Il caso Idealo vs Google segna l’ingresso delle Big Tech in una nuova fase del contenzioso europeo, in cui le decisioni antitrust non si traducono solo in multe pubbliche, ma in richieste di risarcimento miliardarie da parte dei concorrenti.
Si apre così un nuovo e significativo capitolo nella battaglia antitrust contro Google, una battaglia che ormai da oltre dieci anni vede il colosso di Mountain View confrontarsi con accuse di abuso di posizione dominante nelle diverse anime del suo impero pubblicitario.
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La condanna civile che cambia le regole del contenzioso digitale
Il Tribunale di Berlino ha condannato l’azienda a versare oltre 465 milioni di euro a Idealo, il comparatore prezzi del gruppo Axel Springer. Nel 2023, Axel Springer ha generato quasi 4 miliardi di euro di ricavi, più dell’85% dei quali provenienti da attività digitali. All’interno di questo perimetro, Idealo rappresenta uno dei principali asset nel segmento e-commerce e comparazione prezzi in Europa.
A prima vista, potrebbe sembrare l’ennesimo titolo su una “nuova multa a Google”. Non è così. Qui non siamo davanti a un provvedimento della Commissione europea, ma a una condanna civile in cui un tribunale nazionale riconosce a un concorrente un danno economico concreto derivante da pratiche anticoncorrenziali.
Questa sentenza apre una fase inedita, quella delle azioni follow-on, cioè le cause civili avviate da imprese danneggiate dopo che un’autorità antitrust ha già accertato la violazione (in questo caso la Commissione UE con la decisione del 2017 su Google Shopping). Di conseguenza, il tribunale deve stabilire solo quanto vale il danno per chi lo ha subito.
Per la prima volta in Europa, una grande piattaforma digitale viene dichiarata responsabile in sede civile per le conseguenze economiche di un abuso antitrust già accertato dall’autorità pubblica. Negli Stati Uniti questo meccanismo è da anni parte della normale architettura dell’enforcement: dopo una condanna del Dipartimento di Giustizia, aziende e gruppi di consumatori presentano regolarmente azioni follow-on, supportate da un sistema che prevede treble damages e ampie procedure di discovery, in parole semplici ci riferiamo all’obbligo per le parti di presentare documenti, email e dati per provare il danno e quantificarlo. In Europa, invece, questo tipo di cause rappresentano dei casi eccezionali, frammentati e concentrati in pochi settori regolamentati (come il cartello dei camion o alcune cause nelle telecomunicazioni).
Nessuno, fino ad oggi, era riuscito a ottenere in sede civile un risarcimento milionario contro una Big Tech per un abuso accertato da Bruxelles. È esattamente questo che rende il caso Idealo un precedente che rischia di creare un effetto a cascata per Google oggi e altri player del mercato digitale europeo in futuro.
Self-preferencing e trattamento privilegiato: cosa ha accertato il tribunale
Il comunicato ufficiale diffuso da Idealo spiega che, secondo il Tribunale regionale di Berlino, Google ha “sistematicamente svantaggiato” il comparatore prezzi attraverso pratiche di self-preferencing nel servizio Google Shopping.
Con self-preferencing si intende l’insieme di comportamenti con cui una piattaforma dominante favorisce i propri servizi all’interno dei propri ambienti digitali, ad esempio garantendo visibilità preferenziale, posizionamenti privilegiati, accesso a dati esclusivi o condizioni tecniche più favorevoli rispetto ai concorrenti. Nel caso specifico, il tribunale ha accertato che i prodotti proposti da Google Shopping beneficiavano sistematicamente di un trattamento migliore rispetto alle offerte dei comparatori terzi, tra cui Idealo.
La sentenza evidenzia inoltre che l’abuso rilevato a Berlino si è protratto ben oltre il periodo coperto dalla decisione della Commissione europea del 2017 sul caso Shopping, che aveva già sanzionato Google per violazione dell’articolo 102 TFUE. Questo passaggio è importante per due motivi: da un lato, indica che Google ha continuato a beneficiare di una posizione competitiva “artificiale” anche dopo la multa europea; dall’altro, suggerisce che il danno economico accumulato da idealo sia stato significativamente più ampio rispetto alle stime iniziali.
Il self-preferencing è da tempo al centro del dibattito regolatorio europeo e ora anche delle azioni civili e viene per la prima volta tradotto in un risarcimento economico di questa portata.
Le azioni follow-on: lo strumento che l’Europa non aveva mai usato contro Big Tech
La sentenza idealo è il segnale più visibile di un fenomeno che in Europa finora non ha attirato grandi attenzioni. Si tratta delle azioni follow-on, i ricorsi civili per danni presentati dopo che un’autorità antitrust ha già accertato una violazione. In questi casi, l’azienda che ricorre a questo strumento ha un terreno giuridico molto più favorevole e agevole anche per le battaglie più complesse. Partendo dalla decisione di un’autorità come la Commissione Europea, bisogna solo quantificare il risarcimento. È esattamente ciò che ha fatto Idealo: partendo dalla decisione UE sul caso Google Shopping del 2017 come base legale, ha chiesto il risarcimento dei danni economici subiti negli anni in cui Google favoriva sistematicamente il proprio servizio rispetto a quelli concorrenti. Con questa condanna, il Tribunale regionale di Berlino ha riconosciuto che le cause private possono diventare complementari rispetto alle tradizionali multe della Commissione.
