Il primo dicembre a Roma, presso lo Spazio Europa dedicato a David Sassoli, si è svolto un evento sul futuro della mobilità autonoma in Italia.
Tra i partecipanti, anche l’assessore alla Mobilità di Roma Capitale, Eugenio Patanè, che ha colto l’occasione per esprimere posizioni favorevoli all’introduzione di veicoli a guida autonoma nella Capitale, soprattutto per servizi di trasporto a chiamata nelle aree periferiche, quei mezzi che operano come una sorta di taxi collettivo nelle zone meno accessibili della città.
Indice degli argomenti
Le speranze romane-italiane di una guida autonoma
Secondo l’assessore, questa innovazione potrebbe rivelarsi cruciale per aumentare la sicurezza stradale, ridurre l’inquinamento e fluidificare il traffico urbano. Patanè ha sollecitato la costituzione di un tavolo nazionale per rimuovere gli ostacoli normativi, primo fra tutti l’articolo 46 del Codice della Strada, che definendo i veicoli come macchine “guidate dall’uomo” preclude di fatto la circolazione di mezzi senza conducente sul territorio nazionale, relegando l’Italia in una posizione di retroguardia rispetto ad altri Paesi europei e mondiali.
Risoluzioni della Camera e impegno del Governo
Sul punto, a fine novembre, la commissione Trasporti della Camera dei Deputati ha approvato alcune risoluzioni sottoscritte da diversi gruppi parlamentari e su cui si è impegnato il Governo. Revisione del codice della strada, spinta sulla filiera innovativa italiana, concertazioni con i sindacati per tutelare posti di lavoro (leggi tassisti), tra i punti approvati.
Anche se quello del codice della strada forse è l’ultimo dei problemi, visto che il testo dell’articolo 46 del CdS non è proprio un fulgido esempio di chiarezza legislativa: “Ai fini delle norme del presente codice, si intendono per veicoli tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade guidate dall’uomo.”
È ovvio che il buon senso ci porterebbe a collegare quel “guidate dall’uomo” alle macchine, ma il buon senso non può essere la chiave interpretativa di una legge. Solo per questo il testo del CdS andrebbe rivisto e forse non solo in quell’articolo.
Veicoli a guida autonoma: come vengono classificati
La classificazione dei veicoli autonomi è definita da SAE International (Society of Automotive Engineers) e riconosciuta a livello globale dalle agenzie governative e dall’industria automobilistica. Il sistema identifica cinque livelli di automazione (con un livello zero pari a nessuna automazione), ciascuno con caratteristiche, responsabilità e implicazioni normative distinte.
Ovviamente la tabella è puramente esemplificativa, dato che ogni livello tiene conto di molteplici requisiti che devono essere valutati in concreto prima di definire il tipo di livello di guida autonoma.
Livello | Guida | Monitoraggio | Intervento umano | Responsabilità legale
0 – No Driving Automation | Umano | Umano | Sempre | Conducente
1 – Driver Assistance | Umano + assistenza | Umano | Sempre | Conducente
2 – Partial Driving Automation | Sistema + supervisione | Umano | Quando richiesto | Conducente
3 – Conditional Driving Automation | Sistema | Sistema | Su richiesta sistema | Sistema/Conducente
4 – High Driving Automation | Sistema | Sistema | Mai (nell’ODD) | Sistema/Produttore
5 – Full Driving Automation | Sistema | Sistema | Mai | Sistema/Produttore
L’Operational Design Domain (ODD) definisce dove, quando e in quali circostanze un veicolo autonomo può operare senza intervento umano. È come una “zona di comfort” tecnologica del sistema, al di fuori della quale il veicolo non può garantire prestazioni sicure.
Basti pensare che solo in Europa, solo tre Paesi – Svizzera, Germania e Repubblica Ceca (questa dal 1° gennaio 2026) – consentono la circolazione sulle strade di veicoli a guida autonoma di livello 3, mentre le sperimentazioni sono tutte di livello 4.
Ad oggi, in nessuna parte del mondo esistono veicoli di livello 5 utilizzati neanche a livello di sperimentazione.
Dal modello statunitense alle promesse dei veicoli a guida autonoma
Negli Stati Uniti la guida autonoma non è più solo un’ipotesi futuristica: robo-taxi e veicoli per le consegne senza conducente (con guida autonoma di livello 4) circolano già in alcune città come San Francisco e Phoenix, mentre altre amministrazioni stanno studiando come integrarli nel proprio sistema di mobilità.
