L’escalation della disinformazione – sempre esistita, ma ora “esplosa” grazie alla facilità di diffusione dei contenuti digitali – ci sta portando verso un nuovo concetto di realtà in cui non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che io creda sia vero.
Le piattaforme di informazione online, preoccupate per la loro credibilità e reputazione, tentano costantemente di combattere questo fenomeno. Eppure noi esseri umani sembriamo essere geneticamente programmati per cadere nella trappola delle fake news, perché questi prodotti si inseriscono e intercettano delle caratteristiche della nostra mente.
Ecco perché possiamo parlare di psicologia delle fake news.
Il concetto di euristiche
Per spiegare come mai nessuno può dirsi “immune” dal contagio delle fake news, partiamo dalle euristiche: le possiamo paragonare a delle scorciatoie che la nostra mente utilizza per risparmiare il più possibile le proprie energie. Sono processi di pensiero e sistemi di credenze che le persone sviluppano presto nella vita, spesso con lo scopo istintivo di proteggersi contro l’ansia e lo stress di un mondo incerto.
Tuttavia sono proprio queste euristiche che ci portano ai bias cognitivi, ossia processi che ci portano a vedere la realtà che ci circonda in modo parziale, oppure generalizzato o affrettato.
La nostra attitudine a credere alle fake news quindi nasce e cresce con noi.
Possiamo suddividere questi bias cognitivi in personali, ossia derivanti dall’architettura stessa della nostra mente, e sociali, ossia derivanti dall’influenza dell’ambiente sociale e dall’interazione con esso.
I bias cognitivi personali
- Framing effect: noi tendiamo a prendere decisioni basandoci su come le informazioni ci vengono presentate e discusse, anziché sull’effettivo contenuto di queste informazioni. Se noi preleviamo il contenuto e lo inseriamo all’interno di una nuova cornice di riferimento e di senso, allora si modifica la nostra percezione del contenuto stesso, e con essa il suo significato. Questa distorsione appare quando prendiamo informazioni e dati reali, ma poi li combiniamo e associamo per fornire al pubblico un quadro anche opposto a quello originario.
- Authority bias: la tendenza ad attribuire una maggiore accuratezza alle opinioni di una figura che noi percepiamo come autorevole, e di conseguenza ne veniamo maggiormente influenzati. Costruiamo dei personaggi ad hoc, anche inventati, oppure effettuiamo delle operazioni di immagine su altri, e poi lasciamo che siano loro a riportare la nostra fake news. Avete presente quei messaggi vocali in cui chi parla sostiene di essere un medico qualificato, un primario di un ospedale oppure un ricercatore scientifico?
- Implicit Bias: come esseri umani abbiamo la tendenza a raggruppare le persone in categorie. Inoltre abbiamo la tendenza a considerare più credibili e autorevoli le persone che sentiamo appartenere allo stesso gruppo. Questo spiega in parte quali meccanismi concorrono alla creazione della bolla sociale. Un creatore di fake news può sfruttare questo bias facendo comunicare la notizia da una persona particolarmente credibile per il gruppo di riferimento, anche se nella realtà quella persona non lo ha mai detto oppure la persona stessa non esiste. Questo porta anche al naive realism, ossia quando ci troviamo di fronte a qualcuno con un’idea differente dalla nostra, anziché limitarci a dissentire lo aggrediamo, anche solamente verbalmente.
- Continued influence effect : una volta che ci facciamo un’idea su di un argomento diventa molto difficile modificarla, anche qualora la prima informazione si dovesse rivelare errata. Nell’ultimo caso solitamente accade il processo opposto: operiamo una serie di operazioni logiche per “giustificare” quell’informazione che si era rivelata non corretta. Il risultato è ciò che viene definito “hostile media effect ”: finiamo per ritenere fortemente che la nostra posizione sia l’unica realmente corretta.
- Fluency heuristic: consideriamo un’informazione di maggiore valore rispetto alle altre perché più facilmente ricordabile ed elaborabile. Questo spiega perché le persone preferiscono informazioni che, nella forma, siano più vicine al loro modo di pensare, al loro livello culturale, sociale, ecc.
