La recente decisione dell’Agcom di equiparare le Content Delivery Network (CDN) agli operatori di rete elettronica, con il conseguente obbligo di registrazione e contribuzione al Fondo per il servizio universale, ha sollevato un ampio dibattito in Italia e in Europa.
Una lettera congiunta firmata da Altroconsumo, insieme al network Euroconsumers di cui fa parte e ad altre organizzazioni di tutela dei consumatori ha espresso forti preoccupazioni per un approccio che rischia di avere ricadute concrete sui cittadini e sullo sviluppo digitale del Paese.
Dietro un provvedimento apparentemente tecnico si cela infatti una questione di principio: chi pagherà davvero il prezzo di questa scelta?
Indice degli argomenti
Il problema di equiparare le Cdn alle telco
Equiparare le CDN alle telco significa, di fatto, aprire la strada a nuovi oneri economici che le piattaforme e i fornitori di contenuti digitali potrebbero riversare sugli utenti finali.
In altre parole, abbonamenti più cari, servizi online meno accessibili, e un aumento dei costi indiretti per gli utenti.
L’accesso a internet è oggi un diritto di cittadinanza digitale, non un servizio premium da tassare. Ogni misura che introduca barriere economiche, anche indirette, finisce per ampliare il divario digitale, colpendo in modo particolare le fasce più vulnerabili e i giovani.
Altroconsumo, insieme al network Euroconsumers, ritiene che la sostenibilità economica della rete non possa essere perseguita scaricando i costi sui consumatori.
Oltre all’impatto economico, la delibera rischia di avere effetti distorsivi sull’innovazione e sulla competitività, rappresentandone potenzialmente un freno.
Le CDN sono una componente fondamentale dell’ecosistema digitale: ottimizzano la distribuzione dei contenuti, riducono la latenza e migliorano le prestazioni dei servizi online, dall’e-commerce alla sanità digitale.
Assimilarle agli operatori di rete tradizionali significa imporre loro oneri regolatori e amministrativi sproporzionati, con conseguenze negative soprattutto per startup, PMI tecnologiche e operatori pubblici che utilizzano tali servizi per garantire efficienza e accessibilità.
Nel medio periodo, questo potrebbe ridurre la concorrenza e concentrare ancora di più il mercato nelle mani dei grandi player, gli unici in grado di sostenere costi e complessità burocratiche aggiuntive.
Una prospettiva che va contro l’obiettivo, condiviso a livello europeo, di promuovere un ecosistema digitale dinamico, aperto e pluralista.
Si affaccia in più un rischio di frammentazione del mercato unico digitale. Il tema delle CDN non riguarda solo l’Italia. La decisione dell’Agcom, se confermata, rischia di creare un precedente pericoloso e di generare una frammentazione normativa all’interno dell’Unione Europea.
Un problema anche per l’economia della rete
L’Europa ha finora mantenuto una posizione chiara: evitare nuovi “costi di rete” che comprometterebbero la neutralità del traffico e la coerenza del Digital Single Market.
Introdurre regole nazionali divergenti significa minare uno dei pilastri del mercato unico digitale, quello della parità di trattamento tra operatori e della libera circolazione dei servizi online.
Una regolamentazione disallineata comporta incertezza per le imprese, frena gli investimenti e allontana l’Italia dal percorso di innovazione e integrazione digitale europea.
La neutralità della rete è più di un principio tecnico: è la garanzia che ogni cittadino, ogni impresa e ogni idea abbiano pari opportunità di accesso e visibilità online.
Alterarne l’equilibrio introducendo obblighi o costi selettivi significa intaccare la natura aperta e democratica di internet.
L’errore della delibera Agcom su Cdn
Le CDN, per loro funzione, non discriminano i contenuti: ne migliorano la distribuzione, aumentandone l’efficienza per tutti.
Trattarle come infrastrutture di rete elettronica, soggette a regolazioni pensate per tutt’altro contesto, non risponde a una logica di tutela pubblica, ma a una visione arretrata del digitale.
Come parte del network Euroconsumers, Altroconsumo ritiene che le politiche di regolazione del digitale debbano bilanciare correttamente innovazione, concorrenza e diritti dei consumatori.
Non si tratta di difendere interessi industriali contrapposti, ma di preservare un ecosistema aperto, competitivo e orientato al cittadino.
La delibera Agcom, così come formulata, non risponde a questa esigenza: crea incertezza, rischia di aumentare i costi per gli utenti finali e indebolisce la competitività del sistema digitale italiano.
I principi da tutelare, internet aperta, neutrale: l’appello al Governo
Per questo chiediamo al Governo italiano di sospendere l’iniziativa e di avviare un confronto con tutte le parti interessate – consumatori, imprese, associazioni e istituzioni europee – per definire un quadro regolatorio coerente con gli obiettivi dell’UE e con la tutela dei cittadini digitali.
L’Italia ha l’occasione di rafforzare la propria posizione nel panorama europeo, ma questo può avvenire solo puntando su regole chiare, proporzionate e orientate all’innovazione.
Internet è un’infrastruttura essenziale per la vita quotidiana, il lavoro, la formazione e la partecipazione democratica.
Ogni passo che ne comprometta l’apertura o ne aumenti i costi d’accesso rappresenta un arretramento culturale ed economico.
Altroconsumo continuerà, in Italia e in Europa, a promuovere un modello di connettività trasparente, inclusivo e a misura di persona, opponendosi a qualsiasi misura che si traduca in più costi per i cittadini e meno innovazione per il Paese.
La neutralità della rete è la condizione per garantire che la trasformazione digitale resti uno strumento di libertà, crescita e partecipazione, equo e accessibile, per tutti.










