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ChatControl, rischio sorveglianza di massa? Che ne pensate?



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Sul regolamento ChatControl stiamo pubblicando diversi articoli, con tante opinioni. Ma siamo interessati anche a raccogliere commenti dei lettori. Potete sfruttare la nuova funzione commenti in questo articolo o altri

Pubblicato il 1 dic 2025

Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu



chatcontrol sorveglianza

C’è un’ondata di critiche e di interesse sul regolamento ChatControl. Con il via libera del Consiglio dell’Unione europea alla propria posizione sul Regolamento per prevenire e combattere l’abuso sessuale sui minori – il cosiddetto Chat Control 2.0 – la partita si riapre, dopo mesi di stallo e una prima bocciatura politica.

Il testo approvato a novembre dai governi prevede che la scansione dei contenuti resti formalmente “volontaria” per i provider, ma rende permanente la deroga alla direttiva ePrivacy, introduce un obbligo generalizzato di verifica dell’età e istituisce un nuovo Centro europeo incaricato di gestire segnalazioni e banche dati.

Un dossier per capire Chat Control 2.0

È su questo sfondo che Agenda Digitale sta costruendo un dossier a più voci, come di consueto, secondo la linea editoriale che ci contraddistingue.

Dal quadro giuridico e tecnico tracciato da Angelo Alù, alla critica radicale di Walter Vannini, passando per l’analisi di fattibilità di Giovanni Cristi e Giuliano Peritore (Aiip) e per la lettura delle novità introdotte dal Consiglio offerta da Maurizio Carmignani.

Importante ora è ricostruire che cosa sta realmente cambiando con Chat Control 2.0, quali punti fermi emergono nel dibattito e quali nodi restano aperti.

Il dossier è aperto. Sono infiniti i tasselli che lo compongono, in un puzzle che non avrà mai fine, perché eterno è il dibattito per l’equilibrio da trovare tra sicurezza e privacy.

Ecco perché invitiamo oggi lettori ed esperti a entrare in campo, con analisi, testimonianze, proposte alternative.

I commenti dei lettori

I lettori possono farlo ora direttamente sugli articoli, con la nuova sezione dedicata ai commenti. Aspettiamo le vostre, quindi.

Domande aperte e alternative alla sorveglianza di massa

Al momento, mettendo in fila i contributi già arrivati, emergono alcuni punti condivisi. Tutti gli autori citati riconoscono che l’abuso sessuale sui minori, online e offline, è una priorità assoluta, e che i dati sul fenomeno giustificano una risposta decisa.

Nessuno mette in discussione la necessità di una strategia europea forte, in grado di superare frammentazioni nazionali e zone grigie normative.

Il dissenso si concentra sugli strumenti: la scansione generalizzata dei contenuti, anche se formalmente “volontaria”, e la verifica universale dell’età vengono percepite come misure sproporzionate, tecnicamente fragili, con un impatto strutturale su privacy, sicurezza delle comunicazioni, diritti dei minori stessi e libertà politiche.

Ma proprio perché il tema non è bianco o nero, il dibattito è tutt’altro che chiuso. Restano aperte questioni complesse che richiedono contributi da competenze diverse: giuristi, tecnologi, psicologi, educatori, operatori sociali, forze dell’ordine, provider di servizi digitali.

Per esempio: come progettare misure realmente efficaci contro le reti che producono e scambiano materiale di abuso, senza trasformare ogni cittadino in un sospetto permanente? Qual è il perimetro accettabile di intervento sulla crittografia end-to-end, alla luce delle pronunce dei giudici europei e delle raccomandazioni delle autorità privacy?

Come si governa un Centro Ue che riceve e smista segnalazioni su utenti di tutto il continente, in modo trasparente e controllabile democraticamente?

E ancora: quali modelli di verifica dell’età possono conciliare tutela dei minori e diritto all’anonimato, evitando il rischio di escludere intere fasce di popolazione – non solo i ragazzi, ma anche adulti senza documenti digitali o competenze – dall’accesso ai servizi?

Come evitare che i costi tecnici e organizzativi di Chat Control 2.0 diventino un fattore di ulteriore concentrazione del mercato, a vantaggio solo dei grandi player globali in grado di implementare sistemi complessi di rilevazione e compliance?

Il dibattito su Chat Control 2.0, insomma, non può esaurirsi in un sì o un no a Bruxelles. Riguarda il modo in cui l’Europa immagina il proprio spazio digitale: un’estensione dello Stato di diritto, oppure un’eccezione permanente in nome della sicurezza.

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Ajeje Brazorf
Ajeje Brazorf
3 giorni fa

Buongiorno,
non ritengo opportuno commentare firmando con il mio nome e cognome, userò perciò un nome di fantasia e vi chiedo di non indagare sulla mia identità. Approfitto per chiedere come mai avete sentito il bisogno di identificare chi commenta. A cosa serve?

Nel merito vorrei segnalare una posizione fortemente critica. Va proprio messa in discussione la strategia europea. La prima criticità infatti è nella definizione degli obiettivi: la rete e i suoi servizi NON dovrebbero essere sicuri per nessuno. Dovremmo considerarli intrinsecamente insicuri, rischiosi, non adatti ai minori, criminogeni. Insicuri perchè non vanno controllati. Non vanno controllati perchè di fatto non si può e soprattutto perchè non si deve. Perchè nessun controllo è neutro.

La libertà di parola ed espressione sono un presupposto della democrazia, non sono diritti allo stesso livello degli altri protetti costituzionalmente. Quando questa manca, mancano di conseguenza poi tutti gli altri.

Per questo le comunicazioni devono essere riservate (art.15 Costituzione) e, a mio parere, deve essere evitata qualsiasi forma di filtro o monitoraggio, anche se questo permette usi criminogeni. A meno di non voler limitare le libertà inseguendo una sicurezza irrealizzabile e, di fatto, illusoria.

La protezione normativa non dovrebbe tendere a rendere sicuro ciò che non può diventare tale, se non snaturandolo. Dovrebbe invece dare regole alle persone per evitare che frequentino in modo inconsapevole ambienti insicuri. Non dobbiamo radere al suolo la giungla per portarci i bambini a giocare, dobbiamo tenere lontani i bambini dalla giungla! Alle aziende va detto che si devono proteggere e che altrimenti pagheranno risarcimenti, non date regole sul cosa fare o come fare.

In questo senso sono da rifiutare tutte le normative di “protezione dei minori” o di “sicurezza dei servizi” o di “prevenzione dell’odio online” o altre ottime ragioni di cui è lastricata la strada verso un regime illiberale.

Vi consegno questa riflessione in modo che possiate rappresentare anche una posizione fortemente minoritaria, quella di chi pensa che sia preferibile correre dei rischio e subire degli impatti, piuttosto di perdere la democrazia o i suoi presupposti. Piuttosto di creare armi normative per il controllo di massa che ci sfuggiranno di mano presto, alla prossima “emergenza”.

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