Negli ultimi mesi si rincorrono gli appelli di supporto per le telecomunicazioni europee. La redditività delle aziende è bassa, la capacità di investimento ne risente e la collocazione strategica nel panorama dominato dalle piattaforme digitali appare incerta.
Il processo di liberalizzazione dei mercati delle telecomunicazioni in Europa e l’azione delle Autorità di regolazione di settore ha ridotto i prezzi dei servizi, favorendo i consumatori, ma al costo di peggiorare la redditività degli operatori e ridurre la loro capacità di investimento.
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Telecomunicazioni europee tra liberalizzazione e margini in calo
Negli ultimi mesi i capi azienda di molti gestori di Tlc, tra cui TIM e Telefónica, si sono espressi in dichiarazioni pubbliche a favore di un consolidamento.
Una frammentazione che indebolisce la scala del mercato
L’industria delle telecomunicazioni europea è un gigante esausto. Gestisce reti capillari e connessioni sempre più performanti, ma continua a produrre margini troppo bassi per sostenere la transizione tecnologica che tutti — governi, regolatori, consumatori — le chiedono. Dopo vent’anni di liberalizzazioni, la promessa di un mercato unico competitivo si è tradotta in una struttura frammentata, con decine di operatori nazionali, regolazioni divergenti e una redditività sistematicamente inferiore a quella dei concorrenti americani o asiatici.
Secondo un rapporto McKinsey del maggio 2025 (Technology, Media and Telecom in Europe: The New Growth Engine or Another Decade of Missing Out?), la quota europea della capitalizzazione globale del settore TMT è scesa dal 30% del 2000 al 7% nel 2024: un “valore mancato” di oltre 8.000 miliardi di dollari. Anche nel solo comparto telecom, la stagnazione è evidente: i ricavi delle principali società europee sono rimasti fermi tra 125 e 135 miliardi di euro nell’ultimo decennio, mentre i grandi operatori statunitensi — AT&T, Verizon, T-Mobile — hanno aumentato il fatturato di circa il 50%.
Concorrenza, prezzi e rendimenti delle telecomunicazioni europee
Alla radice del problema c’è la frammentazione. Nell’Unione Europea operano oltre 100 operatori mobili, con una media di 3–5 per paese. Il mercato statunitense, di dimensioni simili in termini di popolazione, ne ha solo tre. Questo significa che l’operatore europeo medio serve circa 5 milioni di clienti, contro i 100 milioni dei concorrenti americani e i 500 milioni dei cinesi.
Più operatori, meno scala ed economie di dimensione
Come osserva un policy brief dell’IEP@BU di Bruxelles (Mobile Telecom in Europe: Urban Legend or Case Study in Market Fragmentation?, luglio 2024), “la concorrenza nel mercato europeo è molto più intensa e il risultato è una combinazione di prezzi più bassi e margini più ridotti”. I consumatori beneficiano di tariffe inferiori — in media il 40% in meno rispetto agli Stati Uniti — ma gli operatori non generano profitti sufficienti per finanziare gli investimenti necessari in fibra, 5G o infrastrutture cloud.
Tariffe più basse, margini compressi
I principali operatori europei (Deutsche Telekom, Vodafone, Telefónica, TIM, Orange) mostrano rendimenti medi del capitale intorno al 6%, contro il 9% dei big americani. Il paradosso è che la competizione, un tempo considerata la forza trainante dell’innovazione, oggi limita la capacità d’investire. L’obiettivo del mercato unico delle comunicazioni elettroniche — introdotto con la direttiva del 2002 — ha avuto come effetto collaterale un’iper-frammentazione che scoraggia le economie di scala e rende impossibile offrire servizi davvero paneuropei.
Investimenti, fibra e 5G nel modello europeo di rete
Le conseguenze economiche sono chiare. Il rapporto ING – Telecoms Outlook 2025 (gennaio 2025) prevede per il settore una crescita dei ricavi di appena il 2% e un margine operativo lordo in aumento “di poco superiore”. Il capex resta elevato — circa il 17% dei ricavi — ma non cresce: gli operatori spendono ancora miliardi per completare le reti in fibra e 5G, senza però vedere ritorni adeguati.
