Adelante con (troppo) juicio, così si potrebbero sintetizzare i recenti risultati del “Renewable energy report 2025”, a cura dell’Osservatorio del Politecnico di Milano.
Ecco i dati del fotovoltaico (anche industriale) e dell’eolico nel nostro Paese, emersi dal report sulle rinnovabili.
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Renewable energy report 2025 dell’Osservatorio: i numeri delle rinnovabili
L’Italia ha archiviato il 2024, registrando 6.027 MW di nuova potenza installata in ambito fotovoltaico (+15% rispetto al 2023). In termini numerici, gli impianti sono scesi, pur crescendo la potenza media.
Il 74% della nuova capacità dell’Italia al 2030 deriverà da fotovoltaico, mentre l’eolico (che in Italia è a quota 612 MW, in recupero dopo la discesa del 2023) rimarrà marginale, a differenza di Germania, Francia e Spagna.
Supera la soglia del 43% la potenza che deriva da impianti ≥1 MW, che cioè caratterizzano il fotovoltaico industriale (su tetti industriali o aree rirali, per generare energia per impresa o vendita diretta).
Un ettaro di fotovoltaico industriale può produrre fino a 15-20mila euro l’anno, in base alla producibilità e agli incentivi (con costi compresi fra 180mila e 220mila euro per strutture da 200 kW).
Gli incentivi per Fer X
Fer 1 ha attribuito oltre 6 GW in un quinquennio, oltre il previsto, ma i tempi sono lunghi e si osserva troppa discontinuità tra i bandi. Sotanto dal tredicesimo bando, quando il prezzo di esercizio è stato salito a circa 75 €/MWh, si è saturata completamente la domanda. Le tariffe precedenti (circa 65 €/MWh) non avevano catalizzato interesse, e, a fronte di una partecipazione troppo bassa, aveva assistito ad aste andate frequentemente deserte.
Il rinnovato meccanismo Fer X, oggi in forma transitoria, rende più dinamico il metodo di attribuzione. Contingenti non più fissi, ma variabili in base all’incrocio fra curva di domanda e quella di offerta.
Per il fotovoltaico industriale, le tariffe stimate potrebbero oscillare tra 65 e 95 €/MWh, in base alla competitività dei progetti. La soglia di accesso diretto per impianti arriva fino a 1 MW, mentre una quota totale massima di 3 GW prevede l’assegnazione entro fine 2025.
Lcoe e redditività
S4econdo il Renewable energy report 2025, il fotovoltaico è il più profittevole fra le FER. L’accesso al Fer X permette all’IRR (Internal Rate of Return o Tasso interno di rendimento) di passare al 12,8%. Ma, senza incentivi, il mercato libero taglia i margini. Gli impianti in modalità merchant sorpassano di rado il 6% di IRR. Anche i PPA, seppur stabili, risultano meno redditizi.
I consigli del Renewable energy report 2025 per superare gli osatacoli
L’Italia dovrà registrare un incremento del 40% delle installazioni annue per ottemperare agli obiettivi 2030. A fine 2024, 161 GW, tuttavia, aspettavano ancora le autorizzazioni.
Ostacoli autorizzativi, rete congestionata e tempi geologici sono un freno agli investimenti.
Occorre più coordinamento tra Stato, Regioni e operatori. Ma bisogna anche semplificare le procedure con il Testo unico Fer e il Decreto Aree Idonee, per far scalare la marcia al fotovoltaico e raggiungere il ritmo necessario per centrare gli obiettivi italiani ed europei.
Mirella Castigli
La delusione del fotovoltaico industriale tricolore: cosa non va
Aumenta l’istallazione di fotovoltaico nel nostro Paese. Oltre 6 GW nel 2024 con un incremento di oltre il 10% rispetto all’anno precedente, ma sempre molto lontano da ciò che sarebbe stato necessario realizzare per essere in linea con i target fissati al 2030, e anche un numero ancora troppo basso rispetto a
quello che potenzialmente si potrebbe fare.