- Anchoring bias: tendiamo a ritenere il primo pezzo di informazione che incontriamo come il più probabile. Questo è un altro elemento che spiega l’importanza della vitalità di una fake news: deve essere la prima ad arrivare alle persone se vogliamo che la nostra campagna di notizie false abbia successo.
- Information overload: non è un bias di per sé, ma una condizione tipica della nostra Società che ci impedisce un corretto ragionamento basato sui dati, e che potenzia tutti i bias che abbiamo visto fino ad ora e che vedremo tra poco. Il bombardamento delle informazioni a cui siamo sottoposti tutti i giorni causa un sovraccarico cognitivo che porta la nostra mente a difendersi rifugiandosi in strategie di risparmio energetico estremo. Ad esempio leggiamo solamente i titoli senza approfondire, pensando di ricavare abbastanza informazioni già da quelli. Porta anche a prendere delle persone come riferimento, e a fidarsi di quanto riferito da loro senza verificare, spingendoci verso i bias appena descritti. Tutto questo fino a quando la persona, stanca e affaticata, non getta la spugna e ricondivide news dubbie e non verificate portando come argomentazione il “non ho avuto tempo di verificare ma non si sa mai, male che vada non avrò fatto torto a nessuno”.
Un processo questo che innesca una catena per cui ad ogni ricondivisione di fake news su un determinato argomento si abbassa il livello di guardia, portando la persona sempre più incline a ricondividere senza verificare.
Le ricerche ci dicono che questo avviene anche con la semplice esposizione alle fake news, anche quando noi sappiamo che si tratta di falsi.
Ecco perché la diffusione di fake news, anche da account creati ad hoc con il solo scopo di creare massa, nel tempo diventa deleteria anche per i più attenti.
I bias cognitivi sociali
Sono strettamente correlati ai bias cognitivi personali, ma riguardano l’influenza che l’ambiente sociale e l’interazione con esso esercitano su di noi.
- Bandwagon effect : più persone intorno a noi ritengono un’informazione corretta, e più anche noi saremo inclini a ritenerla tale, anche nel caso dovessimo avere dei dubbi. E’ un bias che si intreccia fortemente con la riprova sociale, per cui se un nutrito numero di persone ritiene l’informazione corretta allora lo sarà sicuramente.
- Availability cascade: una credenza collettiva guadagna sempre maggiore plausibilità attraverso la sua ripetizione in pubblico. Possiamo ritenere questo bias cognitivo la summa dei bias cognitivi sociali: tutto converge qui.
La guerra alle fake news è aperta
Le principali piattaforme di diffusione delle informazioni stanno combattendo le fake news da anni con successi e insuccessi vari.
Alcune si affidano alle segnalazioni degli utenti, altre filtrano queste segnalazioni attraverso un gruppo di esseri umani che le verifica.
Altre studiano e affinano costantemente algoritmi di machine learning nella speranza di individuare le informazioni scorrette nell’esatto momento dell’invio per la pubblicazione.
Altre ancora più semplicemente si affidano alla capacità degli esseri umani di distinguere il vero dal falso, lavandosene in questo modo le mani.
Tuttavia è una guerra che non avrà mai un vincitore e un vinto, ma che si configura piuttosto come giocare a guardie e ladri.
Eppure anche noi utenti possiamo fare la nostra parte: ad esempio alcune ricerche hanno dimostrato che la conoscenza di questi fenomeni e dei processi sottostanti aiutano le persone ad acquisire una maggiore consapevolezza e a tenere il livello di guardia costantemente alto.
Il risultato è una maggiore capacità di individuare e riconoscere in modo istintivo una fake news.
Come sempre, trattandosi di esseri umani, la vera soluzione è l’educazione.
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Looking inward in an era of ‘fake news’: Addressing cognitive bias
Looking inward in an era of ‘fake news’: Addressing cognitive bias
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