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Usa-Cina, dazi a sorpresa: è guerra sulle infrastrutture del futuro



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Le nuove restrizioni cinesi sulle terre rare, la minaccia di Trump di un dazio del 100% e la decisione dell’Olanda di commissariare Nexperia segnano una nuova fase del confronto globale tra economia e sicurezza tecnologica. Ecco che succede

Pubblicato il 14 ott 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



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La Cina introduce controlli sulle esportazioni di terre rare e tecnologie correlate per “proteggere la sicurezza nazionale”.

Gli Stati Uniti rispondono con nuovi dazi e minacce di restrizioni sul software critico.

L’Europa entra in campo con l’Aia che assume il controllo della cinese Nexperia per tutelare la continuità industriale.

Che succede, di colpo, nella geopolitica della tecnologia (e non solo)? In gioco non ci sono solo i dazi, ma la sovranità tecnologica globale.

Trump si scaglia contro la Cina e minaccia dazi del 100%. "Pechino è ostile"

Dazi Usa-Cina, una tregua durata poco

Di fatto c’è che l’equilibrio raggiunto tra Donald Trump e Xi Jinping la scorsa primavera si è rapidamente incrinato.

Il 9 ottobre Pechino ha introdotto un nuovo pacchetto di controlli sulle esportazioni di terre rare, minerali fondamentali per la produzione di chip, magneti, smartphone, auto elettriche e tecnologie militari che entreranno in vigore il primo dicembre.

Il giorno dopo, Trump ha risposto annunciando dal primo novembre un dazio aggiuntivo del 100% su tutti i prodotti cinesi e restrizioni all’export di “qualsiasi software critico”.

I mercati hanno reagito con immediatezza: l’indice S&P 500 ha perso quasi il 3%, interrompendo il rally sostenuto dai titoli dell’intelligenza artificiale. Trump ha ammesso che il termine di entrata in vigore fissato per il 1° novembre è stato scelto anche come mossa tattica per lasciare spazio alla diplomazia.

Terre rare, la nuova arma regolatoria di Pechino

Le misure cinesi creano di fatto una versione nazionale della Foreign Direct Product Rule americana. Le aziende straniere dovranno ottenere l’approvazione di Pechino per esportare magneti che contengano anche solo tracce di terre rare cinesi o che siano stati prodotti con tecnologie di estrazione, raffinazione o magnetizzazione di origine cinese.

Il Ministero del Commercio di Pechino ha giustificato le misure con la necessità di “proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali” e prevenire “l’uso improprio dei materiali di terre rare in settori militari e sensibili”. Alcune imprese straniere, ha aggiunto il ministero, avrebbero “danneggiato significativamente la sicurezza della Cina” trasferendo tecnologie o materiali cinesi a soggetti terzi per usi militari. Le regole entreranno in vigore il primo dicembre e prevedono che la maggior parte delle licenze per usi militari venga negata, mentre le esportazioni verso i produttori di semiconduttori saranno valutate caso per caso. L’obiettivo è esercitare una pressione diretta sulla filiera tecnologica statunitense.

Dalla guerra dei dazi alla guerra dei minerali

La Cina controlla oggi circa il 70% dell’estrazione mineraria, il 90% della raffinazione e il 93% della produzione di magneti nel mondo. Le terre rare sono indispensabili per smartphone, veicoli elettrici, turbine eoliche e sistemi d’arma. Come ha spiegato Gracelin Baskaran del CSIS, Pechino “ha appena messo nuovi pedoni sul tavolo dei negoziati”: un modo per presentarsi all’incontro di Gyeongju con Trump in una posizione di forza. Ma le nuove regole non riguardano solo i minerali. Il Ministero del Commercio cinese e l’Amministrazione delle Dogane hanno esteso i controlli anche ad anodi per batterie, catodi di litio e materiali precursori, elementi centrali nella filiera globale delle batterie.

Gli analisti di Bernstein hanno avvertito che le misure introducono rischi per le fabbriche cinesi all’estero e potrebbero generare ritardi e costi di conformità per le aziende coreane e giapponesi. In parallelo, Pechino ha aperto indagini antitrust su Qualcomm e intensificato i controlli doganali sui chip Nvidia, mentre le esportazioni di terre rare sono crollate del 31% in settembre. Si tratta di una strategia a più livelli, regole, dazi e controlli tecnici diventano strumenti interscambiabili di pressione.

Chip, Washington prepara la risposta

Alla Casa Bianca, un funzionario ha dichiarato che le nuove misure appaiono come “un tentativo di esercitare controllo sulle catene tecnologiche globali”.

