Internet per le emergenze: casi di studio

La rete ha preso il posto della radio per organizzare i soccorsi e gestire le conseguenze di un disastro. Ne parla il recente libro Netquake. Dai social network a mappe 3D fino al networking opportunistico, ecco lo stato dell’arte dei servizi per le emergenze

Pubblicato il 21 Mar 2014

Nicola Strizzolo

docente associato Sociologia Università di Teramo

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Internet diventa sempre più importante anche per gestire emergenze e disastri. Così ogni utente con il suo dispositivo può diventare produttore e nodo per la diffusione di informazioni vitali.

Nel terremoto in Friuli del 1976, come quello in Turchia del 1999, un ruolo importante nella comunicazione è stato giocato dalla radio.

Nel primo caso ovviamente non erano a disposizione storicamente altri mezzi e i radioamatori hanno diffuso informazioni cruciali.

Nel secondo la particolarità delle aree colpite non ha permesso una copertura basata sulle ICT.

È con l’11 settembre 2001 che Internet ha iniziato a svolgere un ruolo determinante anche nei disastri: è aumentata la fruizione dei siti di notizie, molti dei quali sovraffollati, per integrare le informazioni fornite dalla televisione (che fino ad allora era sta invece la fonte prima per le news); le chat e le mail (seppur in calo numerico) hanno sostituito la linea telefonica intasata. La rete ha retto perché nel frattempo era diminuito drasticamente anche l’e-commerce, benché sovraccaricata dalla ricerca di informazioni, dalla messaggistica sostitutiva della linea telefonica e di quella cellulare, che ha lasciato scoperta per una settimana parte della città di NY.

Nello tsunami in Giappone del 2011 una comunicazione integrata (dai mezzi tradizionali ai social network) giocò un importantissimo ruolo nell’allertare la popolazione. A fronte degli ingentissimi danni alle infrastrutture, al collasso delle linee telefoniche, una delle priorità fu l’immediato ripristino del sistema di comunicazione. Da questa esperienza sono state redatte le seguenti linee guida per future emergenze analoghe: garantire energia elettrica per almeno 72 ore; installare le apparecchiature necessarie in alto, al riparo da inondazioni; costruire collegamenti sotterranei; utilizzare canali multipli; collocare i server di autenticazione lontani tra loro in aree diverse; approntare strumenti per gestire il sovraccarico di chiamate e dirottare le stesse su altri canali diversi da quelli vocali, di fatto meno critici; utilizzare piattaforme di cloud computing; ridurre i tempi di attesa alle chiamare ed imporre dei limiti di tempo alle stesse; ridurre la qualità delle chiamate in maniera da poterne gestire un numero maggiore; incoraggiare l’uso di altri media, come i servizi di messaggistica di testo o di emergenza.

In Italia il banco di prova è stato il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. Leggendo ad esempio un volume appena uscito, Netquake si comprende «quanto internet sia una risorsa importante nella gestione delle situazioni di emergenza: come medium comunicativo nelle circostanza in cui il real-time diventa fondamentale, questione di vita o di morte; come contesto della relazione comunicativa tra soccorritori e vittime, tra superstiti e possibili volontari, tra istituzioni e cittadini, tra tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nell’avvenimento».

Il cataclisma abruzzese «rappresenta il primo disastro italiano vissuto e raccontato in un contesto web 2.0, in cui l’Italia prende coscienza dell’esistenza del fenomeno dei social network, e in particolare di Facebook».

Proprio come la prima rete di radioamatori rese un importantissimo servizio ai soccorsi e ai media italiani nel 1976, Internet, in particolare attraverso Facebook, Friendfeed, Youtube e i blog, è stato il primo medium a raccontare cosa stava accadendo sul territorio aquilano attraverso le dirette testimonianze della popolazione colpita.

Internet «ha funzionato come strumento di ricerca delle persone disperse; ha dato un primo input all’apertura di progetti di solidarietà per il sostegno dei terremoti e la raccolta di fondi, in particolar modo nei social network come Facebook e nella home page di gran parte delle corporation globali attraverso svariate iniziative di fund raising; è stato la prima fonte per i media tradizionali».

Grazie ai social network online, hanno anche trovato forza e motivazione gli stessi cittadini dell’Aquila per organizzarsi in movimenti: appreso dai media mainstream delle intercettazioni telefoniche degli imprenditori che hanno prima riso e poi speculato sul disastro, si è creato online il gruppo di “quelli che alle 3.32 non ridevano” che ha radunato 6000 persone, le quali sono riuscite a raggiungere zone urbane a loro proibite e scoperto scenari post apocalittici, a 10 mesi di distanza dal sisma. Immagini queste che hanno poi raggiunto tutti i media, dato forza, riconoscimento e legittimità a quello che è stato battezzato dai media come “popolo delle carriole”.

