Ibiomarcatori diagnostici sono indicatori misurabili come proteine, geni o immagini, che segnalano, oggettivamente, la presenza, l’assenza o la gravità di una malattia.
Esempi comprendono i livelli di glucosio per il diabete, il Psa per il cancro alla prostata e le scansioni cerebrali per la sclerosi multipla, le forme fosforilate della proteina tau (p-tau) e la beta-amiloide (Aβ) per l’Alzheimer.
Sono cruciali per personalizzare i trattamenti e guidare la ricerca medica, permettendo diagnosi più precise e precoci rispetto ai sintomi clinici.
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Cosa sono i biomarcatori diagnostici
La guida dell’Fda (Food and drug administrazion), l’Aifa americano, sui biomarcatori e sul loro impiego nei programmi di sviluppo dei farmaci, intitolato “Qualification Process for Drug Development Tools”, definisce biomarcatore diagnostico come “una caratteristica che distingue un individuo in base alla presenza o all’assenza di uno specifico stato fisiologico, fisiopatologico o di una malattia”.
I biomarcatori diagnostici rappresentano indicatori biologici misurabili (molecole, cellule, caratteristiche biochimiche o processi fisiologici) che consentono di rilevare la presenza o meno di una malattia o capirne la gravità, distinguendola da altre condizioni.
Sono segnali, che, essenfo oggettivi e quantificabili, aiutano i medici a capire se un paziente è affetto da una patologia.
Vantano tre caratteristiche:
- specificità: devono fare distinzione fra una malattia da altre affini;
- sensibilità: richiedono di essere rilevabili anche nelle fasi iniziali della malattia;
- riproducibilità: i risultati devono risultare costanti in molteplici pazienti e in vari laboratori.
Un biomarcatore prognostico è invece una caratteristica biologica misurabile (come una proteina, un gene o un’immagine) che segna l’evoluzione probabile di una malattia nel tempo, indicando la velocità di progressione o l’esito complessivo del paziente, anche senza trattamento specifico. Tali marcatori aiutano i medici a delineare il decorso di una malattia, stratificando i pazienti in base al rischio, consentendo interventi mirati e ottimizzando la gestione della condizione.
Rappresentano strumenti per valutare la prognosi di una malattia, soprattutto per rlevare una buona riuscita di una terapia in maniera oggettiva.
Tipologie di biomarcatori diagnostici
I biomarcatori diagnostici rientrano in tre tipologie:
- molecolari: proteine, Dna, RNA, metaboliti (per esempio, mutazioni genetiche specifiche, proteine plasmatiche);
- cellulari: tipi particolari di cellule o alterazioni morfologiche;
- imaging: caratteristiche che si possono verificare mediante Tac, risonanza magnetica o PET.
Le tipologie di biomarcatori diagnostici comprendono i biomarcatori biochimici/molecolari (come acidi nucleici, proteine, enzimi, ormoni), quelli d’immagine (come le scansioni mediche) e i biomarcatori cellulari o genetici.
Misurati in campioni biologici come sangue, urine o tessuti, sono in grado di indicare la presenza di una malattia, la sua progressione o la risposta a una terapia, come nel caso del PSA per il tumore alla prostata o dell’AFP per i tumori al fegato.
Cambiamenti genetici o alterazioni del Dna possono segnalare un incremento del rischio di sviluppare alcune malattie, come il cancro o l’Alzheimer.
Il ruolo dei biomarcatori diagnostici nelle diagnosi e terapie
I biomarcatori svolgono un ruolo essenziale nella ricerca medica, nella diagnosi delle malattie e nel monitoraggio del loro decorso, una volta misurati con rigore e meticolosità in varie tipologie di campioni, per esempio campioni di sangue, di liquido cefalorachidiano eccetera
Nella diagnosi dell’Alzheimer
Le placche e gli ammassi, il cui sviluppo avviene nel cervello e che sono provocati dall’accumulo di determinate proteine, sono due delle peculiarità e dei primi segni dell’Alzheimer. Le placche intorno alle cellule cerebrali ne ostacolano il funzionamento, causandone la morte.