Trump ha reagito promettendo di “capire come rispondere” con il segretario al Tesoro Scott Bessent e il segretario al Commercio Howard Lutnick.

Gli esperti hanno affermato che le restrizioni sulle spedizioni di software statunitense verso la Cina potrebbero rappresentare un duro colpo per l’industria tecnologica del Paese, compresi il cloud computing e l’intelligenza artificiale.

Ma non è finita.

Secondo Chris McGuire, ex funzionario del Dipartimento di Stato e del Consiglio di Sicurezza Nazionale, gli Stati Uniti hanno la possibilità di “contrattaccare duramente”, imponendo ad esempio una licenza per l’esportazione verso la Cina di qualsiasi chip prodotto con tecnologia americana.

Come già osservato dall’Economist, l’escalation ha spiazzato Washington. Pechino si muove secondo logiche di lungo periodo, ogni misura di controllo è concepita come leva negoziale o come infrastruttura permanente per gestire la competizione industriale. Le stesse regole di licenza potranno essere applicate in modo rigido o flessibile, a seconda del contesto geopolitico.

L’Europa entra nel gioco: il caso Nexperia

La prima conseguenza tangibile dell’escalation nel tech è arrivata dall’Europa. Il governo olandese ha assunto il controllo di Nexperia, produttore di semiconduttori di proprietà cinese con sede nei Paesi Bassi, in una mossa definita “altamente eccezionale”. L’Aia ha invocato la Goods Availability Act per garantire la disponibilità di chip strategici e prevenire rischi per la sicurezza economica nazionale ed europea. Nexperia, controllata dal gruppo cinese Wingtech Technology, è considerata cruciale per la catena di fornitura dell’automotive e dell’elettronica di consumo. Secondo il Ministero degli Affari Economici, la decisione è stata presa dopo “segnali acuti di carenze di governance e comportamenti anomali” all’interno dell’azienda, ritenuti una minaccia per la continuità delle competenze tecnologiche europee.

La misura prevede la sospensione di modifiche agli asset o alla governance per un anno, e la rimozione del presidente di Wingtech, Zhang Xuezheng, dai suoi incarichi. Wingtech ha accusato l’Olanda di “intervento eccessivo motivato da pregiudizi geopolitici”.

Usa, Cina e i dazi tech: le reazioni dei mercati e dei partner

Le borse cinesi hanno reagito in modo contrastante: i titoli delle grandi aziende statali del settore, come China Northern Rare Earth (+10%) e Rising Nonferrous Metals (+6%), sono saliti, mentre gli investitori globali hanno ridotto l’esposizione su semiconduttori e auto elettriche.

Anche il G7 ha annunciato l’intenzione di accelerare la costruzione di catene di approvvigionamento alternative non dipendenti da Pechino. Intanto, negli Stati Uniti, la scarsità di terre rare aveva già costretto l’amministrazione a introdurre programmi di sostegno per l’estrazione e la produzione interna. Ma il ritardo accumulato è significativo, l’ecosistema industriale americano resta fortemente dipendente da forniture e know-how cinesi.

Scenari: negoziazione, frattura o riordino

Si delineano tre possibili esiti. Nel primo, negoziazione, Trump e Xi riescono a raggiungere un compromesso che attenua temporaneamente le misure. Pechino concede licenze mirate, Washington sospende i nuovi dazi, in attesa di una tregua utile ad evitare una recessione globale.

Nel secondo, frattura, le due potenze imboccano la via della contrapposizione strutturale, Washington amplia i controlli sui chip e Pechino blocca selettivamente l’export di materiali critici.

Le catene del valore si frammentano, l’Europa è costretta a schierarsi e il costo tecnologico della separazione cresce esponenzialmente. Nel terzo, riordino sistemico, il conflitto diventa l’occasione per ridisegnare le architetture industriali globali. Emergono nuovi hub produttivi in India, Vietnam e Brasile; si formano standard tecnologici regionali e nuove alleanze per la sicurezza delle risorse. Uno scenario di lungo periodo, ma sempre più realistico.

La guerra delle infrastrutture del futuro

Non è più una guerra di dazi ma una guerra delle infrastrutture del futuro, che attraversa le catene dell’energia, dell’AI, della mobilità e della difesa. Pechino e Washington restano legate da una dipendenza reciproca ma divise da una sfiducia sistemica.

Ogni licenza negata, ogni controllo imposto o dazio introdotto è una mossa di un gioco che ridefinisce il potere industriale globale. In questo contesto, le terre rare e i chip diventano il nuovo petrolio, non solo risorse naturali, ma strumenti geopolitici per determinare chi controllerà e chi seguirà nella prossima era tecnologica.

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