Meta AI nel mirino anche dell’Antitrust italiana, oltre che del Garante privacy. E’ un risvolto inedito quello che si apre quest’estate.
L’Antitrust coglie l’integrazione tecnica dell’AI su WhatsApp come un vantaggio competitivo nel mercato dell’intelligenza artificiale e questo ha rilevanti implicazioni anche sul piano della protezione dei dati.
E’ con il provvedimento adottato il 22 luglio 2025 che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) ha avviato un’istruttoria nei confronti del gruppo Meta per sospetto abuso di posizione dominante, con riferimento all’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
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L’indagine Antitrust su Meta AI in whatsapp
L’oggetto dell’indagine riguarda quindi l’integrazione automatica dell’assistente digitale Meta AI all’interno dell’applicazione WhatsApp, mediante l’inserimento di un’icona graficamente distintiva e l’aggiunta della funzione “Chiedi a Meta AI” nella barra di ricerca.
L’intervento dell’Autorità non si arresta a una verifica tecnico-formale delle modalità di attivazione del servizio, ma inquadra l’intera operazione nella struttura economica del cosiddetto tying, attraverso cui un’impresa dominante vincola l’accesso a un prodotto principale all’adozione coattiva di un prodotto ulteriore, collocato su un diverso mercato.
Il nesso tra mercato messaggi e mercato AI
Nel caso di specie, l’Autorità individua un nesso diretto tra la posizione dominante detenuta da Meta nel mercato delle app di messaggistica istantanea e il tentativo di estensione di tale potere al mercato emergente dei sistemi di intelligenza artificiale generativa. WhatsApp, forte di una penetrazione prossima alla totalità della popolazione digitale italiana, diventa il veicolo attraverso cui Meta disarticola ogni alternativa competitiva nell’ambito dei chatbot, imponendo la propria soluzione come opzione preinstallata, visibile, prioritaria.
La funzione AI risulta accessibile in via immediata, senza mediazioni procedurali, senza distinzioni operative, senza passaggi di attivazione intenzionale. Ogni utente WhatsApp, indipendentemente dalla propria volontà, riceve l’esposizione frontale alla nuova architettura conversazionale.
L’autorità osserva come, in tal modo, milioni di individui diventino istantaneamente potenziali fruitori di un servizio che, in un mercato libero da distorsioni, avrebbe richiesto strategie autonome di attrazione e conquista.
L’architettura dell’operazione esprime una volontà di trasferimento del potere economico acquisito verso un’area strategica a vocazione predittiva.
La base utenti di WhatsApp assume una funzione propulsiva rispetto al dispiegamento algoritmico dell’assistente, mediante un’esposizione integrata che consente a Meta di acquisire un vantaggio competitivo irraggiungibile da soggetti terzi. Il servizio Meta AI, reso disponibile con preminenza tecnica e priorità di interazione, ottiene un’immissione automatica nel ciclo di attenzione quotidiana, con effetti diretti sul comportamento degli utenti e sull’accumulo informativo necessario al training del modello linguistico.
Ogni domanda inviata attraverso l’assistente, ogni risposta ricevuta, ogni scambio testuale, produce materiale utile alla personalizzazione futura dell’esperienza conversazionale. La struttura dell’algoritmo, dichiarata nei documenti ufficiali di Meta, fonda le proprie capacità adattive sull’interazione ripetuta. Il rapporto con l’utente acquista spessore progressivo attraverso la memorizzazione dei contenuti, l’apprendimento contestuale, la costruzione di trame semantiche compatibili con il profilo di partenza. Il risultato consiste in un’espansione orizzontale della dominanza, sostenuta dall’accesso esclusivo a una massa critica di dati generati in ambiente controllato.
L’impostazione giuridica adottata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si fonda su una lettura sistematica della condotta contestata, alla luce dei principi unionali in materia di abuso di posizione dominante.
I precedenti Microsoft e Google
Il caso Microsoft/Media Player, seguito dalla decisione Google Shopping e ulteriormente elaborato nella vicenda Meta/Marketplace, introduce un criterio di compatibilità funzionale tra l’indipendenza dei servizi e le modalità d’accesso. Ogni abbinamento sistematico tra un prodotto dominante e un servizio secondario, privo di autonomia distributiva, ricade nel paradigma giuridico del tying qualora la combinazione tecnica produca una limitazione strutturale della contendibilità del mercato adiacente.