Ancora più evidenti questi gap per l’eolico, il cui nuovo istallato raggiunge appena i 600 MW.
E non è motivo di conforto nemmeno il dato con cui si evidenzia la crescita del fotovoltaico industriale. Infatti, all’aumento della potenza complessiva installata corrisponde la riduzione del numero di nuovi impianti per un aumento della potenza media.
Era infatti prevedibile che con la fine del superbonus sarebbe diminuito il numero dei piccoli impianti domestici. Ciò che fa fatica a decollare paradossalmente è proprio il fotovoltaico industriale, e l’eolico, che potrebbero vantare i migliori risultati economici, se non fossero ostacolati da opposizioni nimby, farraginosità burocratiche e normative contraddittorie e inadeguate.
L’eccessiva timidezza del governo e gli errori dell’agrivoltaico
Il governo centrale, nonostante dichiarazioni che indicherebbero la volontà di semplificare le norme, procede con troppa timidezza su questo fronte. Anzi, in alcuni casi mette freni incomprensibili o si rifiuta di fare le scelte che sarebbero necessarie e opportune.
Il primo caso è ben rappresentato dalle norme volute dal ministero delle Politiche Agricole (su suggerimento di Coldiretti) che riguardano la possibilità di realizzare fotovoltaico in aree agricole.
Il governo, infatti, ha scelto di vietarlo o di ridurlo a un “agrivoltaico” così pieno di paletti che, se non verranno corretti rapidamente, non si avrà alcuna possibilità di sviluppo concreta.
Si è scelto quindi di dare retta a una campagna “terroristica” per cui il fotovoltaico “predatore” avrebbe invaso le campagne e impedito persino l’agricoltura di qualità. Invece il fotovoltaico non solo potrebbe aiutare gli agricoltori a non abbandonare i terreni come succede con drammatica costanza ormai da decenni nel nostro Paese, ma le esperienze più avanzate (non quelle dettate da norme incomprensibili) dimostrano quanto è possibile la convivenza di agricoltura e produzione di energia rinnovabile.
Decreto “Aree idonee”: altro errore del governo come dimostra il caso Sardegna
Altra decisione sbagliatissima del Governo è stata quella della “rinuncia a scegliere” fatta con il Decreto “Aree idonee”.
Con quel Decreto il Governo avrebbe dovuto dare le linee guida alle Regioni per individuare sui propri territori quelle aree appunto più idonee a ospitare impianti da fonti rinnovabili, dove le procedure autorizzative avrebbero potuto e dovuto essere assai più semplici e rapide.
Invece il governo, dopo mesi e mesi di ritardo (già questo, grave), ha partorito un decreto che, sostanzialmente, diceva alle Regioni “fate come volete”. Tanto che immediatamente la Regione, politicamente più arretrata e dove la campagna mediatica contro le rinnovabili aveva fatto più danni, la Sardegna, si è affrettata a fare una norma in base a quel decreto farlocco che rendeva il 99% del suo territorio NON idoneo a ospitare impianti da rinnovabili e quindi impossibile raggiungere l’obiettivo 2030 fissato dal burden sharing che individua i target regione per regione.
Il caso sardo
Quella sarda, a nostro avviso, è una norma incostituzionale. Infatti (pur avendo riformato il Titolo V della Costituzione e avendo reso incomprensibilmente concorrente tra Regioni e stato centrale la competenza su un tema come quello energetico che dovrebbe piuttosto essere trattato a livello europeo, altro che sul piano regionale) sono le ultime sentenze della Corte come quella sull’autonomia differenziata ad avere chiarito che su questo argomento non si
può andare in ordine sparso.
Attendiamo nelle prossime settimane un verdetto definitivo della Corte, ma intanto il Tar del Lazio si è incaricato di demolire quel decreto del governo, imponendogli di rifarlo, dettando questa volta delle Linee Guida coerenti. E il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica dell’Italia, guidato da Gilberto Pichetto Fratin, era tanto consapevole di essere in torto da aver persino rinunciato a fare ricorso.
