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Trump all’attacco di aziende UE, lo scontro sulle regole



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Dalla regolazione dell’AI alle piattaforme digitali, Washington alza il livello dello scontro con Bruxelles e trasforma il diritto tecnologico in una leva di politica commerciale. Con la minaccia di colpire specifiche aziende europee. Ecco che c’è in ballo

Pubblicato il 17 dic 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



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Siamo a livelli mai visti, ormai, nello scontro Usa-Europa.

Gli Stati Uniti minacciano sanzioni e restrizioni contro specifiche aziende tecnologiche europee come risposta alle politiche regolatorie sull’AI e alle azioni legali antitrust dell’Unione Europea nei confronti delle big tech americane.

Un passaggio che segna l’ingresso del digitale in una nuova fase di conflitto commerciale e geopolitico tra le due sponde dell’Atlantico.

Lo scontro USA-UE sul tech entra in una nuova fase: minacce, ritorsioni e il nodo della sovranità digitale.

Dazi e ritorsioni: la regolazione del digitale entra nella logica commerciale Usa-Europa

La notizia arriva da Washington ed è politicamente esplicita. In un intervento pubblico dell’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti (USTR), l’amministrazione Trump ha accusato l’Unione Europea di portare avanti un insieme sistematico di azioni discriminatorie contro le imprese americane del settore tecnologico, annunciando la possibilità di misure di ritorsione economica nei confronti di aziende europee operanti negli Stati Uniti.

La minaccia esplicita dell’amministrazione Trump di colpire aziende tecnologiche europee come Accenture, SAP, Siemens, Spotify o Mistral non è un semplice incidente diplomatico. Questa forse è la rappresentazione plastica che il conflitto tra Stati Uniti e Unione Europea sulla regolazione del digitale sta cambiando natura: da disputa normativa a confronto commerciale e geopolitico aperto.

Per la prima volta, Washington non si limita a criticare le regole europee su concorrenza, privacy, piattaforme e intelligenza artificiale, ma annuncia possibili misure di ritorsione economica mirata contro imprese europee, accusando Bruxelles di portare avanti un “corso continuo di azioni discriminatorie e vessatorie” nei confronti delle aziende statunitensi.

Il modello europeo di governo del tech sotto pressione

Il punto centrale non è Google, Meta o X, né le singole multe o indagini. In gioco c’è il modello europeo di governo del digitale, fondato sull’idea che piattaforme, dati e algoritmi debbano essere regolati come infrastrutture di interesse pubblico, e quello statunitense, storicamente più permissivo e orientato al mercato.

Negli ultimi dieci anni l’Unione Europea si è affermata come il regolatore più attivo al mondo del settore tecnologico, costruendo un impianto normativo che va dall’antitrust alla protezione dei dati personali, fino alle regole su piattaforme e mercati digitali e, più di recente, all’AI Act. Per Washington, per l’industria tech americana, questo impianto non è neutrale: viene percepito come un freno strutturale all’innovazione e come uno svantaggio competitivo sistemico.

La novità è che oggi questa critica non resta più confinata al piano politico o retorico, ma si traduce in una minaccia di ritorsione commerciale diretta, con un linguaggio che richiama apertamente la logica della guerra dei dazi.

Perché la regolazione del digitale colpisce anche industria e servizi

Colpisce che nella lista delle possibili aziende bersaglio non compaiano solo player digitali puri, ma anche grandi gruppi industriali e di servizi europei. Una scelta tutt’altro che casuale.

Washington segnala che, se l’Europa utilizza la regolazione come leva di potere economico, gli Stati Uniti sono pronti a fare lo stesso, colpendo settori ad alto valore aggiunto e fortemente integrati nel mercato americano. Il messaggio è chiaro: la regolazione digitale non è più considerata una questione tecnica o giuridica, ma una forma di politica industriale mascherata.

In questo senso, l’attacco non è solo alle regole, ma alla pretesa europea di difendere la propria sovranità normativa senza pagarne un prezzo geopolitico.

AI, libertà di espressione e regolazione: il terreno ideologico dello scontro Usa-Europa

Il conflitto si innesta anche su un piano ideologico sempre più esplicito. Le critiche dell’amministrazione Trump, in particolare quelle del vicepresidente JD Vance, alla regolazione europea della tecnologia e dei social media si intrecciano con una narrativa che lega intelligenza artificiale, libertà di espressione e declino europeo.

Nel discorso americano, le regole europee non soffocherebbero solo l’innovazione, ma anche la libertà di parola e la creatività imprenditoriale. Una lettura che ignora il contesto europeo, dove la regolazione nasce come risposta alla concentrazione di potere, alle asimmetrie informative e agli impatti sociali delle piattaforme digitali.

Questo scarto culturale rende il conflitto più difficile da ricomporre: non si discute solo di norme, ma di valori, modelli di società e ruolo dello Stato nell’economia digitale.

Equilibrio fragile: la regolazione del digitale tra apertura e difesa

L’Unione Europea, da parte sua, prova a mantenere una linea di equilibrio. Da un lato segnala aperture selettive, soprattutto sul fronte dell’AI, per non perdere competitività e attrarre investimenti.

Dall’altro difende con decisione le regole su concorrenza, piattaforme e mercati digitali, considerate espressione di sovranità politica. Il rischio è che questo equilibrio diventi sempre più difficile da sostenere in un contesto di frammentazione geopolitica, dove il digitale è ormai un campo di confronto strategico al pari dell’energia o della difesa.

Oltre la cronaca: quando la regolazione del digitale diventa potere

Questa vicenda va oltre la contingenza delle relazioni transatlantiche. C’è il rischio di trovarci di fronte a un’anticipazione di una dinamica destinata a rafforzarsi, la trasformazione della regolazione tecnologica in strumento di competizione geopolitica.

In un mondo in cui AI, dati e piattaforme sono infrastrutture critiche, le regole non sono più solo strumenti di tutela, ma leve di potere. Quando la regolazione diventa potere, la risposta non è solo giuridica, ma economica e politica.

La domanda di fondo non è se l’Europa abbia “ragione” o se gli Stati Uniti stiano esagerando. La vera questione è se l’Unione Europea sia pronta a sostenere il costo strategico della propria ambizione regolatoria in un contesto globale sempre meno disposto a riconoscerle neutralità e autonomia.

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