Per identificare precocemente la malattia e offrire un aiuto nella diagnosi, i biomarcatori più studiati misurano le seguenti proteine:
- la proteina beta amiloide, la principale componente delle placche cerebrali diffuse nelle persone affette dall’Alzheimer: una riduzione nella concentrazione delle proteine beta amiloidi nel liquor cerebrospinale si collega al processo che porta alla deposizione nelle placche cerebrali;
- proteina Tau e gli ammassi neurofibrillari: nelle persone affette dalla malattia, le proteine tau tendono a ripiegarsi male, fino a formare degli “ammassi” nelle cellule neuronali (ammassi neurofibrillari), alterandoli e provocandone una lenta degenerazione: nel liquor cerebrospinale dei soggetti affetti dalla patologia, aumentano i livelli della proteina tau.
I cambiamenti nei biomarcatori sono osservabili decenni prima rispetto al manifestarsi dei sintomi.
Biomarcatori diagnostici nel tumore della prostata
Il Psa (antigene prostatico specifico), una proteina prodotta dalle cellule della prostata, è un biomarcatore sierico che, nonostante non sia specifico, serve a monitorare la salute della prostata e a diagnosticare il tumore prostatico.
Non è un biomarcatore esclusivo del tumore. Infatti i suoi livelli possono registrare un incremento, anche in caso di condizioni benigne o infiammatorie della prostata, come l’iperplasia prostatica benigna.
Poiché un valore elevato può procurare un falso positivo e un Psa normale non esclude completamente la presenza di un tumore (falso negativo), il risultato deve essere interpretato da un urologo, che prende in esame anche l’età del paziente, i fattori di rischio ed altri parametri.
Per ottimizzare la valutazione, il medico specialista si affida al test del Psa libero, dell’indice del Prostate health index (Phi) e della cinetica del biomarcatore, l’andamento del valore nel tempo.
Il test dell’antigene prostatico specifico è uno dei principali biomarcatori per questo tumore, ma spesso ad esso si affianca l’esame PCA3 (prostate cancer gene 3), rilevabile con un esame delle urine (le cellule tumorali della prostata generano questa proteina in quantità superiore rispetto alle cellule normali).
Biomarcatore Afp per la diagnosi dei tumori al fegato
L’alfa-fetoproteina (Afp), biomarcatore per la diagnosi e il monitoraggio del carcinoma epatocellulare (HCC), la tipologia più diffusa di tumore al fegato, può indicare la presenza di un tumore epatico, se in concentrazione alta.
Tuttavia non è un biomarcatore sufficiente per una diagnosi precoce, infatti può essere elevato anche nella cirrosi ed epatite cronica.
Il dosaggio dell’AFP viene usato soprattutto per effettuare il monitoraggio dell’efficacia del trattamento.
Glucosio e colesterolo (per il diabete e il rischio cardiovascolare)
L’emoglobina glicata (HbA1c) è l’indicatore del controllo a lungo termine del glucosio nel sangue, usato per diagnosticare il diabete.
Valori alti del colesterolo suggeriscono invece un rischio cardiovascolare.
CA125, enzimi e metaboliti
CA125 è un marcatore tumorale correlato soprattutto al cancro dell’ovaio, ma anche usato per il cancro alla prostata.
Gli enzimi sono invece sostanze biologiche presenti nel sangue, usate per esempio in oncologia.
Infine i metaboliti sono sostanze derivanti dal metabolismo dell’alcol, come l’etil glucuronide (EtG).
Prospettive future
I biomarcatori diagnostici puntano verso una maggiore accuratezza, diagnosi precoce e verso una prospettiva di terapie personalizzazione, integrando dati molecolari e digitali, intelligenza artificiale, e di sviluppo di biomarcatori non invasivi in campioni come saliva e urina.
L’utilizzo di biomarcatori predittivi permetterà di prevedere, identificandoli, i soggetti a rischio, ottimizzando così gli interventi preventivi. L’obiettivo è quello di migliorare la qualità della vita dei pazienti, rendendo le tecnologie diagnostiche più accessibili e affidabili.
Inoltre la medicina predittiva è in grado di tagliare i costi in sanità. Grazie al loro approccio integrato clinico-biologico, migliorano la procedura, completandola ai fini della diagnosi e personalizzando la gestione della patologia, offrendo l’opportunità di percorsi specifici per ciascuna fase della malattia.