Sembra trovarsi dinanzi a un cosidetto “leveraging sistemico”: la dominanza nel mercato della messaggistica fornisce a Meta l’accesso a un numero critico di utenti, in grado di alimentare il ciclo di apprendimento dell’assistente. L’interazione quotidiana offre all’algoritmo un patrimonio linguistico altamente contestualizzato, radicato nel lessico reale della comunicazione domestica, professionale e affettiva. Ogni risposta fornita da Meta AI, elaborata a partire da dati ottenuti all’interno dell’ambiente WhatsApp, rafforza la precisione predittiva del modello. L’effetto si trasforma in vantaggio cumulativo, incompatibile con una concorrenza basata su neutralità infrastrutturale.
Il tema della memoria
L’elemento qualitativamente più rilevante coincide con la memoria progressiva delle interazioni. Meta AI conserva tracce delle conversazioni, assimila lo stile linguistico dell’utente, adegua le risposte al contesto specifico di ciascun profilo. L’utente, attraverso l’uso reiterato, costruisce un legame sintattico con l’assistente, consolidato da una crescente familiarità nell’interazione. Ogni alternativa esterna, priva di questa sedimentazione, appare distante, impersonale, meno efficiente. Il vincolo non assume la forma dell’imposizione, ma quella dell’irrinunciabilità operativa costruita attraverso l’aderenza personalizzata. Il rapporto tra utente e assistente assume un grado di coerenza crescente, difficilmente replicabile in un contesto aperto.
L’equilibrio concorrenziale risulterebbe alterato alla radice. Il mercato degli assistenti generativi, in fase di formazione, riceve un’immissione dominante da parte di un operatore dotato di accesso preferenziale, risorse computazionali proprietarie, potere d’interfaccia e visibilità esclusiva.
Infatti, proprio la delimitazione dei mercati rilevanti costituisce il presupposto logico dell’intero impianto istruttorio. L’Autorità individua due spazi economici distinti, uniti da un’operazione strategica che trasforma la forza relazionale in dominio computazionale. Il primo ambito corrisponde all’universo dei servizi di comunicazione su applicazioni mobili, all’interno del quale WhatsApp esercita un’influenza sistemica, con penetrazione pressoché totale nel territorio nazionale. Il secondo appartiene alla sfera emergente degli assistenti algoritmici, popolata da attori eterogenei e attraversata da traiettorie ancora fluide.
Meta introduce il proprio sistema generativo direttamente dentro l’interfaccia dominante, piegando la familiarità d’uso a vantaggio della nuova funzione. Il passaggio non attraversa dispositivi concorrenti né richiede ricollocazioni cognitive: si compie lungo l’asse già tracciato “dall’abitudine”. L’utente non incontra un nuovo servizio, ma ritrova una semplice estensione dell’ambiente consueto. Secondo l’AGCM questo slittamento sarebbe in grado di alterare la forma stessa della concorrenza poiché uno degli attori dispone di un corridoio esclusivo tra domini economici eterogenei.
L’indagine parallela del Garante privacy
Proprio su questo punto si concentra l’intervento parallelo del Garante per la protezione dei dati personali su MetaAI.
L’autorità ha avviato un’istruttoria volta a chiarire se il processo di esposizione all’assistente, nelle condizioni architetturali in cui avviene, produca un trattamento conforme ai principi generali del Regolamento (UE) 2016/679.
La persistenza della conversazione, la possibilità per il sistema di utilizzare le interazioni a fini di addestramento, la difficoltà oggettiva di disattivare la funzione o di comprenderne l’effettivo funzionamento pongono l’interrogativo sul rispetto dell’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), b) e c), relativi ai principi di liceità, limitazione delle finalità, correttezza, trasparenza e minimizzazione del trattamento, nonché dell’articolo 6 in materia di base giuridica.
Il punto di contatto tra l’indagine concorrenziale e quella sulla protezione dei dati risiede nella preminenza d’interfaccia. L’assistente si inserisce nello stesso ambiente delle relazioni personali, sfruttando abitudini visive, gesti cognitivi e logiche conversazionali ormai consolidate. Il trasferimento dell’utente da una dimensione comunicativa a una computazionale non passa attraverso una soglia percettibile. Tale continuità ambientale pone una questione interpretativa sull’idoneità del consenso, con riferimento all’articolo 7 del GDPR, e sulla effettiva libertà di scelta, in relazione alla trasparenza prevista dagli articoli 13 e 14.
La documentazione tecnica messa a disposizione da Meta introduce il concetto di addestramento continuo, senza precisare in modo inequivoco la base giuridica del trattamento. Il Garante si trova quindi dinanzi a un’architettura che utilizza la relazionalità per costruire un vantaggio computazionale, in presenza di un’asimmetria informativa che potrebbe contraddire l’impianto dell’articolo 25, dedicato alla protezione dei dati fin dalla progettazione e per impostazione predefinita.
