Il Premio Nobel per l’Economia 2025 quest’anno può essere preso con il valore di un antidoto. Può servirci da monito che curi un veleno strisciante: la piega che l’economia – e soprattutto l’economia digitale – sta prendendo.
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Premio Nobel Economia 2025: le teorie
Il premio, assegnato nei giorni scorsi a Philippe Aghion, Peter Howitt e Joel Mokyr, dà una chiave di lettura preziosa per comprendere i rischi che stiamo correndo ora, in una fase in cui l’innovazione è guidata da poche big tech, sotto il rassicurante cappello protettivo di Donald Trump alla Casa Bianca.
Pericoli acuiti dallo sviluppo sfrenato che riguarda l’intelligenza artificiale negli ultimi tre anni (e soprattutto nel 2025).
Sono considerazioni che emergono dalle ricerche per i quali i tre hanno ottenuto il premio; ma anche dai discorsi e dalle interviste rilasciate successivamente, soprattutto da parte di Anghion.
La crescita schumpeteriana
In breve, questi tre economisti sono pionieri della cosiddetta “crescita schumpeteriana”. Spiegano perché l’innovazione non nasce dal monopolio ma dal conflitto vitale tra nuovi entranti e vecchi dominatori: la “distruzione creatrice”. Concetto coniato da Joseph Alois Schumpeter, economista del secolo scorso, che i tre hanno però contribuito a modellizzare, rendendolo quindi scientifico e “falsificabile”, come dice Anghion.
“Senza un modello non si può dire nulla; non si può dimostrare ad esempio che la competizione è buona”, ha detto in un’intervista all’Economist nei giorni scorsi.
“Con Peter Howitt, nel 1987, abbiamo costruito un nuovo paradigma: un modello schumpeteriano che potesse essere verificato con i dati, e che oggi è diventato la teoria di riferimento per l’economia della crescita”, ha detto al Collège de France.
L’innovazione vive di concorrenza
Nel suo intervento al Collège de France, Aghion – visibilmente emozionato dopo la notizia del Nobel – ha riassunto così la sua visione: “ogni innovatore costruisce sulle scoperte di chi lo ha preceduto: siamo sempre sulle spalle dei giganti. Ma le nuove innovazioni sostituiscono le vecchie. Ecco la distruzione creatrice”.
È proprio in questo equilibrio, spiega Aghion, che si gioca la partita dello sviluppo: “per stimolare l’innovazione bisogna offrire profitti, ma anche impedire che gli innovatori di ieri blocchino quelli di domani. Regolare l’economia di mercato significa gestire questa contraddizione”.
Un principio che appare oggi più fragile che mai, di fronte alla concentrazione di potere delle Big Tech e ai nuovi monopoli dell’intelligenza artificiale.
Gli ingredienti dell’innovazione
Cerchiamo di capire perché.
Anghion nota che l’innovazione ha bisogno di alcuni ingredienti per svilupparsi. La libera circolazione di idee, anche dirompenti; la libera concorrenza, con la possibilità anche di nuovi entranti di affermarsi alle spese degli incumbent (grazie a regole antitrust e una generale apertura dell’economia in un Paese e tra Paesi); una tutela per chi innova, ad esempio grazie a norme sul copyright.
In Europa tutto questo c’è stato nel 1700-1800, come nota anche Mokyr, e ha portato alla rivoluzione industriale. Il primo esempio di innovazione che ha cambiato l’economia migliorando di colpo le condizioni di vita di tutti e il prodotto interno lordo, a differenza di tutte le innovazioni avvenute nei millenni precedenti (che Mokyr definisce di stagnazione economica).
Ma anche a differenza della Cina di quegli anni lì e dei secoli precedenti, dove grandi innovazioni – come l’uso della polvere da sparo – erano pure arrivate in anticipo, ma erano state poi ingabbiate in un sistema politico-economico chiuso e conservatore.
Questa teoria insomma consente di spiegare molte cose:
- perché alcuni paesi crescono più rapidamente di altri,
- perché l’Europa si è industrializzata nel XIX secolo mentre la Cina no,
- e perché alcuni paesi si fermano a metà del percorso, cadendo nella cosiddetta middle income trap.
Il Giappone, ad esempio, ha conosciuto una crescita straordinaria dal dopoguerra fino agli anni ’90, poi si è bloccato – dice Anghion. L’Europa ha seguito un percorso simile: ha raggiunto gli Stati Uniti fino agli anni ’80, ma da allora il PIL pro capite europeo ha ricominciato a divergere.