Esiste anche il progetto coordinato da un architetto inglese, Barnaby Gunning, per una ricostruzione virtuale della città terremotata attraverso SketchUp e Building Maker, i modellatori tridimensionali offerti dal software Google Earth. L’iniziativa ha già raccolto 200 volontari e sessantamila immagini.

La Rete, nel caso abruzzese, ha facilitato la ricomposizione di ciò che il terremoto ha distrutto, supportato l’organizzazione dei movimenti sociali ed è stata punto di riferimento per la condivisione di esperienze, emozioni, proposte e memorie.

I Social Network Mobili

Vi sono infine particolari modelli di applicazioni del paradigma dei Mobile Social Networks (MSNs) per gestire situazioni di emergenza. I MSNs sono tipicamente formati tra gli utenti all’interno di un’area limitata, come può essere una grande città, che comunicano tra loro attraverso le tecnologie di rete. Questo paradigma, viene utilizzato per lo più in soluzioni tecniche per il passaggio delle informazione tra i nodi più vicini e per lo stoccaggio delle stesse, sfruttando anche la mobilità dei nodi che possono così avvicinare ad altri nodi ai quali passare l’informazione. Di fatto è una interpretazione mobile di quello che era il concetto portante ARPANET: la commutazione in pacchetti dell’informazione che viene inviata simultaneamente a diversi nodi raggiungibili e poi ricomposta dal destinatario, attraverso appositi protocolli. In questo caso il problema non è utilizzare i legami tra nodi ancora intatti dopo un attacco nucleare, ovvero ancora raggiungibili, bensì utilizzare la prossimità tra nodi e la loro disponibilità a conservare, riprodurre ed inviare il contenuto ai nodi vicini sfruttando la mobilità degli stessi per raggiungere infine determinati nodi.

A questo paradigma attingono per lo più ricerche su applicativi per utilizzare i contatti di ogni nodo e soluzioni tecnologiche che propongo di sfruttare la banda non utilizzata di molti dispositivi mobili, come smart phone e tablet, più vicini ad incidenti ed emergenze che richiedono l’intervento di soccorsi, per reperire prima possibile gli esperti (es. sanitari e tecnici) più vicini che possono intervenire sulla scena del disastro, avere monitoraggi in tempo reale attraverso le telecamere e le macchine fotografiche a disposizione delle persone più vicine, che utilizzano così non solo il sistema di telefonia-internet mobile, ma anche eventualmente, qualora l’area non fosse non coperta dalla rete, la stessa possibilità di comunicare da dispositivo a dispositivo senza rete pubblica. Questo paradigma viene anche definito del networking opportunistico: ovvero si coglie l’opportunità del nodo più vicino, sia per coinvolgerlo in un’azione nel mondo off line che per comunicare a sua volta ad un altro nodo vicino. La vicinanza crea l’opportunità dell’interazione diretta con lo scenario di azione di chi invia il primo messaggio – per tanto si amplifica, sia così il suo potere di comunicazione che di azione – , anche se il messaggio arriva a chi non è in prossimità del primo emittente, per la viralità della rete, esistono comunque buone probabilità che il messaggio venga reindirizzato anche a chi è in prossima della prima fonte dello stesso, ovvero, proprio come ARPANET, si usano tutti i nodi aperti, la differenza è il movimento dei nodi.

Anche in questa maniera si garantiscono così alla rete di soccorso i principi di resilience and recovery indispensabili per monitorare e riattivare quanto prima tutti i network digitali che possono offrire supporto alle azioni di soccorso e alla popolazione colpita, sulla base di quanto riportato da organizzazioni mondiali, come ad esempio l’International Telecommunication Union

Fonti

– barnabygunning.com/comefacciamo/ (22/02/2014)

– Farinosi E., Micalizzi A. (2013, a cura di), NetQuake. Media digitali e disastri naturali. Dieci ricerche empiriche sul ruolo della Rete nel terremoto dell’Aquila, FrancoAngeli, Milano

– Ferretti S., Furini M., Palazzi C.E., Roccetti M., Salomoni P. (2010), WWW Recycling for a Better World, «Communications of the ACM», april 2010, vol. 53, n. 4

– ITU-T Focus Group on Disaster Relief Systems, Network Resilience and Recovery (2013), Technical Report on Telecommunications and Disaster Mitigation, www.itu.int/en/ITU-T/focusgroups/drnrr/Pages/default.aspx (23/02/2014)

– Minardi E., Salvatore R. (2012), O.R.eS.Te. Osservare, comprendere, progettare per ricostruire a partire dal terremoto dell’Aquila, Homeless Books, Faenza

– Passarella A., Dunbar R.I.M., Conti M., Pezzoni F. (2012), Ego network models for Future Internet social networking environments, «Computer Communications», 35 (2012). 2201–2217, www.internet-science.eu/sites/internet-science.eu/files/biblio/PassarellaDunbarContiPezzoni.pdf (23/02/04)

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