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Farmacie digitali: come cambia l’acquisto di medicinali in Europa



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La normativa sulla vendita online di medicinali evolve con recenti sentenze della Corte di Giustizia UE. L’intermediazione viene distinta dalla vendita diretta, aprendo nuove possibilità, mentre permangono limitazioni sulle strategie promozionali

Pubblicato il 26 mag 2025

Denise Moretti

associate Portolano Cavallo

Elisa Stefanini

Partner di Portolano Cavallo



rete DPO sanità vendita di farmaci online ia in sanità; duplicato tessera sanitaria

La vendita online di medicinali rappresenta un settore in costante evoluzione normativa, caratterizzato dall’interazione tra disposizioni europee e nazionali. Le recenti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea stanno ridefinendo i confini tra intermediazione e vendita diretta di farmaci, aprendo nuove prospettive per gli operatori del settore pur mantenendo necessarie tutele per i consumatori.

Quadro normativo sulla vendita online di medicinali

Promozione e vendita online di medicinali – a differenza di altre categorie di prodotti para-farmaceutici – sono soggette a una serie di disposizioni e vincoli di natura regolamentare che, in parte, discendono da norme europee e, in altra parte, sono frutto del recepimento di tali norme a livello nazionale, comportando alcune – a volte anche significative – differenze di disciplina tra i vari Stati membri. In particolare, la normativa che disciplina la vendita e la promozione dei farmaci anche attraverso canali online è principalmente rappresentata dalla Direttiva 2001/83 (“Direttiva”), recepita a livello nazionale del Codice del Farmaco, nonché da una serie di circolari del Ministero della Salute che forniscono indicazioni di maggiore dettaglio sulle modalità di svolgimento dell’e-commerce.

In questo contesto, la normativa nazionale deve sempre più “fare i conti” con la giurisprudenza delle Corti europee, sempre in evoluzione, che mira a garantire la libertà di concorrenza e il libero esercizio dell’attività economica a livello europeo.

I principi fondamentali della normativa sull’eCommerce dei medicinali

La vendita dei medicinali online è disciplinata a livello nazionale dall’articolo 112 quater del Codice del Farmaco[1] e dettagliata da due circolari del Ministero della Salute risalenti al gennaio e maggio 2016. Più in particolare, l’attività di vendita di medicinali online è consentita per i medicinali non soggetti a prescrizione medica ad alcune condizioni:

  • i soggetti legittimati a effettuare la vendita a distanza sono solo farmacie e alcuni esercizi commerciali autorizzati;
  • i soggetti legittimati devono ottenere la preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente a livello locale, previa comunicazione di una serie di informazioni ad essi relative (i.e. denominazione, data inizio attività di vendita a distanza, indirizzo del sito);
  • il sito web per la vendita deve contenere alcuni elementi tra cui il logo ministeriale con relativo collegamento ipertestuale al sito web del Ministero in cui sono indicati gli estremi dell’autorizzazione ricevuta.

Il procedimento per la vendita online si compone dunque di due fasi: una prima autorizzatoria da parte dell’autorità locale competente e una seconda di “accreditamento” in cui si richiede al Ministero il rilascio del logo unico e il relativo collegamento ipertestuale.

Limitazioni alle piattaforme di intermediazione in Italia

Dato che la vendita di medicinali è consentita solamente se fatta da soggetti legittimati attraverso siti all’uopo autorizzati (strettamente correlati alla sede fisica che dispensa i medicinali al pubblico), il Ministero della Salute, con propria circolare del 2016, ha espressamente vietato a livello nazionale l’utilizzo di siti web intermediari o piattaforme di e-commerce (marketplace) o applicazioni mobile per smartphone o tablet (APP), per la vendita online dei medicinali, nonché l’utilizzo di piattaforme tecnologiche intermediarie che dal prodotto scelto dall’utente consentano di risalire a un venditore accreditato selezionato dal sistema.

Secondo il Ministero, infatti, la possibilità di utilizzare questo tipo di piattaforme intermediarie è in contrasto con il diritto di libera scelta della farmacia da parte dei cittadini sancito dalla legge n. 475/1998. Con tale precisazione, a livello nazionale si inibisce la possibilità di utilizzare piattaforme online non solo per la vendita dei prodotti ma anche per la mera attività di intermediazione ovvero la mera messa in contatto di domanda e offerta di farmaci.