Le opposizioni delle Soprintendenze
Sul territorio continuano a moltiplicarsi le opposizioni delle Soprintendenze con pareri assai raramente sito-specifici e quindi condivisibili, ma molto più spesso veri e propri copia-incolla che rivelano un atteggiamento pregiudiziale per cui qualsiasi modifica del paesaggio, anche in zone non particolarente pregiate, sarebbe da ostacolare, se non da impedire sempre e comunque.
I media locali spesso pronti a fare da gran cassa a minoranze rumorose che influenzano la politica. Insomma tutte componenti che portano a rallentamenti, se non a un vero e proprio stallo in alcuni casi, con il risultato che si fanno troppi pochi impianti che restano nel limbo, molti che saturano virtualmente la rete.
Così stiamo perdendo una grande occasione industriale, oltre a non essere conseguenti con gli impegni che assumiamo per combattere la crisi climatica.
Il mondo non ci aspetta
Irena ci dice che il 93% della nuova potenza elettrica installata nel mondo nel 2024 era rinnovabile. I dati dell’Agenzia internazionale per l’energia ci confermano che eolico e fotovoltaico sono oramai le fonti più convenienti rispetto ai fossili e al costosissimo nucleare.
Sarebbe davvero un peccato non cambiare marcia e iniziare a correre pure noi. Eppure il dibattito mainstream sulle questioni energetiche parte dal costo delle bollette per famiglie e imprese (che è un problema vero), ma sfocia con costanza esasperante sempre sulla supposta necessità del ritorno al nucleare. Chi lo propugna sono spesso gli stessi soggetti che qualche anno fa sostenevano che le rinnovabili erano condannate all’irrilevanza.
Oggi, di fronte all’evidenza contraria dei fatti e del mercato, hanno cambiato “giustificazione” sostengono che è la non programmabilità delle rinnovabili a rendere necessaria la “sicurezza” del nucleare. Facendo finta di ignorare che se c’è una fonte di nergia non modulabile quella è proprio il nucleare, che il costo degli accumuli è crollato del 90% negli ultimi 15 anni e che in quel
settore avanza più che mai l’innovazione tecnologica. Ma gli interessi di chi vuol
difendere lo status quo fossile o investire in questa folle avventura nucleare non si fermano davanti a nulla e sono pronti a usare anche bufale e fake news per sostenere i propri argomenti.
La disinformazione sul blackout spagnolo
Ultimo caso di disinformazione è quello del blackout spagnolo: molti si sono buttati immediatamente a pesce per incolpare le rinnovabili e la percentuale “troppo alta”, a parer loro, delle rinnovabili nel sistema elettrico della penisola iberica (compreso il Portogallo).
Non era vero ed era evidente sin da subito che il problema piuttosto era nella rete e nella sua gestione inadeguata, oltre che nelle mancate interconnessioni con il resto della rete europea (interconnessioni storicamente ostacolate dalla Francia che temeva giusto appunto la concorrenza delle rinnovabili spagnole contro il suo nucleare).
Lo scorso 17 giugno, il governo spagnolo ha diffuso il rapporto finale che conferma che il colpevole principale è la rete che, nonostante ci fosse tutta la capacità per affrontare criticità, ha clamorosamente sbagliato le previsioni, mentre il secondo colpevole sono le grandi compagnie elettriche che hanno disconnesso impianti in maniera incontrollata, prima i termoelettrici poi anche qualche fotovoltaico, perché non è che l’elettrone si comporti diversamente a seconda di “cosa” lo ha prodotto.
Inoltre, i governi spagnoli in qualche maniera sono corresponsabili perché negli anni non hanno previsto sufficienti risorse da affidare all’operatore nazionale per l’adeguamento della rete.
Ma le rinnovabili comunque non c’entravano. Una storia istruttiva. Cambiamo quindi narrazione per prima cosa, e le norme conseguentemente, in modo da non subire più questa transizione energetica, ma piuttosto candidiamoci a guidarla. Non è troppo tardi, ma anche il Renewable energy report 2025 ci ricorda che il tempo stringe.







