Amazon, Adobe, Google Workspace, Samsung e molti altri. Purtroppo, si tratta di una prassi ormai diffusa. Nel panorama digitale attuale, dove la user experience (UX) dovrebbe rappresentare il fulcro delle piattaforme online, il design non sempre gioca a favore dell’utente.
Anzi, nel 97% dei casi si riscontra l’impiego di dark pattern: interfacce progettate in modo deliberatamente ingannevole per orientare le scelte degli utenti verso azioni che, se pienamente consapevoli, probabilmente eviterebbero.
È quanto emerge dallo Strategic Report redatto dalla società di consulenza Strategic Management Partners, che evidenzia come questo approccio sia adottato con intensità variabile, ma in maniera generalizzata, con il rischio che venga incrinato il rapporto di fiducia tra consumatore e fornitore. Ma vediamo esattamente di cosa si tratta e quali i possibili antidoti.
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Cosa sono i dark pattern: definizione e tipologie
Coniato nel 2010 da Harry Brignull, il termine dark pattern definisce quei modelli di design deliberatamente creati per confondere, ingannare o costringere l’utente. Non si tratta di errori, ma di strategie consapevoli che puntano a massimizzare conversioni, vendite o acquisizione dati. I dark pattern assumono molte forme. Tra i casi più diffusi troviamo:
- Notifiche ingannevoli: come quelle che segnalano offerte “a tempo” senza indicarne chiaramente la scadenza. Ad esempio, un utente ha raccontato: “Cercavo un prodotto online e mi è comparsa la scritta Offerta a tempo. Sembrava urgente, ma nessuna indicazione sulla durata reale”.
- Confirmshaming: pulsanti che spingono al consenso con frasi manipolative. “No, grazie, preferisco non risparmiare” è un esempio tipico.
- Trappole per abbonamenti: come quelle denunciate da utenti Adobe, costretti a intraprendere procedure complesse per annullare il rinnovo, spesso “ricompensati” solo alla fine con un’offerta migliore.
- Accettazione forzata di termini: secondo una testimonianza, “Samsung mi ha inviato un modulo per accettare i nuovi termini. Era progettato per farti accettare anche quelli di marketing, senza chiarezza su come modificarli”.
Bias cognitivi: il motore nascosto dei dark pattern
Questi meccanismi fanno leva su automatismi mentali. In ambienti digitali densi di stimoli, il cervello tende a privilegiare decisioni rapide e intuitive. I bias cognitivi, come l’effetto scarsità, la loss aversion o il bandwagon effect, rendono gli utenti vulnerabili a scorciatoie mentali che i dark pattern sfruttano con precisione.
I numeri del fenomeno e le pratiche più diffuse
Un’indagine condotta dal Global Privacy Enforcement Network (GPEN) nel 2024 ha rivelato che il 97% dei siti e delle app analizzati contiene almeno un dark pattern.
Tra le pratiche più frequenti:
- Linguaggio complicato e opaco (89%)
- Percorsi nascosti o complicati per uscire da un servizio (39%)
- Pressioni ripetute per trattenere l’utente (35%)
Il Garante italiano della privacy, nello stesso anno, ha evidenziato criticità nei cookie banner: nel 60% dei casi le opzioni più rispettose della privacy erano meno evidenti o più difficili da raggiungere
Come contrastare i dark pattern: dalle norme alle buone pratiche
Contrastare i dark pattern è oggi una priorità tanto normativa quanto etica. Attualmente sono più di 35 le leggi che regolamentano i dark pattern a livello mondiale. Nonostante la crescente attenzione delle istituzioni, la regolamentazione contro i dark pattern risulta ancora frammentata e, in molti casi, poco incisiva. Sebbene il GDPR fornisca una base normativa solida in ambito europeo, manca una definizione esplicita ed univoca di queste pratiche, rendendo più complessa la loro identificazione e sanzione da parte delle autorità competenti.
I dark pattern sono figli di un’era digitale ancora troppo sbilanciata verso gli obiettivi aziendali a scapito dell’utente. Ma l’alternativa esiste: una progettazione centrata sulla persona, fondata su trasparenza, consapevolezza e libertà di scelta.
La responsabilità non ricade solo sulle aziende, ma anche sulle istituzioni e sugli stessi cittadini digitali. Solo attraverso educazione e cambiamento culturale possiamo costruire un ecosistema digitale sostenibile, dove la UX non sia un mezzo di manipolazione, ma uno strumento di fiducia.
Volendo sintetizzare, ci sono alcune priorità fondamentali su cui puntare
Progettazione etica e trasparente
Le aziende devono costruire interfacce che rispettino realmente la volontà dell’utente. Alcuni principi guida:
- Parità visiva tra le opzioni (accettare/rifiutare)
- Assenza di selezioni predefinite
- Chiarezza e semplicità linguistica
- Facilità di annullamento di un’azione
Formazione e cultura UX
Designers, sviluppatori e product manager devono essere formati al design etico. Serve una cultura della responsabilità progettuale, che metta al centro la libertà di scelta dell’utente.
Audit e controlli regolari
Le aziende possono (e devono) avvalersi di audit indipendenti per verificare che app e siti siano conformi alle normative e non impieghino tecniche ingannevoli.
Normative più incisive
- Il GDPR fornisce una base importante, ma non definisce esplicitamente i dark pattern.
- Le Linee Guida 3/2022 dell’EDPB indicano come riconoscerli e prevenirli nelle piattaforme social.
- Il Digital Services Act (DSA), entrato in vigore nell’ottobre 2024, vieta le interfacce manipolative e introduce obblighi di trasparenza per le piattaforme digitali di grandi dimensioni.
In sintesi, per evitare che le scelte degli utenti siano manipolate, è fondamentale adottare approcci che rispettino la trasparenza e la volontà dell’utente. Le strategie per contrastare i dark pattern includono offrire scelte chiare e consapevoli, fornire tempo adeguato alle decisioni, promuovere un design etico e implementare monitoraggio e audit per garantire la conformità alle normative. Si tratta, in poche parole, di preservare l’indispensabile rapporto di fiducia tra utente e fornitore. Perché, una volta che questo è perduto, non si recupera più.