La definizione di intermediazione secondo la Corte di Giustizia

Sulla distinzione tra servizio di vendita di medicinali e quello dell’intermediazione si è pronunciata di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) con la sentenza C-606/21 del 29 febbraio 2024, che ha chiarito quando gli stati possono imporre ostacoli e limitazioni all’esercizio da parte degli operatori. L’interpretazione dalla Corte sembra legittimare la mera attività di intermediazione di farmaci (non soggetti ai limiti della Direttiva).

In primis la CGUE definisce attività di intermediazione di farmaci ai sensi della normativa europea di riferimento (Direttiva 98/34 ora sostituita con la Direttiva 2015/1535) l’attività che consiste nel mettere a contatto farmacisti e clienti per la vendita di farmaci non soggetti a prescrizione. L’attività di intermediazione si ricollega alla definizione di “servizio della società dell’informazione”, che di per sé non è soggetto ad alcuna limitazione ed è definito come “qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”.

Requisiti per la qualificazione di un servizio di intermediazione

Più in particolare:

  • Retribuzione: la retribuzione del servizio non deve essere necessariamente versata da soggetti che ne sono beneficiari. È dunque irrilevante che il servizio sia fornito a titolo gratuito alla persona che acquista il medicinale in quanto dà luogo alla conclusione tra i prestatori del servizio e ciascun farmacista che si avvale di detto servizio di un contratto di fornitura di servizi accompagnato da un pagamento. A tal proposito secondo la CGUE è anche irrilevante che i farmacisti versassero una somma sulla base di una somma forfettaria o che il servizio fosse oggetto di un abbonamento mensile da parte dei farmacisti.
  • Vendita a distanza e per via elettronica: un servizio viene considerato come fornito a distanza e per via elettronica quando la messa in contatto tra il cliente e il farmacista è effettuata tramite un sito web, senza la presenza simultanea del prestatore del servizio e del cliente o del farmacista.
  • Richiesta individuale di un farmacista: generalmente, attraverso la richiesta i farmacisti devono aderire al sito/piattaforma dell’intermediario per poter beneficiare del servizio; dall’altra parte i clienti devono creare un conto per poter accedere ai siti dei farmacisti al fine di acquistare i medicinali.

Distinzione tra intermediazione e vendita diretta

Secondo la CGUE, qualora un servizio sia conforme ai requisiti sopra menzionati e si limiti a mettere in contatto clienti e prestatori di un altro servizio di natura diversa, il servizio va sostanzialmente qualificato come mera intermediazione, e non direttamente come vendita di medicinali. Una volta chiarita la differenza tra intermediazione e vendita online di medicinali, la CGUE stabilisce che gli Stati non possono, sul fondamento della Direttiva, vietare la prestazione di un servizio online consistente nella mera messa in contatto di farmacisti e clienti ai fini della vendita di medicinali non soggetti a prescrizione nei siti delle farmacie, dato che tale servizio non rientrerebbe nell’attività di fornitura al pubblico dei medicinali.

In materia di intermediazione della vendita online di farmaci – quindi – sembra che la decisione della Corte di Giustizia spinga verso una liberalizzazione di tale attività rispetto alla posizione assunta dal Ministero della Salute nella circolare del 2016, che appare peraltro più restrittiva di quanto espressamente previsto dalla normativa italiana. Nelle more di una possibile revisione della circolare, nuovi modelli di business che forniscano servizi di intermediazione nell’acquisto di farmaci, con magari collegati servizi di comparazione prezzi o simili potrebbero essere esplorati con maggiore ottimismo. Ovviamente, purché la piattaforma di intermediazione si limiti a mettere in contatto utenti e venditori, senza intervenire in alcun modo nella vendita.