Copertura in fibra e problema della take-up rate
Il passaggio dal rame alla fibra, obiettivo della “decade digitale” europea, procede rapidamente: entro il 2028 oltre il 90% delle case UE sarà raggiunto. Ma il problema non è più la copertura, bensì la take-up rate: meno del 60% delle famiglie sceglie effettivamente di connettersi in fibra. In parte per inerzia dei consumatori, in parte per la concorrenza di tecnologie “sufficientemente buone” come VDSL o cavo.
5G e nuove applicazioni ancora senza ritorni
Il risultato è un modello economico sbilanciato: elevati costi fissi per infrastrutture capillari e ritorni limitati. Anche l’arrivo del 5G non ha ancora generato nuove fonti di ricavo. Come nota ING, “le nuove applicazioni — Internet of Things, reti aziendali, servizi basati su intelligenza artificiale — cominceranno a produrre effetti tangibili solo dal 2026”.
Piattaforme globali e valore che sfugge alle telecomunicazioni europee
A pesare sulla debole redditività degli operatori non è solo la regolazione o la frammentazione geografica, ma anche la trasformazione tecnologica del valore. Gran parte dei servizi che un tempo generavano margini per le telco — messaggistica, intrattenimento, archiviazione dati — sono oggi forniti da piattaforme globali come Meta, Google o Amazon.
Il think tank CERRE (Centre on Regulation in Europe) lo spiega nel rapporto The Future of European Telecommunications (2024): la catena del valore digitale si è spostata “verso l’alto”, con le piattaforme che catturano la maggior parte dei ricavi, mentre le reti restano “commodities regolamentate”. Le telco europee forniscono l’infrastruttura, ma il valore economico viene catturato altrove.
Dal rame al cloud: il salto mancato
Il caso è emblematico nel cloud: mentre Amazon Web Services e Microsoft Azure dominano il mercato, gli operatori europei faticano a scalare i propri servizi. Secondo McKinsey, i segmenti “AI e software, data infrastructure e tech services” potrebbero generare fino a 800 miliardi di valore aggiunto in Europa entro il 2030, ma solo se le imprese di telecomunicazioni riusciranno a spostarsi “dal rame al cloud”, cioè dal ruolo di utility a quello di fornitori di servizi digitali integrati.
Consolidamento paneuropeo e futuro delle telecomunicazioni europee
Negli ultimi anni, molti operatori hanno invocato una stagione di consolidamento industriale, sostenendo che solo fusioni e integrazioni transfrontaliere possano garantire le economie di scala necessarie per competere. Ma il quadro regolatorio e politico europeo resta ambiguo.
Il CERRE suggerisce che l’Europa dovrebbe abbandonare l’attuale regime basato sul concetto di “significant market power” e passare a un approccio più flessibile, centrato sulle “strozzature locali”. Tuttavia, la stessa analisi avverte che “non ci sono prove convincenti che il numero di abbonati determini la redditività o la qualità dei servizi”. Paesi con mercati piccoli ma concorrenziali, come Danimarca o Finlandia, mostrano performance migliori di grandi mercati concentrati come Germania o Italia.
Fusioni domestiche o integrazioni transnazionali?
Gli operatori vorrebbero consolidarsi all’interno dei singoli paesi come hanno fatto in passato; in questo modo, riducendo la concorrenza, i prezzi e la redditività si innalzerebbero, ma la dimensione delle imprese rimarrebbe piccola. Sarebbe preferibile un consolidamento attuato con acquisizioni transnazionali, dove le imprese potrebbero aumentare le dimensioni e ottenere economie di scala, ma allo stesso tempo rimarrebbe un grado di concorrenza accettabile nei singoli paesi.
Questa sarebbe anche la strada preferita dalle autorità antitrust perché consentirebbe di creare imprese con un genuino orientamento multinazionale che guarderebbero più al mercato europeo nel suo insieme che ai singoli “giardinetti” nazionali.













