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Startup: l’innovazione che rompe i confini aziendali



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Le startup offrono alle aziende un modo per superare barriere interne e accelerare l’innovazione, integrandosi una volta consolidate. Sono fondamentali per lo sviluppo economico e la creazione di nuovi posti di lavoro

Pubblicato il 3 dic 2024

Luigi Riva

presidente Strategic Management Partners



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Innovazione nelle aziende e startup sono tra i termini più discussi nei convegni e nei seminari, ma non sempre il dibattito riesce a cogliere a pieno il rapporto di causa-effetto che c’è tra i due.

Nelle imprese dove il successo ha sclerotizzato processi e organizzazione è necessario creare innovazione all’esterno del perimetro dell’azienda stessa utilizzando proprio le startup.

Queste devono nascere e crescere fuori dai confini aziendali per essere eventualmente integrate una volta consolidate sul mercato.

Il ruolo delle startup come motore di innovazione

C’è chi osserva le startup e tutto l’universo che gira intorno – business angels, venture capital – come occasione finanziaria. Chi, più correttamente, vede in esse una modalità concreta per portare innovazione laddove è più complicato.

È risaputo, sia nei processi interni per essere più efficienti che nei prodotti e nei servizi offerti ai clienti per essere più efficaci differenziandosi sul mercato, innovazione è precondizione per la crescita e lo sviluppo. Chi la fa cresce più velocemente. Chi la evita rischia di essere messo fuori dal mercato.

Solo che non si tratta di un processo lineare, di qualcosa che si può fare una sola volta, ma di una costante accelerazione progressiva; pertanto, di qualcosa che deve essere costantemente alimentato. Solo per avere un’idea della “progressività”, prima che l’automobile raggiungesse i 50 milioni di pezzi dovettero passare 62 anni, per le TV ce ne vollero 18, lo smartphone meno di 5.

Lo stesso fenomeno si può vedere da altra angolazione. Per raggiungere i 100 milioni di utenti Spotify ha impiegato 11 ani, Twitter 5 anni, Instagram 2,5, TikTok 9 mesi e ChatGpt solo 60 giorni.

L’importanza dell’innovazione per le aziende

Insomma, anche chi pensa che i suoi prodotti, come magari tradizionali beni di consumo, non siano toccati da questa enorme sfida, si sbaglia. Per esempio, uno dei segreti di Procter & Gamble, la più grande azienda mondiale di beni di consumo con un fatturato di quasi 80 miliardi di dollari, è la capacità di innovare sia nei processi interni dove ha inventato e continua a innovare la funzione marketing sia nello sviluppo di nuovi prodotti con uno sforzo continuo di miglioramento. Se dalle grandi imprese si passa alle piccole il discorso non cambia.

Secondo i dati del Politecnico di Milano le pmi manifatturiere italiane che hanno fatto innovazione tecnologica registrano un aumento medio del fatturato del 20%. L’introduzione di nuovi macchinari spinge in media la produttività del 30%. In media chi fa innovazione vede crescere l’utile netto del 28%, i profitti del 18%, l’Ebitda dell11%.

Difficoltà nell’avviare l’innovazione all’interno

Tuttavia c’è una considerazione. Spesso processi ormai consolidati, con standard che potremmo definire “interiorizzati”, rendono difficile avviare e realizzare un percorso di innovazione sia nell’approccio manageriale interno all’azienda, sia nei prodotti e servizi per i clienti.

Insomma, nelle aziende dove abitudini e tradizioni hanno sclerotizzato processi e organizzazione un contributo esterno per quanto riguarda la componente di innovazione può essere fondamentale.

E questo riguarda sia la fase di ricerca pura, sia l’attività di ingegnerizzazione e di lancio sul mercato.

Le startup come superamento delle barriere settoriali

Invece le startup, essendo ontologicamente ‘giovani’ sono anche ‘trasversali’. Per questo consentono di superare sia le barriere tra le singole aziende sia quelle tra i diversi settori, attivando uno reale confronto e scambio di esperienze tra comparti contigui che hanno le stesse problematiche per singole attività.