Regolamentazione degli sconti sui medicinali

Per quanto riguarda gli sconti sui medicinali pagati dai pazienti out of pocket, si ricorda che ai sensi dell’attuale quadro regolatorio[2] le farmacie/esercizi commerciali possono praticare sconti direttamente ai clienti, dandone adeguata preventiva informazione alla clientela e praticando le medesime condizioni a tutti gli acquirenti senza alcuna discriminazione. Pertanto, come anche specificato dalla circolare del Ministero della Salute del gennaio 2016, sui medicinali devono essere praticati i medesimi sconti, sia che essi siano acquistati in un punto vendita fisico che a distanza tramite un sito internet autorizzato.

Sul punto si segnala una diversa posizione espressa dall’AGCM che invece riterrebbe opportuno un cambiamento di passo per aprire il mercato a una maggiore concorrenza e liberalizzazione delle politiche di prezzi, consentendo sconti e modalità di definizione delle politiche commerciali a favore del consumatore (quale tessere fedeltà/cash back/sconti per fasce o tipologie di clienti). Più in particolare, l’autorità – nelle sue Proposte di riforma ai fini della legge annuale per la concorrenza del 2024[3]– ha sostenuto che (i) la normativa vigente in materia di sconti sui farmaci debba già oggi essere interpretata nel senso di richiedere unicamente che venga data “adeguata informazione alla clientela”, senza che sia necessaria l’applicazione dello sconto “a tutti gli acquirenti” e che (ii) al fine di fugare ogni dubbio, sarebbe necessario rendere esplicito che gli sconti su tutti i farmaci e sulle preparazioni magistrali distribuiti da farmacie, parafarmacie e dagli esercizi autorizzati alla vendita possono essere applicati liberamente, anche in modo diversificato (ossia consentendo fidelizzazioni, premialità, sconti per categorie di pazienti).

La posizione della Corte di Giustizia sulle iniziative promozionali

Se la Corte di Giustizia ha introdotto elementi di apertura e liberalizzazione in relazione al concetto di intermediazione nell’acquisto dei farmaci, lo stesso non può dirsi in materia di sconti e promozioni.

Infatti, nel recente caso DocMorris[4] la Corte si è trovata a valutare alcune iniziative promozionali messe in atto dalla società DocMorris, tra cui:

  • l’applicazione di sconti sulla generalità dei farmaci su prescrizione medica; e
  • la possibilità di ricevere (sia a favore del cliente stesso che a favore di un amico), per ogni prescrizione, un buono per il successivo acquisto di medicinali non soggetti a prescrizione medica o altri prodotti non medicali.

La questione pregiudiziale trasmessa alla CGUE riguardava la possibilità di qualificare tali iniziative come pubblicità dei medicinali e la legittimità di una normativa nazionale che limitasse questo tipo di iniziative.

Partendo dalla definizione di pubblicità come “qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali”, la CGUE ha affermato che si ha pubblicità laddove il messaggio promozionale sia inteso a influenzare la scelta di un determinato medicinale e non la mera scelta della farmacia.

Su tale presupposto, la CGUE ha ritenuto che le iniziative come quelle di cui al punto (i), riguardando medicinali su prescrizione la cui decisione di prescrivere rientra nell’esclusiva responsabilità del medico, non possano influenzare le scelte del cliente circa l’acquisto di un determinato medicinale o meno e pertanto il messaggio veicolato da dette azioni non sarebbe qualificabile come pubblicità. Dall’altra parte, invece, le azioni pubblicitarie di cui al punto (ii), non vertendo unicamente su medicinali soggetti a prescrizione medica ma riguardando anche altri prodotti (in particolare medicinali non soggetti a prescrizione) devono essere qualificate come pubblicità dei medicinali. Infatti, queste strategie promozionali incoraggiano l’acquisto di medicinali non soggetti a prescrizione: in assenza dell’obbligo di ricorrere a un medico prescrivente, il destinatario dei buoni acquisto, attirato dal vantaggio economico offerto da tali buoni, può utilizzarli per procurarsi a prezzo ridotto medicinali non soggetti a prescrizione.

Nel caso di specie, dunque, la CGUE ha ritenuto che azioni pubblicitarie come quelle descritte al punto (ii), assimilando i medicinali non soggetti a prescrizione medica ad altri prodotti di consumo offerti da una farmacia, può portare ad un uso irrazionale ed eccessivo di tali medicinali. Questa assimilazione, secondo la CGUE, svia il consumatore dalla valutazione oggettiva della necessità di acquistare detti medicinali.