Dopo anni di sperimentazioni e grandi investimenti, la domanda non è più “se” la guida autonoma arriverà, ma “quando e in che forma” entrerà davvero nella vita quotidiana degli americani.
La spinta principale viene dagli enormi capitali investiti: il mercato della guida autonoma è stimato in crescita da 57 miliardi di dollari nel 2021 a quasi 800 miliardi nel 2028. Allo stesso tempo però lo scenario industriale è molto fluido: alcune aziende tecnologiche e case auto hanno rallentato o ridimensionato i progetti, preferendo concentrarsi ad esempio sull’intelligenza artificiale generativa, mentre nuove start-up entrano nel settore e sperimentano modelli di business diversi, dai robo-taxi ai servizi logistici.
Benefici potenziali e diffidenza dell’opinione pubblica
Dal punto di vista dei potenziali benefici, un report di Deloitte ha evidenziato quattro grandi promesse per le città americane: maggiore sicurezza stradale, risparmi economici e sociali, efficienza della rete di trasporto e migliore accessibilità per anziani e persone con disabilità.
Secondo i dati di Deloitte, i veicoli Waymo hanno una probabilità di incidenti con feriti inferiore dell’85% rispetto alla guida umana, e in uno scenario con il 25% del parco auto autonomo si stimano 75 miliardi di dollari l’anno di costi evitati per incidenti.
Inoltre, la guida autonoma potrebbe ridurre emissioni e consumi grazie a una guida più regolare e al cosiddetto “platooning”, cioè convogli di veicoli che viaggiano coordinati.
Nonostante questi vantaggi potenziali, negli USA esiste un forte “gap di fiducia” tra ciò che la tecnologia è in grado di fare e ciò che i cittadini sono disposti ad accettare.
I sondaggi mostrano che la quota di americani che si dichiara “spaventata” dalla guida autonoma è salita dal 54% del 2021 al 66% nel 2024, proprio mentre le aziende speravano di convincere l’opinione pubblica. Gli incidenti più mediatici e i richiami di veicoli hanno contribuito a rafforzare lo scetticismo.
Per reagire, l’associazione di categoria del settore ha elaborato cinque principi per ricostruire la fiducia, puntando su trasparenza con le autorità, integrazione responsabile nelle comunità, elevati standard di cybersecurity, cultura della sicurezza e politiche orientate alla tutela dell’utente.
Costi robotaxi vs uber (e simili) vs auto privata
I costi al momento sono alti, per utente e gestore del servizio, ma dovrebbero scendere con l’evoluzione della tecnologia e l’aumento delle scale.

Robotaxi oggi: circa 8,2 $/miglio, stima McKinsey per il costo totale per veicolo-miglio in una città tipo nel 2024
Ride-hailing oggi: circa 2 $/miglio, fascia tipica 1,5–2,5 $/miglio indicata da BCG per i servizi tipo Uber/Lyft
Auto privata oggi: circa 0,82 $/miglio, media AAA 2024 per un’auto nuova guidata 15.000 miglia l’anno
Robotaxi 2035 (scenario “prudente”): ~1,3 $/miglio, proiezione McKinsey a piena scala operativa nel 2035
Robotaxi “scala massima” (scenario ottimista): 0,25 $/miglio per il costo al consumatore, stima ARK Invest in caso di piena maturità del modello robotaxi
Chi decide regole e tempi della transizione
Sul piano normativo, la situazione statunitense è molto frammentata.
Quasi tutti gli Stati hanno approvato una qualche forma di legislazione sulla guida autonoma, ma con accenti diversi: alcuni si concentrano sui test, altri consentono anche forme di dispiegamento commerciale, altri ancora lasciano ampio margine alle città.
Alcuni Stati, come la California o l’Arizona, sono stati pionieri: hanno favorito test e servizi pilota, ma ora affrontano anche tensioni politiche, richieste di maggior controllo da parte delle amministrazioni locali e indagini federali dopo incidenti molto discussi.
Deloitte distingue tre modelli istituzionali: controllo prevalentemente statale, controllo locale e approccio ibrido. Nel primo caso lo Stato centralizza le regole, facilitando la vita alle imprese ma riducendo lo spazio di manovra delle città; nel secondo sono i comuni a decidere tempi e modalità di sperimentazione, con il rischio però di una “patchwork regulation” che rende difficile scalare i servizi; nel modello ibrido lo Stato definisce un quadro generale e delega ai territori alcune scelte operative.
Per tutti e tre i modelli è necessario avere standard uniformi, chiarezza sulle responsabilità in caso di incidenti, condivisione dei dati e strumenti di partenariato pubblico-privato.
