La notizia della “Speedfactory” del brand svizzero On ha fatto il giro del mondo, alimentando il dibattito sull’automazione. Ma dietro il titolo a effetto si nasconde una rivoluzione strategica che ridefinisce il futuro della manifattura, del lavoro e della sostenibilità in Europa.
Indice degli argomenti
Oltre la provocazione del titolo virale
“Un robot sostituisce 300 operai”. Il titolo, virale sui social e ripreso da numerose testate internazionali, è di quelli che colpiscono allo stomaco. Evoca scenari distopici, fabbriche deserte e la fine del lavoro come lo conosciamo. Il protagonista di questa narrazione è On Running, il brand svizzero di calzature in rapidissima ascesa, e la sua nuova “Speedfactory” europea, un impianto produttivo ad altissima automazione.
Ma come spesso accade, la realtà è molto più complessa e sfumata del titolo a effetto. Il caso On non è semplicemente una storia di sostituzione del lavoro umano con quello meccanico. È, piuttosto, un manifesto paradigmatico delle forze che stanno plasmando l’Industria automatizzata: la ricerca di resilienza nelle catene di approvvigionamento, la spinta verso la sostenibilità, la personalizzazione di massa e, inevitabilmente, la profonda trasformazione delle competenze richieste al capitale umano.
Analizzare a fondo questo caso significa guardare in faccia il futuro della competitività industriale europea e capire quali sfide e opportunità ci attendono.
Il contesto di on running e la scelta industriale
Fondata nel 2010 a Zurigo, On si è rapidamente affermata nel competitivo mercato delle calzature sportive grazie a un’innovazione distintiva: la tecnologia di ammortizzazione CloudTec™. Il suo successo non è solo tecnologico, ma anche di marketing e di posizionamento come brand premium, innovativo e attento al design.
Come la stragrande maggioranza dei suoi competitor, da Nike ad Adidas, la produzione di On è stata finora quasi interamente delocalizzata in Asia, principalmente in Vietnam e Indonesia, dove il costo della manodopera è basso e l’ecosistema produttivo per le calzature è consolidato. Assemblare una scarpa da corsa è un’operazione complessa, che richiede tradizionalmente decine di passaggi manuali, dal taglio dei materiali alla cucitura e all’incollaggio. Un processo che impiega, appunto, centinaia di operai per linea produttiva.
La decisione di aprire una “Speedfactory” in collaborazione con il partner tecnologico tedesco Oechsler non è quindi una scelta banale. Rappresenta un investimento colossale e una rottura strategica con il modello dominante. Le ragioni dietro questa mossa sono molteplici e interconnesse.
Industria 4.0 e sistemi produttivi integrati
Il primo equivoco da sfatare è l’immagine di un singolo robot umanoide che assembla scarpe. La Speedfactory di On è un sistema ciberfisico complesso. Il cuore del processo non è la cucitura, ma lo stampaggio a iniezione.
Il processo chiave, sviluppato con Oechsler, si basa sull’utilizzo di schiuma di particelle di poliammide (PEBAX®) ad alte prestazioni. Ecco come, in estrema sintesi, funziona:
- Intersuola (CloudTec™): le singole “nuvole” che compongono la suola vengono prodotte tramite stampaggio a iniezione e poi assemblate da bracci robotici con una precisione millimetrica, impossibile da replicare a mano.
- Tomaia: invece di tagliare e cucire più pezzi di tessuto, si utilizzano tecniche di ingegneria tessile avanzata (come il “knitting” 3D) per creare una tomaia quasi in un unico pezzo.
- Assemblaggio: l’unione tra tomaia e suola, tradizionalmente un processo manuale che richiede colle e solventi, viene automatizzata. Questo non solo accelera la produzione, ma riduce l’uso di composti chimici volatili.
Il famoso “1 robot per 300 operai” è quindi un calcolo comparativo: l’efficienza di questo sistema automatizzato viene messa a confronto con quella di una fabbrica tradizionale asiatica. Ma all’interno della Speedfactory lavorano comunque delle persone: ingegneri di processo, tecnici specializzati nella manutenzione dei robot, esperti di controllo qualità che supervisionano i sensori e analizzano i dati, e operatori che gestiscono la logistica interna. Il lavoro non scompare, si trasforma radicalmente.
Reshoring, sostenibilità e velocità nella manifattura 4.0
Se il “come” è tecnologico, il “perché” è puramente strategico.