Implicazioni delle limitazioni alle iniziative promozionali

Ciò chiarito, la CGUE conclude che entrambe le tipologie di iniziative possono essere vietate dagli Stati membri, purché, da un lato, tale limitazione sia finalizzata a tutelare il consumatore laddove sussista un rischio serio e grave di pregiudizio per lo stesso (da dover verificare in concreto). Inoltre, come per qualsiasi restrizione delle libertà fondamentali garantite dal TFUE, la restrizione deve rispondere ai requisiti della necessarietà e proporzionalità rispetto all’obiettivo da perseguire.

Considerazioni sull’impatto della giurisprudenza Ue in Italia

Con questa pronuncia, che peraltro è antitetica rispetto alle conclusioni espresse dall’Avvocato generale sul medesimo caso il 24 ottobre 2024, la Corte di Giustizia sembra fare un passo indietro sulla strada della liberalizzazione delle iniziative commerciali sui farmaci senza obbligo di prescrizione, in quanto riconduce anche quelle alla categoria della pubblicità dei medicinali che può essere vietata o limitata dagli Stati membri.

Valutando questa posizione alla luce della nostra situazione nazionale, certamente essa risulta in linea rispetto all’interpretazione fino ad oggi adottata dal Ministero della Salute (sul punto si ricorda ad esempio una nota ministeriale del 30 dicembre 2020 che aveva ad oggetto un’iniziativa promozionale molto simile a quella valutata dalla Corte di Giustizia rispetto alla cui fattibilità anche il Ministero si era espresso in senso negativo).

Tuttavia, ci sembra che una simile posizione si presti ad alcune critiche: da un lato, affermare che l’applicazione di sconti ai farmaci su prescrizione non sia qualificabile come pubblicità perché, in quel caso, la decisione spetta al medico prescrittore e dunque non sarebbero in grado di influenzare l’acquisto da parte dei consumatori porterebbe a sostenere che nessun tipo di promozione di questi farmaci sia qualificabile come pubblicità, al punto che lo stesso divieto di pubblicità al pubblico verrebbe ad essere svuotato di contenuto. D’altro lato, ci sembra che qualificare come pubblicità di farmaci (e dunque consentire agli Stati membri di vietare o limitare) qualsiasi iniziativa meramente commerciale relativa a farmaci senza obbligo di prescrizione perché potrebbe indurre a un consumo eccessivo degli stessi vada nella direzione opposta rispetto alla liberalizzazione dei prezzi a vantaggio della concorrenza e a beneficio dei consumatori, che è quanto auspicato dall’AGCM e in altri contesti perseguito dalla stessa Corte di giustizia[5].

Sul primo punto, non pensiamo che tale decisione possa avere un particolare impatto sul sistema italiano dove l’applicazione di sconti sui farmaci su prescrizione è consentita purché pagati direttamente dai cittadini (mentre non è ammessa sui farmaci rimborsati dal SSN). Seguendo tale interpretazione, si potrebbe sostenere che sia consentito pubblicizzare sconti su farmaci soggetti a prescrizione pagati dai pazienti però, dal momento che in Italia è vietata la vendita online dei farmaci su prescrizione, tale apertura non risulta di particolare utilità (salvo immaginare una comunicazione attraverso altri mezzi). Al contrario, tale pronuncia potrebbe rafforzare l’interpretazione restrittiva adottata dal Ministero della Salute in relazione a varie tipologie di iniziative commerciali (seppur finora fondata su diverse motivazioni, ossia la necessità di applicare condizioni uniformi a tutti i potenziali acquirenti). 

Note


[1] Decreto Legislativo n. 219/2006.

[2] Articolo 5 del Decreto-legge n. 223/2006, articolo 32 del Decreto-legge n. 201/2011 e articolo 11 del Decreto-legge n. 1/2012.

[3] Segnalazione AGCM “AS2045 – Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza – anno 2024” del 20 dicembre 2024.

[4] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, causa C-517/23, sentenza del 27 febbraio 2025.

[5] Seppure questa posizione ci sembra in linea con il precedente caso Euroaptieka (Causa C‑530/20), deciso dalla Corte il 22 dicembre 2022.

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