Un altro elemento centrale è il ruolo dei diversi attori dell’ecosistema: governi federali, statali e locali; sviluppatori tecnologici; costruttori di auto; gestori di flotte; fornitori di rete e, naturalmente, gli utenti finali.
Infine, secondo Deloitte, nonostante l’enorme attenzione mediatica, la quota di vendite di veicoli completamente autonomi negli USA resterà probabilmente sotto l’1,5% anche nel prossimo decennio: la rivoluzione sarà quindi graduale.
Per questo i decisori pubblici devono agire subito, definendo obiettivi chiari (sicurezza, riduzione della congestione, inclusione sociale, sviluppo economico) e usando la guida autonoma come strumento al servizio di queste priorità, invece di subire scelte e tempi dettati solo dal mercato.
L’Europa tra regolazione, AI Act e veicoli a guida autonoma
Il quadro regolatorio europeo sulla guida autonoma si fonda su un vincolo internazionale: la Convenzione di Vienna sulla circolazione stradale del 1968, che nella sua versione vigente per tanto tempo ha sempre richiesto che un veicolo avesse un conducente in grado di controllarlo in ogni momento.
Con un emendamento del marzo 2016 è stata introdotta una prima apertura alla guida autonoma, consentendo il trasferimento delle funzioni di guida al veicolo purché le tecnologie siano conformi ai regolamenti ONU o disattivabili dal conducente.
Il passo decisivo è giunto con l’articolo 34-bis, in vigore dal 14 luglio 2022, che stabilisce che il requisito della presenza di un conducente è soddisfatto quando il veicolo utilizza un sistema di guida automatizzata conforme alle regolamentazioni nazionali e internazionali.
Una modifica importante che rinvia alle legislazioni nazionali la definizione delle condizioni operative, delle responsabilità e dei requisiti tecnici specifici. È un meccanismo di abilitazione, non di armonizzazione diretta.
Omologazione, regolamenti ONU e AI Act
L’Unione Europea ha costruito un sistema normativo fondato sull’omologazione (type-approval). Il Regolamento 2019/2144 sulla sicurezza generale ha introdotto l’obbligo di sistemi avanzati di assistenza alla guida.
Il Regolamento di esecuzione 2022/1426 rappresenta il primo corpus normativo al mondo per l’omologazione di veicoli completamente automatizzati (livello 4), con requisiti su gestione del rischio, sicurezza funzionale, cybersecurity e comportamento in scenari critici.
L’impianto recepisce le norme UNECE, in particolare il Regolamento ONU n. 157 relativo agli Automated Lane Keeping Systems. Su questa base è nato il partenariato europeo CCAM nel contesto del programma Horizon Europe, che riunisce Commissione, industria e centri di ricerca con l’obiettivo di allineare le attività di ricerca e innovazione con l’evoluzione del quadro regolatorio.
È un tentativo di evitare lo scollamento fra sviluppo tecnologico e capacità normativa che spesso caratterizza i settori ad alta innovazione, avviato con la Comunicazione COM(2016) 766, che coordina appunto ricerca, industria e istituzioni.
Diversi Stati membri hanno anticipato il quadro europeo con legislazioni specifiche. La Germania è stata la prima a creare un quadro organico: nel 2021 ha adottato il Gesetz zum autonomen Fahren e nel 2022 l’AFGBV (Autonomous Vehicles Approval and Operation Ordinance), che disciplinano l’impiego di veicoli di livello 4 in aree operative definite, con obblighi per costruttori, gestori di flotte e supervisori tecnici remoti.
La Francia ha seguito un percorso articolato: l’Ordonnance n° 2016-1057 ha aperto alle sperimentazioni, la Loi PACTE del 2019 ha esteso il quadro, e l’Ordonnance n° 2021-443 con il Decreto n° 2021-873 hanno definito il regime di responsabilità e le condizioni d’uso dei veicoli automatizzati, rendendo la Francia il primo Paese europeo a disporre di un quadro normativo completo per la circolazione non sperimentale.
I Paesi Bassi hanno aperto alle sperimentazioni su strada pubblica già dal luglio 2015, con un sistema di esenzioni gestito dalla RDW (Dutch Vehicle Authority) caso per caso. La Experimenteerwet Zelfrijdende Auto del 2017 ha rimosso l’obbligo della presenza fisica del conducente nel veicolo durante i test, consentendo la supervisione da remoto.
