Con l’esame di tre provvedimenti chiave, e soprattutto con l’approvazione del Genius Act nel corso della cosiddetta Crypto Week, il Congresso degli Stati Uniti sta indubbiamente gettando le fondamenta per un nuovo quadro normativo degli asset digitali, un quadro che si preannuncia molto diverso rispetto a quello adottato nell’Unione Europea.
Sembra che il mercato non abbia tardato ad accorgersi che le implicazioni di questa svolta sono profonde: Bitcoin ha superato i 120.000 dollari, le stablecoin ottengono un riconoscimento normativo federale, e la Federal Reserve viene bloccata nel suo percorso verso una CBDC (valuta digitale di banca centrale) – punto, quest’ultimo, che differenzia profondamente l’approccio dell’amministrazione USA da quello del Vecchio continente, come si vedrà meglio in seguito.
Nel prosieguo si darà un primo quadro delle norme esaminate dal Congresso nella settimana conclusasi il 19 luglio scorso, che alcuni commentatori hanno definito come una “settimana storica per il mondo delle criptovalute”[1] e si effettueranno alcune considerazioni anche riguardo agli impatti a livello europeo.
Indice degli argomenti
Il Genius Act: la regolamentazione delle stablecoin e gli obiettivi della politica USA
Il GENIUS Act (Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins), provvedimento che è stato definitivamente approvato dal Congresso e firmato dal Presidente Trump, è particolarmente importante perché introduce una cornice federale (e statale) chiara per l’emissione e la gestione delle stablecoin.
In particolare, questo provvedimento dispone che le categorie di soggetti che potranno emettere legalmente stablecoin ancorate al dollaro sono tre:
- insured depository institutions, ovverosia intermediari bancari con tutela assicurativa sui depositi (tipicamente da parte della FDIC, Federal Deposit Insurance Corporation), o meglio “a subsidiary of an insured depository institution that has been approved to issue payment stablecoins under section 5”;
- enti non bancari autorizzati a livello federale,
- emittenti autorizzati da autorità statali.
I requisiti sono stringenti: le stablecoin dovranno essere coperte da riserve liquide (dollari, titoli del Tesoro a breve) “on an at least 1 to 1 basis”, pubblicare mensilmente la composizione delle riserve, e sottoporsi ad una puntuale vigilanza.
L’obiettivo dichiarato di questo set di norme è certamente quello di legittimare le stablecoin come strumenti affidabili, promuovendone l’adozione, ma soprattutto quello di rafforzare ulteriormente la posizione americana nell’industria finanziaria e il ruolo del dollaro nell’economia globale.
Il Clarity Act: la “sottile linea rossa” tra commodity e security trova regolamentazione
Il CLARITY Act (Digital Asset Market Clarity Act of 2025), approvato dalla Camera ma non ancora dal Senato, stabilisce un sistema articolato per distinguere tra token che sono strumenti finanziari, ovverosia security (soggetti alla vigilanza della SEC) e quelli che sono commodity (regolati dalla CFTC).
In particolare, la legge mira a risolvere per tutte il conflitto di competenze tra la Securities and Exchange Commission (SEC) e la Commodity Futures Trading Commission (CFTC), spostando parte della supervisione verso la CFTC (si prevede infatti che la CFTC avrà la giurisdizione esclusiva sui mercati spot delle commodity digitali come Bitcoin e simili, considerati “merci”) e promuovendo certezza normativa su una questione da sempre piuttosto controversa[2].
L’Anti-CBDC Surveillance State Act: no al “dollaro digitale”
Il provvedimento Anti-CBDC Surveillance State Act, anch’esso non ancora approvato dal Senato, promosso da un’ampia coalizione repubblicana, proibisce alla Federal Reserve di emettere una propria valuta digitale o testare forme digitali del dollaro che implichino il controllo diretto o indiretto dei cittadini.
Questo provvedimento preclude in particolare alla Fed:
- l’emissione diretta o indiretta di una CBDC;
- il mantenimento di un conto “digitale” per una persona fisica;
- l’uso di CBDC per finalità di politica monetaria.
In parallelo, il testo tutela “valute digitali private, permissionless e protette” che mantengano le caratteristiche di anonimato proprie del contante fisico (le norme sopra menzionate infatti “may not be construed to prohibit any dollar-denominated currency that is open, permissionless, and private, and fully preserves the privacy protections of United States coins and physical currency”).
Norme criptovalute Usa: una nuova era per l’industria crypto americana (e mondiale), e l’impatto sul Vecchio continente
Molto probabilmente la Crypto Week apre davvero una nuova era per il settore crypto americano, e di conseguenza mondiale. Non disponendo della sfera di cristallo, è ovviamente complicato valutare quali saranno nel concreto gli impatti in futuro, ma è indubbio che la svolta impressa in questi ultimi mesi dall’amministrazione Trump in ambito crypto e blockchain sia radicale, e miri soprattutto a rafforzare il ruolo degli Stati Uniti – e in particolare del dollaro – nell’economia mondiale.