In pratica, avevamo istituzioni perfette per il “recupero tecnologico”, ma non abbastanza per sostenere l’innovazione di frontiera, quella che rompe gli schemi.
Il ciclo dell’innovazione digitale e il rischio stagnazione
Lo stesso vale per la stagnazione secolare: negli anni ’90, con la rivoluzione informatica, la crescita americana è esplosa.
Poi, dopo il 2005, è rallentata.
Perché? Come dice Anghion al Collège de France: le imprese “superstar” — Google, Microsoft, Amazon — hanno finito per soffocare la concorrenza. All’inizio trainavano la crescita; poi, diventando troppo grandi e acquisendo i concorrenti, hanno cominciato a frenarla.
Questo è, ancora una volta, il cuore del paradosso schumpeteriano: le stesse forze che generano crescita possono, se non regolate, trasformarsi in ostacolo alla crescita.
E adesso potrebbe andare peggio. In modo ancora più paradossale a fronte delle innovazioni portate dall’AI, che però rischiano di non riuscire a sbloccare davvero l’economia a vantaggio di tutti – come avvenuto con le precedenti rivoluzioni industriali.
L’AI sotto Trump e la crisi del modello competitivo
Aghion ha fatto esplicito riferimento alla politica tecnologica americana e ai rischi di chiusura imposti dall’amministrazione Trump, con protezionismo, dazi – che sono anti competizione – e anche una ostilità nei confronti della libera ricerca scientifica.
“Le restrizioni che Trump ha imposto alle collaborazioni scientifiche tra la Cina e gli Stati Uniti hanno avuto un impatto negativo sulla ricerca fondamentale. La libertà è indispensabile per l’innovazione di frontiera”.
L’AI da un lato, promette di moltiplicare la produttività e le opportunità; dall’altro, rischia di concentrare il potere nelle mani di pochi attori che controllano dati, infrastrutture e algoritmi.
Come ha ricordato Aghion: “il pericolo è che una politica della concorrenza inadeguata finisca per inibire il potenziale di crescita dell’IA, proprio come è accaduto con le tecnologie dell’informazione”.
La sfida, quindi, non è solo tecnologica ma istituzionale: preservare la libertà di innovare, impedendo che l’innovazione diventi monopolio.
L’Europa e la lezione mancata
Per l’Europa, il messaggio che arriva dopo questo Nobel all’economia è altrettanto chiaro.
Aghion denuncia il ritardo strutturale del Vecchio Continente nel sostenere l’innovazione di rottura: “in Europa non abbiamo un vero mercato unico, mancano capitali di rischio e investitori istituzionali, e non esiste l’equivalente della DARPA. Dobbiamo riconciliare politica industriale e politica della concorrenza.”
L’appello al “risveglio europeo” coincide con le analisi di Mario Draghi e con le preoccupazioni di Bruxelles per la competizione tecnologica globale. Per Aghion, l’Unione deve abbandonare la rigidità normativa che ne ha frenato la crescita e riscoprire una dottrina economica che premi il rischio, non la burocrazia.
Che fare? La lezione dopo il premio Nobel 2025 per l’Economia
La teoria della crescita schumpeteriana, sviluppata da Aghion e Howitt a fine anni ’80 e arricchita dalle intuizioni storiche di Joel Mokyr, si dimostra oggi più attuale che mai:
- l’innovazione nasce dal conflitto tra vecchio e nuovo;
- la concorrenza non è un ostacolo, ma il motore della crescita;
- i monopoli, se non regolati, soffocano il dinamismo;
- la libertà scientifica e il pluralismo istituzionale sono condizioni indispensabili per la creatività economica.
L’Europa non può incidere sulle politiche statunitensi ma può sfruttarne le chiusure per favorire l’ingresso di talenti scientifici.
E deve avere la forza di andare avanti con le riforme proposte da Draghi.
Ma deve anche anche quella di regolare le big tech, sfidando le ire di Trump, in modo da favorire la nascita di campioni innovativi europei.
L’alternativa è un destino di stagnazione, dove poche società controlleranno il mondo. Non proprio un bel prospetto, in genere; ma fa ancora più male alla luce delle promesse di rivoluzione creatrice che arrivano dall’innovazione AI.