La Svezia consente test su strada pubblica tramite autorizzazioni della Transportstyrelsen; nel 2022 Scania ha ottenuto il permesso di testare camion autonomi su un percorso di quasi 300 km. La Svizzera ha adottato nel dicembre 2024 l’Ordonnance sur la conduite automatisée, in vigore dal marzo 2025. Norvegia, Austria, Spagna e altri Paesi hanno introdotto regimi per sperimentazioni pilota con requisiti stringenti su assicurazione e supervisione.
Un tassello rilevante del quadro normativo è rappresentato dall’AI Act, il Regolamento (UE) 2024/1689 sull’intelligenza artificiale. Le funzioni di guida autonoma rientrano tipicamente nella categoria dei sistemi di IA ad alto rischio («high-risk AI systems»).
La relazione fra AI Act e normativa automotive è tuttavia complessa e richiederà adattamenti per evitare duplicazioni e lacune. In sintesi, l’Europa dispone di un quadro avanzato per l’omologazione, ma la diffusione effettiva dipenderà dalla soluzione di nodi irrisolti: regimi di responsabilità prevedibili, coordinamento dei codici nazionali, governance dei dati e interoperabilità transfrontaliera.
Italia, sperimentazioni e veicoli a guida autonoma nel trasporto pubblico
Nonostante il dibattito politico europeo spinga per un’accelerazione delle iniziative sui veicoli a guida autonoma, l’Europa sta ancora investendo timidamente: dopo i cinquecento milioni di euro destinati alle partnership pubblico-private per la mobilità cooperativa, connessa e automatizzata, la Commissione ha stanziato un miliardo di euro attraverso il programma Horizon Europe per il periodo 2025-2027, con l’obiettivo di sviluppare opzioni di trasporto più sicure, sostenibili e inclusive.
Il progetto ULTIMO, finanziato nell’ambito del programma Horizon, ha avviato servizi sperimentali nella valle di Groruddalen a Oslo, dove cinque veicoli elettrici autonomi trasportano passeggeri dall’inizio di febbraio 2025 con l’ambizione di creare il primo servizio di trasporto pubblico su richiesta con veicoli autonomi su larga scala al mondo.
La ricerca accademica europea conferma la praticabilità di queste soluzioni anche per i centri storici caratterizzati da strade strette e vincoli architettonici stringenti.
L’Italia sta cercando di posizionarsi in questo scenario con il progetto “Autonomous Driving: Italy in the Front Row”, che mira a coordinare università, centri di ricerca, istituzioni locali e industria.
In Italia le sperimentazioni con veicoli a guida autonoma devono essere autorizzate, secondo quanto previsto dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 (in particolare secondo l’art. 1, comma 72), che rinvia per le modalità attuative e gli strumenti operativi della sperimentazione stessa a un decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, sentito il Ministro dell’Interno. Decreto che è stato emanato il 28 febbraio 2018.
Oltre sessanta città italiane hanno manifestato disponibilità a ospitare sperimentazioni, ma quelle partite si contano sulle dita di una mano: a Brescia, da gennaio 2025, è entrato nel vivo un progetto di A2A, Politecnico di Milano e MOST (il Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile che conta la collaborazione tra 25 università, e relativi centri di ricerca, e 24 grandi imprese attive nell’ambito della mobilità e delle infrastrutture) per un servizio di car sharing con una Fiat 500e che raggiunge automaticamente l’utente.
Nel frattempo, Autostrade per l’Italia prosegue i test sull’A26 con una Maserati MC20 Cielo predisposta dal Politecnico di Milano.
A Torino invece c’è una navetta elettrica a guida autonoma che circola nel Campus Einaudi di Torino, offrendo un servizio a chiamata con 5 fermate nei giorni feriali dalle 11 alle 16.30. Il prototipo è stato sviluppato dal Living Lab ToMove, laboratorio del Comune di Torino focalizzato sull’innovazione nella mobilità urbana smart e sostenibile.
Tutti questi progetti sono basati su una guida autonoma di livello 4.
Roma e un trasporto pubblico lontano dal futuro autonomo
Tornando alle ambizioni della Capitale, il contrasto tra le prospettive futuristiche della guida autonoma e la realtà del trasporto pubblico romano è stridente.
Roma conta circa 1.859.000 automobili e 395.000 motocicli, con un rapporto di sessantasei veicoli ogni cento abitanti, cresciuto ulteriormente rispetto ai sessantaquattro del 2023, allontanando la città dall’obiettivo europeo di trenta veicoli ogni cento residenti entro il 2030.
L’uso del trasporto pubblico è calato drammaticamente a 259 viaggi per abitante all’anno dai 343 del passato.