La Direttiva europea 2014/104/UE, recepita dagli Stati membri negli ultimi anni, ha proprio questo scopo: facilitare l’accesso ai risarcimenti da parte delle imprese danneggiate, introducendo regole più favorevoli sulla prova del danno, sulla disclosure dei documenti e sulla cooperazione tra giudici civili e autorità antitrust. Finora, solo pochi casi di rilievo erano arrivati a sentenza e quasi tutti in settori lontani dal digitale. Il precedente più noto è quello del “cartello dei camion”: dopo la decisione della Commissione europea del 2016, che aveva accertato un coordinamento sui prezzi tra i principali produttori di veicoli pesanti, migliaia di aziende di logistica e trasporto hanno avviato azioni follow-on ottenendo verdetti favorevoli soprattutto in Spagna, Paesi Bassi e Regno Unito. Un altro filone è quello delle cause contro MasterCard e Visa, seguite alla decisione UE sulle commissioni interbancarie: in quel caso, alcune grandi catene retail (tra cui Sainsbury’s nel Regno Unito) hanno ottenuto risarcimenti per gli extra-costi pagati negli anni. Esistono poi alcuni procedimenti nel settore telecomunicazioni, come le cause per margin squeeze contro Telefónica in Spagna o Deutsche Telekom in Germania, nate da decisioni delle autorità nazionali e quasi sempre portate avanti da operatori rivali.
Dal cartello dei camion alle Big Tech: perché questo caso è diverso
Tutti questi casi hanno un tratto comune: riguardavano mercati regolamentati, attori industriali tradizionali e comportamenti anticompetitivi “classici”. Se un operatore può ottenere un risarcimento civile basandosi su una decisione UE, allora ogni comparatore prezzi, piattaforma penalizzata, marketplace o editore europeo potrebbe fare lo stesso.
E i casi Google – Shopping, Android, AdSense, ad tech – mettono sul tavolo una quantità di violazioni accertate senza precedenti. Per Google, il rischio non è più solo la multa una tantum, ma la prospettiva di una serie di contenziosi paralleli, frammentati per Paese, ciascuno con richieste da decine o centinaia di milioni di euro.
Axel Springer contro Google: una battaglia che va oltre il commercio
Il caso Idealo ha una valenza politica che va ben oltre il contenzioso commerciale. Idealo appartiene a Axel Springer, uno dei più grandi gruppi editoriali europei: proprietario di testate come Bild e Welt, della rete internazionale Business Insider, della testata politica Politico, della piattaforma retail Bonial e della rete globale di affiliate marketing Awin, oltre a una serie di servizi digitali verticali diffusi in tutta Europa. Parliamo di un conglomerato che ha costruito negli ultimi anni una posizione di rilievo nell’informazione, nella pubblicità digitale e nei servizi online. Il fatto che un gruppo di queste dimensioni abbia ottenuto una vittoria civile contro Google non è un dettaglio: segnala che la battaglia per riequilibrare i rapporti tra piattaforme e editori sta passando dal piano politico a quello giudiziario, con strumenti molto più incisivi e potenzialmente replicabili da altri operatori.
AI Overviews e il nuovo fronte della search: tempismo perfetto per una sentenza
Il tempismo è un altro aspetto da considerare: questa decisione arriva nel pieno della trasformazione della search verso modelli basati sull’intelligenza artificiale. Come ho già analizzato su Agendadigitale, con funzionalità come AI Overviews Google sta introducendo un modello di risposta che “intercetta” i contenuti degli editori e li riconfeziona direttamente nella pagina dei risultati, riducendo ulteriormente la necessità per l’utente di cliccare sulle fonti originali. È un cambiamento strutturale che rischia di amplificare le dinamiche già emerse nel caso Shopping: meno traffico per gli editori, maggiore integrazione verticale per Google, più dipendenza dal suo ecosistema pubblicitario. Non sorprende che alcune testate europee abbiano già attivato iniziative legali o istruttorie preliminari presso le autorità nazionali e a Bruxelles, temendo che la nuova interfaccia di ricerca crei uno squilibrio competitivo analogo a quello che aveva generato la multa del 2017. Idealo fa capire che il contenzioso non è solo possibile, ma può essere vinto. E soprattutto manda un messaggio chiaro a Google: mentre l’azienda ridisegna l’architettura della ricerca attraverso l’AI, il fronte giudiziario che si sta aprendo potrebbe limitarne il potere proprio nel momento in cui si sta delineando un nuovo ecosistema informativo.