La relazione tra dominio infrastrutturale e capacità di trattamento trova qui una forma di convergenza implicita. L’ambiente digitale fornisce l’accesso, l’interazione costruisce il profilo, la struttura rafforza il potere predittivo. Il Garante, a fronte di tale stratificazione, potrebbe interrogarsi sull’effettiva protezione offerta all’utente e sull’idoneità del meccanismo attivato a garantire, ai sensi dell’articolo 32, la sicurezza del trattamento, in connessione con il principio di proporzionalità tra finalità dichiarate e mezzi impiegati. In prospettiva sistemica, la questione intercetta anche l’articolo 15 del Digital Services Act, relativo agli obblighi di trasparenza algoritmica imposti ai fornitori di servizi digitali.
Antitrust e Garante privacy: il valore delle due azioni
L’articolazione parallela delle due istruttorie, condotte rispettivamente dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e dal Garante per la Protezione dei Dati Personali, restituisce un quadro in cui la sovrapposizione tra potere economico e dominio informativo assume rilevanza sistemica. Il nodo teorico risiede nella capacità di un unico operatore di convogliare, attraverso l’interfaccia dominante di WhatsApp, un doppio flusso: da un lato, la trasmissione relazionale, dall’altro, l’estrazione computazionale.
La struttura del tying si configura allora come strumento bifronte: consente la colonizzazione di un nuovo mercato attraverso un vantaggio installato e, simultaneamente, produce un’asimmetria nell’acquisizione del dato, in termini quantitativi, qualitativi e predittivi.
La prospettiva giuridica europea, costruita attorno al combinato disposto di GDPR, Digital Services Act, Digital Markets Act e AI Act, fornisce una griglia interpretativa idonea a circoscrivere l’ambito operativo delle piattaforme sistemiche.
Il caso Meta AI all’interno di WhatsApp potrebbe costituire il primo banco di prova per un’applicazione coordinata e multilivello di tali strumenti. La dimensione nazionale, pertanto, si innesta su un asse sovranazionale già teso verso la costruzione di uno spazio digitale equo, interoperabile e responsabile. La contestualizzazione della condotta nel paradigma del gatekeeping digitale, come definito dal DMA, amplifica la portata della vicenda: non soltanto per le implicazioni immediate sull’architettura dei servizi, ma per l’orientamento che essa imprime alla regolazione futura dell’intelligenza artificiale in ambienti dominati.
Il sistema giuridico si confronta con una domanda ineludibile: in quale forma risulta possibile impedire che la dominanza, acquisita in un contesto relazionale, generi un vantaggio computazionale incondizionato, fondato su un’esposizione integrata priva di soglie attivanti? La disintegrazione tecnica dei servizi, l’adozione di procedure di consenso esplicito (opt-in), l’interdizione dell’uso dei dati raccolti in modo ambientale per finalità di addestramento, rappresentano strumenti possibili, ma soltanto nella misura in cui vengano collocati entro una cornice che riconosce il dato personale come elemento di struttura del potere economico.
Il trasferimento della dominanza verso il mercato dell’AI generativa, realizzato mediante un’interfaccia già interiorizzata, genera una frattura nella neutralità competitiva. Ogni operatore privo di accesso a tale infrastruttura si trova in una condizione di marginalità strutturale, non colmabile attraverso strategie commerciali, innovazione funzionale o superiorità tecnica. In tale configurazione, la concorrenza non si gioca sul piano del servizio offerto, bensì sull’accesso alla fonte relazionale che alimenta l’apprendimento algoritmico. La trasformazione del dato in leva di esclusione sistemica produce una mutazione del concetto stesso di mercato.
La funzione delle autorità, in questa fase, consiste nella ricostruzione di un equilibrio giuridico in grado di reggere l’urto dell’integrazione precoce e opaca dei sistemi di intelligenza artificiale. La coerenza tra le misure correttive prospettate e i principi costituzionali, in particolare quelli sanciti dagli articoli 2, 3, 21 e 41 della Carta, definirà il grado di effettività del diritto nella sua dimensione digitale.
Ogni soluzione giuridica, priva di un ancoraggio nei fondamenti sostanziali della persona, rischierebbe di rimanere subalterna rispetto alla velocità di diffusione dei sistemi integrati. La posta in gioco coincide con l’accessibilità pluralistica all’intelligenza computazionale e con la capacità dell’ordinamento di garantire un’infrastruttura relazionale non orientata da logiche estrattive.