La rete metropolitana rimane gravemente insufficiente per una capitale di quasi tre milioni di abitanti, mentre quella tranviaria conta appena sei linee per trentasette chilometri complessivi, una dotazione inadeguata per competere con altre capitali come Parigi, Londra o Madrid, mentre Milano, con un’estensione minore, ha 17 linee tranviarie su circa 157 chilometri.
Lo stesso sindaco Gualtieri ha riconosciuto con franchezza, durante il quarto rapporto alla città nel novembre scorso, che la mobilità resta uno dei punti deboli più evidenti della Capitale, con ritardi accumulati su ogni fronte e progetti che slittano sistematicamente.
Sebbene ATAC abbia ridotto l’età media della flotta bus dai 7,6 anni del 2023 ai 6,4 attuali grazie ai fondi PNRR, circolano ancora mezzi con tredici o quattordici anni di servizio che si traducono in guasti frequenti, corse saltate e sovraffollamento cronico.
La rete tranviaria ha subito una paralisi quasi totale tra ottobre e novembre 2025 per i lavori su tante linee, mentre i primi dei 121 nuovi tram arriveranno solo gradualmente fino al 2026, dopo ventotto anni senza nuovi convogli.
Gli scioperi del personale si susseguono con cadenza mensile, riflettendo tensioni strutturali su condizioni di lavoro e sicurezza.
Secondo alcuni dati raccolti da Moovit (da prendere ovviamente con le pinze), a Roma l’attesa media alla fermata del bus nel 2020 era di 16 minuti, un dato che forse andrebbe rivisto al rialzo dopo cinque anni.
Ma è anche la durata media del viaggio a incidere: sempre Moovit ha calcolato che a Roma la durata media di un viaggio sui mezzi pubblici è di quasi un’ora.
Le conseguenze sono inevitabili: in una città dove il trasporto pubblico versa in queste condizioni, i romani non hanno alternativa all’uso del mezzo privato per conciliare lavoro e vita familiare.
L’altissima diffusione dei motocicli è il sintomo più evidente di un servizio pubblico su cui non si può fare affidamento. In questo contesto, parlare di veicoli a guida autonoma diventa quasi folcloristico.
Tra miraggio tecnologico e priorità reali della mobilità romana
Come visto, l’implementazione efficace dei veicoli autonomi richiede un coordinamento senza precedenti tra molteplici stakeholder, ma soprattutto – secondo i primi dati del progetto ULTIMO – per un impatto reale sulla mobilità di Oslo servirebbero circa cinquecento veicoli autonomi operativi simultaneamente, con investimenti nell’ordine di centinaia di milioni di euro e una pianificazione strategica su scala decennale.
Roma non riesce a completare la terza linea metropolitana, iniziata nel 2007. Le strade sono un colabrodo, le corsie preferenziali non bastano nemmeno per gli autobus tradizionali, e intanto si lasciano entrare i bus turistici nel centro storico, che intasano il traffico, rallentano la circolazione e hanno un impatto negativo sul trasporto pubblico e sul manto stradale.
Pensare che una città così possa gestire veicoli a guida autonoma non è ottimismo: è fantascienza.
Le periferie dove l’assessore vorrebbe sperimentare i bus autonomi sono oggi spesso scarsamente servite da un trasporto pubblico efficiente (e spesso anche trovare un taxi è complicato): le frequenze sono talmente diradate da rendere il trasporto pubblico l’ultima spiaggia per chi deve raggiungere le altre aree della città.
Come può una capitale che non garantisce corse regolari di autobus tradizionali, che vede la propria rete tranviaria paralizzarsi per mesi, pensare realisticamente di implementare servizi di trasporto autonomo all’avanguardia?
Il tavolo nazionale proposto da Patanè è certamente opportuno per preparare il terreno normativo futuro e per l’eliminazione delle barriere legislative, perché è ovvio che le aziende del settore desiderano una legislazione chiara piuttosto che operare in un vuoto normativo.
Tuttavia, questo sforzo non deve diventare un diversivo rispetto alle emergenze presenti. I veicoli autonomi sono uno strumento che può potenziare un sistema di trasporto già funzionante, non un sostituto per servizi essenziali che oggi non vengono erogati.
Altrimenti, i veicoli a guida autonoma resteranno l’ennesimo miraggio in una mobilità romana sempre più distante dagli standard delle altre capitali europee, mentre le decine di migliaia di automobili e motocicli che intasano quotidianamente le strade della Capitale continueranno a testimoniare il fallimento strutturale del trasporto pubblico locale.












