L'ANALISI

Scuola digitale, perché preoccupano i dati sull’attuazione

I dati sul PNSD forniti dal Miur e diffusi da Agi su alcune aree chiave (connettività, didattica, organizzazione) mostrano una situazione ancora abbastanza lontana dagli obiettivi e testimoniano una fragilità ancora elevata del processo di cambiamento

Pubblicato il 03 Nov 2017

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

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Destano preoccupazione i dati sull’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale divulgati dall’agenzia Agi, sulla base di una richiesta di accesso civico al Miur, anche se ancora parziali (sono stati coinvolti nella consultazione dell’Osservatorio del Miur in totale 27458 plessi, di cui 22200 del I ciclo e 5258 del II ciclo, ma i dati disponibili sono ancora relativi soltanto a circa una scuola su tre, cioè da 8088 scuole del I ciclo e 891 del II ciclo).

Non solo perché in alcune aree chiave (connettività, didattica, organizzazione) mostrano una situazione ancora abbastanza lontana dagli obiettivi, ma soprattutto perché testimoniano di una fragilità ancora elevata del processo di cambiamento, oltre che di una disomogeneità rilevante. Segnali, entrambi, di un percorso verso la “scuola digitale” per nulla irreversibile e con risultati consolidati ancora da esprimere.

Emblematico è certamente il caso degli animatori digitali, identificati come agenti di cambiamento e quindi attori principali: per loro è in avvio in questi mesi la community che dovrebbe consentire uno scambio sistematico di buone pratiche ed esperienze, ma non è ancora realtà (sembra lo sarà, finalmente, tra poco) l’attribuzione dei mille euro previsti nel PNSD per l’attuazione delle loro attività. Una situazione che è stata così commentata dal direttore di Agi Riccardo LunaDue anni per ricevere i primi mille euro sono inaccettabili e sono la fotografia migliore della sciatteria con cui viene trattato uno dei processo chiave per rilanciare la scuola italiana”. Una figura che doveva diventare di sistema e protagonista, ma che invece ancora procede tra molto volontarismo e con situazioni molto disomogenee tra le diverse scuole.

Connettività

Una delle condizioni di base per il PNSD è certamente la presenza di banda nelle scuole, così da consentire l’effettivo uso della rete nella didattica quotidiana. La situazione ad oggi è ancora, però, poco soddisfacente: secondo i dati divulgati da Agi, infatti “la fibra raggiunge in media il 13% dei plessi (alla porta della scuola). Sarebbero infatti 1134 le scuole che dichiarano di avere la fibra, di cui 889 del primo ciclo e 225 del secondo ciclo”. La situazione nazionale è molto diversificata, passando dal 35% di copertura dell’Emilia Romagna allo 0% dichiarato dalle scuole del Molise che hanno fin qui risposto.

Considerando anche le connessioni ADSL, il 60% delle scuole che ha risposto (quindi circa 5300) ha accesso a una velocità di banda al di sotto dei 10Mbps.

Non solo, le spese di connessione pesano sul bilancio della singola scuola in modo rilevante (tre scuole su quattro spendono 3000 euro l’anno), mentre si è ancora in attesa dello sblocco dello stanziamento di 10 milioni di euro a partire dal marzo 2016 previsto in modo specifico per il “canone per la connessione a Internet”. Tra le scuole rispondenti, quasi tutte dichiarano di avere tra il 60 e l’80% delle aule connesse in rete e tra il 40 e il 60% delle aule cablate. Quindi con una percentuale di aule connesse ancora non totale (nonostante fosse su questo tema il primo PON lanciato dal Miur in attuazione del PNSD). La situazione sembra peggiorare negli Istituti Superiori, dove tra i rispondenti soltanto 200 licei scientifici, 90 classici, 595 generici istituti superiori e qualche decina tra tecnici e professionali hanno dichiarato di avere almeno un laboratorio connesso.

Il piano nazionale prevede adesso il completamento della copertura in banda ultralarga delle scuole nel 2020. Il che vuole dire che per molte scuole un’efficace attuazione del PNSD non potrà essere realizzata prima di tre anni.

Digitalizzazione-Il registro elettronico e la comunicazione

Spia di una situazione di digitalizzazione dei processi ancora non soddisfacente è data dai numeri divulgati sulla diffusione del registro elettronico.

Dai dati forniti dal Miur ad AGI risulta che solo poco più di 4000 istituti italiani, quindi uno su due, ha attivato il registro elettronico del docente. Al primo posto c’è l’Emilia-Romagna, con il 57% degli istituti attrezzati e avviati all’uso del registro elettronico, seguita dalla Puglia, Liguria, Basilicata e Campania. Al penultimo posto il Lazio e all’ultimo la Sardegna.

Anche qui, per un cambiamento che stenta a realizzarsi si possono individuare diverse ragioni, tra le quali un’impostazione complessiva non chiara, la scelta discutibile di lasciare a ciascuna scuola l’onere di individuare la soluzione informatica ed organizzativa, la presenza non sufficiente di competenze tra i docenti, oltre che di attrezzature e connessione. E sarebbe necessario individuare al più presto degli interventi che incidano profondamente su questi problemi.

E non è un caso che solo il 18% degli istituti dichiari di utilizzare i social media per le comunicazioni, segno evidente di un cambiamento ancora poco pervasivo nella cultura e nei processi di interazione scolastici.

Didattica

Sulla didattica i dati divulgati sono parzialmente significativi. Abbiamo delle rilevazioni sulle attività associate al pensiero computazionale, che appaiono in graduale crescita, con un primato per le scuole del Centro-Sud, come Abruzzo e Puglia, con il 42-44% degli istituti attivi su questo fronte.

Ma mancano, ad esempio, i dati sulla disposizione degli ambienti d’aula, che possono dare molte informazioni sulla permanenza o meno del modello frontale di lezione.

Studenti e carte

Un ultimo dato interessante è quello della carta IoStudio, dove su 2 milioni e 700mila carte attualmente in circolazione (gli studenti delle scuole superiori sono 2 milioni e 600mila circa) solo un milione di carte è stato attivato. Il 70% degli studenti che ha attivato la carta ha anche attivato il servizio PostePay. Quasi 1 su 3. Il che è anche coerente con la situazione di utilizzo della Carta per i diciottenni, che si attesta su percentuali simili. Insomma, anche sul fronte studenti il processo di cambiamento stenta a evidenziare risultati ancora significativi.

Credo si debba partire da qui, dall’analisi aperta e franca dei problemi che sono ancora presenti, e con un processo partecipativo che consenta di individuare gli interventi da avviare rapidamente (supportando docenti e dirigenti perché possano essere protagonisti). Perché il cambiamento è fragile, disomogeneo, e in alcuni casi troppo lento e incerto, a fronte di un PNSD che indica obiettivi ambiziosi e però ancora lontani da essere raggiunti.

Bisogna riportare la questione scuola al centro delle politiche nazionali, solo così si può trattare efficacemente il tema della ripresa sociale ed economica del nostro Paese.

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