Questi provvedimenti nascono infatti con un fine ben preciso, che potremmo sintetizzare come il “lato crypto” del Make America Great Again: rafforzare il ruolo del dollaro come riserva di valore a livello mondiale e fare degli USA la “capitale mondiale” delle criptovalute.
Tutto questo viene realizzato attraverso una regolamentazione anche piuttosto stringente, ed anzi stupisce che qualche commentatore italiano abbia scritto addirittura di “deregolamentazione aggressiva” quando sono ben tre i provvedimenti approvati o in corso di approvazione.
Certo, questa normativa non mira esclusivamente a proteggere i consumatori, ma anche a non ostacolare il settore crypto. E questo probabilmente riesce meglio al provvedimento USA che non all’omologo europeo, il Regolamento MiCA.
Infatti, dopo l’adozione del Genius Act non si sono fatte attendere le reazioni – se non positive, quantomeno proattive – dei principali istituti bancari statunitensi: da Jamie Dimon di JP Morgan (benché tendenzialmente scettico sulle cripto-attività) a Jane Fraser (ceo di Citigroup) a Bryan Moynihan (ceo di Bank of America), tutti hanno confermato che intenderanno avere un ruolo da protagonista anche nel settore delle stablecoin, e che hanno in corso o stanno per intraprendere progetti relativi a questi criptoasset[3].
Basterebbe questa circostanza per spiegare la diversità rispetto all’impatto del Regolamento MiCA, che ha causato e continua a causare non pochi mal di testa agli operatori del settore. Basti pensare infatti che Tether, il principale emittente di stablecoin, ha espressamente scelto di non adeguarsi alla normativa MiCA (e la stablecoin USDT è stata quindi delistata dagli exchange europei)[4], mentre il ceo di Tether, l’italiano Paolo Ardoino, ha annunciato recentemente che si conformerà alle norme contenute nel provvedimento statunitense[5].
Tuttavia, il provvedimento dove probabilmente si vede maggiormente la differenza tra gli USA e l’approccio adottato dall’Unione Europea è l’Anti-CBDC Surveillance State Act, provvedimento in cui è chiaro il “no” ad un “dollaro digitale” gestito dalla FED. Infatti, l’UE si colloca all’opposto di questo approccio, dato che ha puntato e sta puntando molto sulla creazione di un “euro digitale” da parte della Banca Centrale Europea, seppur con i soliti tempi “europei”.
Infatti, il Regolamento europeo potrebbe arrivare auspicabilmente a inizio 2026, e serviranno poi almeno altri due anni per la distribuzione effettiva dell’euro digitale in tutta Europa – sempre “se l’UE è veloce”[6]. Mentre nel 2028, probabilmente, le stablecoin ancorate al dollaro e conformi al Genius Act saranno, come direbbero oltreoceano, alive and kicking.
Insomma, le istituzioni europee sembrano ancora una volta non rendersi pienamente conto dei tempi con cui si muove l’industria crypto mondiale – e questo non può che indurre dei dubbi sulla capacità del Vecchio continente di rimanere realmente competitivo in questo settore, tant’è vero che nel dibattito pubblico è già comparsa qualche autorevole perplessità[7].
Resta quindi da vedere se l’Unione Europea riuscirà a modificare il suo approccio per adeguarsi ad un settore che, sia a livello americano, sia a livello mondiale, sta letteralmente “correndo” e ha dei tempi incompatibili con quelli a cui ci hanno purtroppo abituato le istituzioni e la burocrazia europee. Vaste programme, direbbe De Gaulle.
Normative stablecoin, impatto su debito americano: vantaggi ma anche rischi
Con il superamento della soglia dei mille miliardi di dollari in soli pagamenti per interessi netti previsto per il prossimo anno, la sostenibilità del debito pubblico americano è tornata al centro del dibattito politico e tecnico.
In questo quadro si inseriscono le norme Usa a favore delle criptovalute e in particolare degli stablecoin.
Così, un’idea che fino a poco tempo fa sembrava marginale ha guadagnato terreno: sfruttare la crescita delle stablecoin – criptovalute ancorate a asset sicuri come i titoli del Tesoro – per aumentare la domanda di debito pubblico americano e ridurne i rendimenti. Il meccanismo è semplice: più stablecoin in circolazione significano più riserve detenute in titoli del Tesoro a breve termine (soprattutto T-bills con scadenza inferiore ai 93 giorni), aumentando così la liquidità e la domanda per questi strumenti.
Il GENIUS Act, che sta rapidamente procedendo nel Congresso, punta proprio a fornire quella certezza regolamentare che molti analisti considerano fondamentale per un’adozione su larga scala delle stablecoin. Il provvedimento autorizza l’uso di Treasury a brevissimo termine come collaterale e stabilisce standard di trasparenza e solvibilità per gli emittenti.