- Resilienza della supply chain (reshoring/nearshoring): la pandemia di COVID-19 e le recenti tensioni geopolitiche hanno mostrato la fragilità delle catene di approvvigionamento globali. Avere un polo produttivo in Europa significa ridurre drasticamente la dipendenza dall’Asia, accorciare i tempi di consegna da mesi a settimane e azzerare i rischi legati a blocchi navali o dazi improvvisi.
- Velocità e personalizzazione (speed to market): una fabbrica locale e flessibile permette di rispondere in tempo reale alle richieste del mercato. Si può passare da un prototipo alla produzione di massa in tempi record. In futuro, questo modello apre le porte alla personalizzazione di massa: un cliente potrebbe ordinare online una scarpa con colori o caratteristiche specifiche, e vederla prodotta “on-demand”, riducendo a zero gli sprechi di invenduto.
- Sostenibilità: questo è un punto cruciale. Produrre in Europa significa:
- meno emissioni di trasporto: le scarpe non devono più viaggiare per migliaia di chilometri via mare.
- Meno sprechi di materiale: lo stampaggio a iniezione è un processo “additivo” che usa solo il materiale necessario, a differenza del taglio da grandi fogli di tessuto che genera scarti.
- Potenziale per l’economia circolare: il processo produttivo, basato su un singolo polimero (o pochi polimeri compatibili) e senza colle permanenti, rende la scarpa potenzialmente più facile da disassemblare e riciclare. On sta già sperimentando con il suo modello in abbonamento Cyclon, una scarpa completamente riciclabile. La Speedfactory è il tassello produttivo che può rendere questo modello scalabile.
La trasformazione del lavoro nell’era dell’automazione industriale
Arriviamo al nodo più sensibile: il lavoro. È innegabile che l’automazione di questo livello riduca la necessità di manodopera a bassa qualifica e ad alta intensità manuale. I 300 posti da “cucitore” o “assemblatore” del modello tradizionale vengono effettivamente resi obsoleti da questo sistema.
Tuttavia, se ne creano di nuovi, con profili radicalmente diversi. La fabbrica del futuro non ha bisogno di operai-massa, ma di:
- Tecnici di robotica e automazione: capaci di programmare, manutenere e ottimizzare i macchinari.
- Analisti di dati: in grado di interpretare i flussi di dati provenienti dai sensori sulla linea produttiva per fare manutenzione predittiva (predictivemaintenance) e migliorare la qualità (qualitycontrol).
- Ingegneri dei materiali: che sperimentano con nuovi polimeri e composti.
- Specialisti di filiera digitale: che integrano il sistema produttivo (MES) con i sistemi di gestione aziendale (ERP) e le piattaforme e-commerce.
La vera sfida sociale ed economica non è quindi fermare l’automazione, un’impresa tanto vana quanto controproducente per la competitività. La sfida è governare la transizione. Ciò richiede un investimento massiccio e coordinato da parte di governi, istituzioni formative e imprese stesse in programmi di reskilling (riqualificazione di lavoratori esistenti) e upskilling (sviluppo di competenze avanzate).
L‘automazione industriale come bivio strategico per l’Europa
Il caso della Speedfactory di On Running non è un aneddoto sull’efficienza di un robot. È un potente case study che ci pone di fronte a un bivio.
Da un lato, possiamo interpretarlo con paura, vedendo solo la minaccia della sostituzione e la fine di un modello di lavoro. Dall’altro, possiamo vederlo per quello che è: un’opportunità per l’Europa di reinventare la propria base manifatturiera. Un’occasione per competere non più sul basso costo del lavoro – una battaglia persa in partenza – ma sull’innovazione, la qualità, la sostenibilità e la reattività.
La fabbrica di On dimostra che è possibile produrre beni complessi in modo competitivo nel cuore dell’Europa, creando valore aggiunto e nuovi posti di lavoro qualificati. Ma questo richiede una visione sistemica: infrastrutture digitali, ecosistemi di innovazione (come la collaborazione tra On e Oechsler), e soprattutto, un impegno solenne per adeguare le competenze della forza lavoro alla nuova realtà delle macchine intelligenti.
La vera domanda, quindi, non è “se” questa trasformazione avverrà, ma “come” ci prepareremo ad essa. La storia di On non è la fine del lavoro, ma l’inizio di un modo profondamente diverso di concepire la fabbrica, il prodotto e il lavoratore stesso. Una sfida che l’Italia e l’Europa non possono permettersi di ignorare.










