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Poca cyber, siamo pmi italiane: il problema irrisolto



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Il Cyber Index PMI 2024 fotografa un ritardo strategico nelle difese informatiche delle piccole e medie imprese italiane. La collaborazione pubblico-privato e l’adozione della direttiva NIS 2 rappresentano opportunità per sviluppare un ecosistema digitale resiliente

Pubblicato il 16 mag 2025

Vittorio Bitteleri

Country Manager Italia di Cyber Guru



cybersecurity pmi zero trust network access

Digitalizzazione, automazione, cloud computing, intelligenza artificiale: l’innovazione corre, e con essa si moltiplicano le opportunità. Ma, come in ogni ecosistema che evolve rapidamente, crescono anche i rischi. In questo scenario, la cybersecurity non può più essere considerata una voce accessoria di bilancio, ma un vero e proprio presidio strategico.

Il Cyber Index PMI e la fotografia della situazione italiana

Il Cyber Index PMI 2024, promosso da Confindustria in collaborazione con l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN), nasce proprio con l’obiettivo di misurare il grado di maturità delle piccole e medie imprese italiane nella gestione del rischio informatico. E il quadro che emerge non è incoraggiante. Anzi, impone una riflessione seria e immediata.

Un punteggio che preoccupa: la maturità cyber è ancora troppo bassa

Il punteggio medio registrato dalle PMI è di 52 su 100, un dato che si posiziona sotto la soglia di sufficienza e che certifica la fragilità strutturale del sistema imprenditoriale italiano rispetto ai rischi cyber. Le imprese italiane, che rappresentano il cuore pulsante della nostra economia, non sono ancora pronte ad affrontare un contesto digitale sempre più complesso, in cui le minacce si evolvono con una velocità impressionante.

Le vulnerabilità delle PMI nel contesto cyber

Non si tratta solo di numeri. Questo indice fotografa un ritardo culturale, strategico e operativo. Mentre i cyber criminali utilizzano strumenti sempre più sofisticati – come ransomware altamente personalizzati, phishing evoluto, deepfake e ora anche intelligenza artificiale generativa – la maggior parte delle PMI fatica ancora a dotarsi degli strumenti basilari per proteggere i propri dati e processi.

Mancano risorse, competenze e consapevolezza

Le PMI, per loro natura, non dispongono spesso delle risorse economiche e umane necessarie per costruire infrastrutture di difesa complesse. Questa mancanza le rende bersagli appetibili: non perché contengano i dati più preziosi del web, ma perché sono più facilmente penetrabili, spesso sprovviste di barriere minime. Il Cyber Index ci dice che solo il 15% delle imprese ha un approccio maturo alla sicurezza informatica, mentre il 38% si affida ancora a pratiche artigianali, improvvisate, inadeguate.

Il problema culturale della cybersecurity PMI

L’errore più grande, però, non è tecnico. È di visione. Molte imprese credono ancora che basti installare un antivirus o fare un backup una volta al mese per sentirsi al sicuro. Ma la cybersecurity non è un software: è una strategia, una cultura, un processo continuo.

La metafora dell’auto: guidare al buio, senza cinture

Pensiamo a una scena: si guida in una notte nebbiosa, su una strada piena di curve, con il cellulare in mano e senza cintura di sicurezza. Eppure si pensa: “Cosa mai potrà andare storto?”. È esattamente questo l’atteggiamento che molte imprese hanno verso la sicurezza informatica. Un approccio pericolosamente ottimista, che sottovaluta l’impatto potenziale di un attacco.

Secondo l’indagine, le PMI ottengono solo 45 su 100 nella capacità di identificare e classificare i rischi. Questo significa che molte aziende non sanno quali asset siano veramente critici, quali dati meritino protezione e quali minacce siano più probabili. Ma se non si conosce ciò che si deve proteggere, come si può costruire una difesa efficace?

Cybersecurity nelle PMI: dalla tecnica alla governance aziendale

Una delle lezioni più importanti che emergono dal Cyber Index è che la cybersecurity non è (più) una questione solo tecnica. Non può essere relegata al reparto IT o affidata al singolo consulente esterno. Deve diventare un tema centrale della governance aziendale, discusso nei board, inserito nei bilanci, integrato nei processi decisionali.

Le imprese devono cambiare mentalità. Devono passare da un approccio reattivo – intervenire solo dopo un incidente – a uno proattivo, costruendo resilienza digitale giorno per giorno. E questo implica formazione continua, audit regolari, simulazioni di attacco, sviluppo di piani di risposta agli incidenti. Significa soprattutto assumersi la responsabilità, accettare che l’attacco non è solo possibile, ma probabile.

La collaborazione pubblico-privato: una leva imprescindibile

In questo scenario, nessuna impresa può farcela da sola. È fondamentale creare una rete di collaborazione forte tra settore pubblico e privato, dove le istituzioni accompagnino le imprese con strumenti concreti: formazione gratuita e capillare, incentivi per investimenti in sicurezza, supporto operativo e diffusione delle best practice.

L’adozione della direttiva NIS 2, che impone nuovi obblighi alle aziende più rilevanti dal punto di vista della sicurezza nazionale e della supply chain, rappresenta un’opportunità per estendere il tema anche alle PMI, offrendo linee guida strutturate e occasioni di crescita.

Le imprese, però, devono rispondere con apertura e senso di responsabilità. La logica del “a noi non succederà” è pericolosa quanto inefficace. Oggi, un attacco informatico può interrompere la produzione, compromettere relazioni commerciali, provocare danni reputazionali irreparabili, se non addirittura portare alla chiusura dell’attività.

Cybersecurity: da costo a investimento per la competitività

È tempo di rovesciare la narrazione. La sicurezza informatica non è un costo, ma un investimento strategico, una condizione abilitante per competere nei mercati globali. Ogni euro investito in strumenti di protezione, formazione del personale, revisione dei processi digitali è un euro speso per proteggere il valore d’impresa. Significa evitare fermi macchina, sanzioni, perdite di dati, esfiltrazioni di know-how.

Il Cyber Index 2024 ci mostra una realtà fatta di luci e ombre. Ma non è un documento da leggere con rassegnazione. Al contrario, è una chiamata all’azione, un invito a riconoscere la fragilità del nostro tessuto produttivo e a trasformarla in forza, attraverso la consapevolezza e l’impegno.

Verso un ecosistema resiliente e pronto alle sfide digitali

Il futuro non aspetta. Le sfide digitali sono già qui: intelligenza artificiale, identità digitali, Internet of Things, cloud distribuiti. Per affrontarle servono imprese preparate, infrastrutture solide, una cultura della sicurezza diffusa.

Solo investendo oggi nella resilienza digitale potremo costruire un sistema produttivo in grado di resistere agli attacchi del presente e di crescere con fiducia nel mondo di domani. E in questo percorso, il Cyber Index PMI 2024 può diventare una bussola preziosa: non per dirci dove siamo, ma per mostrarci dove dobbiamo andare.

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