire data center che servono utenti terrestri in tempo reale.

Reuters Breakingviews sintetizza il rischio: la “space server farm” può diventare la prossima grande storia da raccontare ai mercati, ma nasconde ostacoli pratici (radiazioni, raffreddamento, distanze) e un requisito di scala ancora proibitivo.

Ai ritmi attuali, osserva l’analisi, potrebbe volerci circa un anno di lanci solo per mettere in orbita l’equivalente di 1 gigawatt di capacità, grandezza tipica dei mega-campus odierni.

Orbita bassa: ingorgo e regole per i data center nello spazio

C’è poi un vincolo sistemico: l’orbita bassa è sempre più affollata. Il Consiglio UE ricorda che, su oltre 22.500 satelliti lanciati dal 1957, ad agosto 2025 ce n’erano più di 15.000 nello spazio e 12.300 operativi.

E il WSJ, citando scenari industriali, parla di fino a 10.000 satelliti per avvicinarsi alla scala “da gigawatt”. Il rischio è che l’innovazione si trasformi in un problema di traffico, collisioni e detriti.

Per Bruxelles, che già osserva con preoccupazione la concentrazione di potere industriale nelle mega-costellazioni, la regolazione non è un accessorio: è la condizione per evitare che il mercato decida da solo come “riempire” l’orbita.

Reuters, parlando di IRIS², nota che Starlink rappresenta circa due terzi dei satelliti in orbita, e che la pressione su sovranità digitale è cresciuta proprio per questa asimmetria.

Europa: piani e studi sui data center nello spazio

L’Europa, almeno per ora, non gioca la stessa partita di scala degli Stati Uniti: lavora su dimostrazioni, governance e filiera. Da un lato punta sull’edge computing in orbita (calcolo vicino alla fonte del dato): l’ESA descrive come la lavorazione in spazio possa rendere meno conveniente scaricare raw data, spostando verso terra solo gli output informativi.

Dall’altro lato c’è l’industria. Il progetto ASCEND – finanziato dalla Commissione UE in Horizon Europe e guidato da Thales Alenia Space (joint venture tra Thales e l’italiana Leonardo) – sostiene che data center spaziali potrebbero ridurre l’impronta carbonica e rafforzare la sovranità tecnologica.

Nelle stime del progetto, il mercato dei data center al 2030 vale 23 gigawatt di capacità; l’obiettivo è arrivare a 1 gigawatt in orbita prima del 2050, con ritorni economici stimati di diversi miliardi.

Ma la condizione è cambiare drasticamente i lanci: servirebbe un vettore dieci volte meno emissivo sull’intero ciclo di vita e infrastrutture modulari assemblate in orbita, anche grazie alla robotica del programma EROSS, con una prima missione indicata al 2026.

Italia: hub dei data center a terra, ma anche snodo per lo spazio europeo

L’Italia entra nel dossier con un doppio profilo. Da un lato è uno dei mercati più attrattivi per nuovi data center terrestri, ma l’attenzione regolatoria è salita: nel 2024 il MASE ha adottato linee guida per la valutazione ambientale dei progetti (con focus su impatti cumulativi e gruppi elettrogeni oltre certe soglie), spingendo su rinnovabili, efficienza e monitoraggio.

Dall’altro lato, il Paese è una piattaforma operativa per l’ecosistema spaziale europeo: l’ESA ricorda che il centro ESRIN di Frascati custodisce il maggiore archivio europeo di dati ambientali.

Reuters segnala inoltre che la futura costellazione IRIS² (10,6 miliardi di euro) – oltre 280 satelliti, avvio lanci previsto a metà 2029 e completamento entro il 2030 – sarà operata da una sala controllo in Italia centrale sotto supervisione ESA.

Il paradosso finale: per “salvare” l’energia a terra serve una nuova economia dei lanci

Nel breve periodo è plausibile vedere crescere nodi di calcolo in orbita per applicazioni verticali (osservazione e telecomunicazioni), mentre il mega-data center spaziale resta una scommessa su costi di lancio, materiali e supply chain.

E intanto, sulla Terra, l’Europa stringe la morsa sulla trasparenza: la Direttiva UE sull’efficienza energetica e il Regolamento delegato 2024/1364 impongono reporting e KPI ambientali per data center sopra soglie come i 500 kW di potenza IT installata, con scadenze annuali e primo ciclo di rendicontazione avviato nel 2024.

Il risultato è una convergenza: se l’orbita diventerà davvero “cloud”, non sarà solo per l’ambizione di Bezos e Musk, ma perché la pressione su energia, acqua e autorizzazioni renderà ogni watt – sulla Terra o nello spazio – una scelta politica oltre che industriale.

Fonti

Reuters (10 dicembre 2025): Blue Origin e tecnologia per data center orbitali; SpaceX/Starlink con payload di calcolo.
Reuters Breakingviews (11 dicembre 2025): analisi su IPO SpaceX e limiti dei data center in orbita.
Consiglio UE: dati su congestione orbitale e satelliti operativi (agosto 2025).
ESA: “space-based data centres” e ruolo di ESRIN/Frascati.
Thales Alenia Space: risultati ASCEND (27 giugno 2024) e requisiti industriali (lanciatori, modularità, EROSS).
Reuters: IRIS², 10,6 miliardi di euro, timeline 2029-2030 e sala controllo in Italia centrale.
UE: Regolamento delegato (UE) 2024/1364 e obblighi di reporting.
Italia: linee guida MASE (2024) e sostenibilità dei data center.

Approfondimenti

ASCEND (Horizon Europe): sostenibilità, sovranità digitale e “space cloud” europeo.
Space Traffic Management UE: standard, sostenibilità delle orbite e impatto delle mega-costellazioni.
Reporting energetico dei data center in UE: KPI, banca dati europea e soglie di potenza IT.

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