TLC, energy, high tech & software e banking sono molto simili nella relazione con il consumatore, per esempio nella gestione dei canali di vendita (tra online, telefonico, su piattaforma), nel customer servici (tra social, IA e telefonico), dove le problematiche di gestione sono omogenee.

Una startup che riesca a “innovare” in uno di questi ambiti avrà immediatamente qualcosa da trasferire anche agli altri.

Integrazioni aziendali tramite acquisizioni di startup

È in questa ottica che si devono leggere certe “acquisizioni”, che in realtà sono delle vere e proprie “integrazioni” (e che a oggi sembrano funzionare meglio della quotazione in Borsa). La lista potrebbe essere sterminata ma, per rimanere in Italia, si può citare l’acquisizione completa da parte di Siemens Mobility di Optrail, startup romana nata come spin-off universitario dedicata all’applicazione dell’IA alle complesse sfide di pianificazione del trasporto e della logistica. Un’operazione che, oltre ad ottenere la proprietà intellettuale e il know-how di Optrail, porta la (ex)startup nell’ecosistema Siemens, integrandola come pilastro di un nuovo centro di innovazione interno. Rinomata poi la storia di IGenius, la società di intelligenza artificiale ‘Made In Italy’ fondata da Ulaj Sharka che ha trovato l’interesse di Intesa San Paolo.

Italiana Assicurazioni ha acquisito completamente Pluriuma, rafforzando la posizione nel fintech. Namirial ha acquisito Unimatica, startup di software specializzata nella firma elettronica.

Il ruolo cruciale delle startup nell’economia moderna

Se nell’immaginario collettivo c’è ancora qualcuno che vede le startup come qualcosa da nerd che sognano di creare le nuove Facebook o Google, la realtà è ben diversa. E la ragione del sostegno fiscale e industriale a questi soggetti risiede nel fatto che esse sono uno strumento indispensabile per fare innovazione, per spingere la crescita, per creare posti di lavoro.

Per fare un esempio, negli Stati Uniti le aziende con meno di cinque anni, creano ogni anno 3 milioni di posti di lavoro mentre le vecchie aziende in media ne perdono uno all’anno.

In Italia, invece, siamo indietro. Se nel 2022 in Europa, gli ‘Unicorni’ (startup che valgono almeno 1 miliardo di euro) erano 151 (di cui 44 solo nel Regno Unito) in nel nostro Paese se ne contavano solo 2 (Scalapay e Satispay).

Le aziende come incubatori di startup

Ora, sono le stesse aziende che possono avviare startup “esternamente” (magari con la modalità Hackaton). Oppure tenere monitorato il mercato. In quest’ottica come Strategic Management Partners abbiamo acquisito la maggioranza di Peekabo, incubatore certificato di startup con un capitale di oltre 10 milioni di euro raccolti dalle proprie startup e oltre 50 corporate partner in ambito Venture Clienting.

Una realtà che ha capacità di monitorare il mondo dell’innovazione, di segnalare le startup più promettenti, di descrivere dove va il mercato. Qualcosa di cui le imprese hanno assoluto bisogno.

Ed è “anche” per questo che le startup non devono solo essere oggetto di investimenti finanziari, ma avere una vita di “integrazione” con le aziende. Certo, le imprese devono selezionare le startup in linea con il loro business, fornire alle stesse un ambiente fisico e un minimo supporto economico per consentirne la crescita, ma poi lasciare libero e senza vincoli il nuovo imprenditore di creare e gestire la nuova realtà con processi snelli e flessibili.

E, solo una volta che la startup avrà una presenza consolidata sul mercato si potrà valutare se e come integrarla nell’azienda preesistente importando innovazione e nuovi modelli di business. Ma questo è un problema che sarebbe bello avere.

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