mondo del lavoro

Reskilling, che cos’è e come potenzia le PMI



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Il reskilling è un’opportunità concreta per le PMI e le altre aziende: consente di formare il personale su nuove competenze utili a coprire ruoli emergenti, senza ricorrere a nuove assunzioni. Un modo efficace per adattarsi ai cambiamenti e valorizzare le risorse interne

Pubblicato il 12 mag 2025

Davide Conforti

Managing director Edflex Italia



manipolazione dell'intelligenza artificiale; reskilling; sistemi di monitoraggio energetico

Il reskilling è un imperativo nella costruzione di una strategia di formazione 5.0. Non si tratta di una semplice moda linguistica da convegni internazionali, ma di una leva concreta per il rilancio della produttività, dell’innovazione e della competitività delle PMI (e non solo). In un’economia sempre più basata su tecnologie digitali, automazione e sostenibilità, le imprese che non investono nella riqualificazione delle competenze rischiano non solo di restare indietro, ma di uscire definitivamente dai giochi.

Perché il reskilling è vantaggioso per le PMI

Chi immagina importanti attività formative come upskilling e reskilling come un’esclusiva delle grandi corporation, farebbe bene a rivedere la geografia dell’innovazione in Europa. Le Pmi rappresentano lo zoccolo duro delle imprese europee e impiegano due terzi della forza lavoro. Sono loro la spina dorsale dell’economia reale, e proprio per questo devono diventare protagoniste nella rivoluzione delle competenze. Il cambiamento è già in atto, ma in modo disomogeneo. Alcuni distretti manifatturieri hanno colto l’urgenza, altri restano inerti. E l’inerzia, in un contesto dominato dalla rapidità dei cambiamenti tecnologici, ha un prezzo altissimo.

Reskilling in Europa, cosa dicono i dati

Ancora nel 2020, in piena pandemia, McKinsey nel suo report “The future of work in Europe” scriveva che il 44% delle attività lavorative in Europa avrebbe potuto essere automatizzato entro il 2030. Eppure, solo una Pmi su cinque ha attivato percorsi strutturati di reskilling. Nel suo dramma, il lockdown ha fatto da booster solo temporaneo ai processi di adattamento professionale. Il ritardo non è stato solo culturale, ma anche legato a una frammentazione degli strumenti pubblici e a una sottovalutazione del capitale umano come asset strategico. Non si tratta solo di formare, ma di riorganizzare i processi, ridefinire ruoli, ripensare il concetto stesso di professionalità in fabbrica e in ufficio.

Che cos’è il reskilling

Il reskilling – inteso come aggiornamento radicale delle competenze dei lavoratori in funzione dei nuovi modelli di business – va distinto dall’upskilling, che mira invece a potenziare competenze già esistenti. È una differenza non solo semantica, ma soprattutto operativa. Per un’impresa manifatturiera che introduce processi di produzione basati su intelligenza artificiale o su logiche di Internet of Things, non basta migliorare le competenze pregresse. Serve una vera riconversione delle skill, spesso anche attraverso percorsi interfunzionali che abbattono la rigidità dei ruoli tradizionali.

Casi studio di reskilling

Un caso emblematico è quello di Voestalpine Böhler, azienda austriaca della metallurgia avanzata, che ha introdotto un programma di reskilling per 1.200 dipendenti nel biennio 2021-2023. Il progetto, finanziato congiuntamente da fondi aziendali e dal programma europeo NextGenerationEU, ha permesso di trasformare tecnici operativi in data analyst di linea e specialisti in manutenzione predittiva. Risultato: +18% di produttività media e -22% di costi di fermo macchina. Ma il vero successo è stato culturale: la creazione di una nuova identità professionale per figure una volta considerate “di linea” e oggi protagoniste dell’innovazione.

Anche in Italia non mancano le eccellenze. La veneta Breton S.p.A., attiva nella meccanica di precisione, ha avviato nel 2022 un percorso di reskilling in collaborazione con il Competence Center Smact e con il sostegno di fondi interprofessionali. Gli operai specializzati sono formati su software Cad/Cam, oltre che sulla tecnologia innovativa della stampa 3D industriale ma anche per esempio protocolli di manutenzione predittiva. In poco più di un anno, l’azienda ha ridotto i tempi di progettazione del 30% e aumentato l’indice Oee (Overall Equipment Effectiveness) del 15%. Si tratta di indicatori concreti, che dimostrano come il reskilling generi ritorni tangibili anche nel breve periodo.

Reskilling al centro di un cambiamento culturale

Ma il reskilling non è solo una questione di numeri: è una trasformazione culturale. Implica ripensare la leadership, adottare modelli di formazione continua e costruire alleanze tra imprese, università e centri di ricerca. Come segnala il rapporto 2024 dell’European Training Foundation, le Pmi europee che adottano strategie di “learning organization” mostrano una resilienza alle crisi 2,7 volte superiore rispetto alla media. In contesti ad alta volatilità, la capacità di apprendere rapidamente vale quanto – se non più – della capacità di produrre.

Tuttavia, i principali ostacoli restano: carenza di visione strategica, scarsa interoperabilità tra sistemi formativi e produttivi, e una normativa del lavoro spesso inadatta a reggere l’urto delle nuove forme di impiego. Le policy europee vanno nella direzione giusta per esempio con il Patto per le Competenze promosso dalla Commissione o il quadro Eqf per il riconoscimento delle qualifiche – ma occorre accelerare. Il rischio è che le Pmi restino vittime di una “skills divide” interna all’Unione, in cui le economie più forti attraggono talenti e le altre subiscono un drenaggio di competenze.

Accesso ai fondi per reskilling

L’accesso ai fondi rappresenta un altro nodo cruciale. La Banca Europea per gli Investimenti ha stimato in oltre 80 miliardi di euro il fabbisogno cumulato di investimenti in reskilling da parte delle Pmi dell’Ue da qui al 2030. Di questi, meno del 20% è oggi effettivamente coperto da strumenti esistenti. Servono veicoli finanziari più snelli, incentivi fiscali automatici e soprattutto un cambio di mentalità: non si tratta di costi, ma di investimenti in capitale umano, cioè nel cuore stesso della produttività futura. Anche i fondi Pnrr, se utilizzati con lungimiranza, possono fare la differenza, ma solo se inseriti in una strategia sistemica che metta al centro le competenze e non solo le infrastrutture.

Un dato è certo: in un mercato sempre più skill-based, dove le competenze diventano la nuova moneta del valore economico, il reskilling è l’unica vera polizza assicurativa per la sopravvivenza e il successo delle Pmi. E come tutte le assicurazioni, funziona solo se la si sottoscrive prima del disastro.

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