Vantaggi
Le cifre in gioco non sono trascurabili. Tether, la più grande stablecoin per capitalizzazione, detiene oggi più Treasury degli investitori tedeschi. Secondo Citigroup, il valore complessivo delle stablecoin potrebbe passare dagli attuali 257 miliardi a 1.600 miliardi di dollari entro il 2030. Standard Chartered è ancora più ottimista e stima 2.000 miliardi già entro il 2027. Se queste previsioni si realizzassero, l’impatto sul mercato dei titoli pubblici USA sarebbe tangibile: studi della Federal Reserve suggeriscono che l’alta domanda estera per i Treasury già oggi abbassa il tasso d’interesse neutrale di circa 0,5 punti percentuali. L’effetto delle stablecoin potrebbe andare nella stessa direzione.
Anche le analisi più recenti indicano un’influenza già misurabile. Il ricercatore Sang Rae Kim ha osservato che un aumento improvviso dell’emissione di Tether corrisponde a un rialzo del prezzo dei Treasury (quindi a un calo dei rendimenti) nell’ora successiva. Altri studi stimano che un afflusso di 3,5 miliardi di dollari nelle stablecoin può abbassare di fino a 0,05 punti percentuali i rendimenti dei Treasury a tre mesi nel giro di 20 giorni.
Rischi
Tuttavia, se la prospettiva di un boom delle stablecoin è allettante per il Tesoro – perché promette di sostenere artificialmente la domanda per i titoli pubblici e quindi ridurre il servizio del debito – essa comporta anche rischi sistemici rilevanti. Il primo è di natura macrofinanziaria: un eccesso di emissione di debito a breve termine, oggi conveniente in vista di possibili tagli dei tassi da parte della Fed, potrebbe diventare insostenibile se i tassi dovessero risalire, con effetti immediati e pesanti sul costo del rifinanziamento. A ciò si aggiunge il rischio di corsa agli sportelli digitali: se la fiducia in una stablecoin venisse meno, l’emittente dovrebbe liquidare rapidamente enormi quantità di Treasury, provocando turbolenze sui mercati obbligazionari.
Il secondo rischio riguarda la disintermediazione bancaria. Se i fondi destinati alle stablecoin provengono da fondi monetari, l’effetto per il Tesoro è neutro: si tratta solo di un cambio di veicolo per lo stesso tipo di investimento. Ma se i capitali arrivano da depositi bancari, allora le banche potrebbero trovarsi a corto di liquidità, riducendo la loro capacità di concessione del credito e indebolendo l’economia reale. In tal senso, una crescita eccessiva delle stablecoin equivarrebbe a spostare risorse dal settore privato a quello pubblico, drenando capitale dalle imprese e dai consumatori per finanziare lo Stato.
Un’ulteriore complicazione riguarda la geopolitica valutaria. Una diffusione globale delle stablecoin denominate in dollari – specialmente nei Paesi emergenti con forti controlli sui capitali – rafforzerebbe ulteriormente il ruolo del dollaro come valuta di riserva, portando benefici agli Stati Uniti in termini di accesso al debito. Tuttavia, ciò potrebbe anche aumentare il valore del dollaro, rendendo le esportazioni americane meno competitive e ampliando il disavanzo commerciale, una conseguenza contraria agli obiettivi di un’amministrazione fortemente orientata al mercantilismo.
In definitiva, l’adozione regolamentata delle stablecoin potrebbe diventare una leva finanziaria potente per il Tesoro americano, contribuendo a ridurre i costi del servizio del debito in un momento storico di pressione fiscale crescente. Ma è una strategia che comporta rischi sistemici concreti, sia sul fronte finanziario sia su quello macroeconomico. Il successo del GENIUS Act, e l’equilibrio tra controllo pubblico e innovazione privata, sarà decisivo per trasformare questa scommessa in una vera risorsa di stabilità – e non in un fattore aggiuntivo di vulnerabilità per il sistema economico americano.
Redazione
Note
[1] V. Lops, Usa: varata la legge sulle stablecoin. Vittoria per le cripto, Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2025, 1.
[2] L. Prosperi, Il “CLARITY Act of 2025” metterà finalmente fine al caos normativo sulle crypto?, Cryptonews.it, 30 maggio 2025
[3] F. Goria, Bitcoin Street, La Stampa, 21 luglio 2025, 25.
[4] M. Bussi, Tether delistata dalle borse UE, Milano Finanza, 30 gennaio 2025
[5] J. Hamilton, Tether CEO Says He’ll Comply With GENIUS to Come to U.S., Circle Says It’s Set Now, CoinDesk, 19 luglio 2025
[6] Cipollone, se l’Ue è veloce, ipotesi euro digitale a metà 2028, Ansa.it, 20 maggio 2025
[7] I. Bufacchi, Callery: «L’euro digitale va fatto in fretta, troppo tardi il lancio nel 2028», Il Sole 24 Ore, 28 giugno 2025












