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Bodyshaming, perché il corpo online è preda del bullismo: la ricerca



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Una ricerca che ha coinvolto oltre cinquemila studenti in Italia e in Romania permette di far luce sulle dinamiche del bodyshaming, per capire il fenomeno e trovare una via per contrastarlo

Pubblicato il 10 nov 2025

Paola Borgna, Norberto Albano, Angelica Arace, Sandro Brignone, Renato Grimaldi, Tania Parisi, Roberto Scalon

Laboratorio di simulazione del comportamento e robotica educativa “Luciano Gallino”, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione – Università di Torino



corpo digitale (1); biotecnologie; bodyshaming

“Una persona sovrappeso dovrebbe evitare di postare le sue foto sui social in costume da bagno”, “se qualcuno riceve un meme su un suo difetto fisico, non se la deve prendere, è soltanto un meme” e ancora “offendere un compagno/a via Internet per come si veste è sicuramente meno grave che farlo di persona”. Si tratta di alcune delle affermazioni utilizzate in un’indagine empirica condotta su un esteso campione di adolescenti in Italia e in Romania per rilevare la loro propensione al body shaming online.

I principali risultati sono presenti nel volume “Nella rete del body shaming. Riflessioni teoriche e una ricerca internazionale” a cura di Paola Borgna, Maria Adelaide Gallina, Renato Grimaldi, Cristina Ispas e Tania Paris.

Bodyshaming, su cosa si basa la ricerca

La ricerca e il volume propongono un’analisi dei comportamenti di prevaricazione messi in atto – nel mondo fisico e nel mondo virtuale – attraverso insulti, prese in giro o umiliazioni che costituiscono una forma di controllo sociale del corpo e dell’identità delle persone. A tal fine si è predisposto un questionario che è stato somministrato a studenti e studentesse del biennio di alcuni istituti della secondaria italiani – in particolare piemontesi – e della Romania.

Il testo si articola in tre parti. La prima sezione, “Tra teoria e ricerca” analizza il body shaming da diverse prospettive disciplinari: sociologia, psicologia, mediologia, semiotica e filosofia. La seconda (“La discesa sul campo”) presenta il disegno della ricerca empirica, condotta tra Italia e Romania, sul fenomeno del body shaming e i suoi principali risultati.

La terza sezione, “Contributi per le scuole e delle scuole”, raccoglie le esperienze di contrasto al body shaming realizzate in alcune scuole secondarie di II grado che hanno partecipato all’indagine. Completa il volume una selezione della raccolta di opere grafiche realizzate da studenti e studentesse del Liceo Artistico dell’IIS “Alfieri” di Asti; una di queste si è meritata la copertina del libro in oggetto.

Bodyshaming e cyberbullismo, i motivi della ricerca

Il bullismo e il cyberbullismo sono da anni oggetto di studio da parte dei ricercatori del Laboratorio di simulazione del comportamento e robotica educativa “Luciano Gallino” del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. È stato nell’anno accademico 2020/21 – in pieno periodo pandemico per Covid-19 – che si è deciso di affrontare (almeno in parte), questo complesso argomento.

L’occasione si è colta nell’ambito delle lezioni di Metodi avanzati della ricerca sociale che si sono tenute tra febbraio e maggio 2021 per il corso di laurea magistrale in Scienze Pedagogiche dell’Università di Torino. Il corso si è svolto in modalità telematica con la partecipazione costante di circa 60 studenti e studentesse La conduzione dell’attività didattica è stata del prof. Renato Grimaldi e della prof.ssa Tania Parisi, a cui si è affiancata la prof.ssa Cristina Ispas del Centro Universitario di Resita, Università Babeş-Bolyai di Romania, in qualità di visiting professor dell’Università di Torino.

Si è quindi deciso di lavorare su comportamenti di prevaricazione messi in atto attraverso insulti, prese in giro, umiliazioni, che sono individuati in letteratura come body shaming, atteggiamenti che ritroviamo nella cronaca di tutti i giorni e quindi di estrema importanza e interesse. Ci siamo rivolti in particolare ai comportamenti che si attuano sulla Rete. All’attività di ricerca, scaturita da questo corso universitario, hanno partecipato a vario titolo e in varie occasioni gli autori e le autrici che hanno poi contribuito alla realizzazione del volume Nella rete del body shaming, sopra indicato.

Svolgimento della ricerca empirica

La ricerca è stata condotta su un ampio campione di 5.701 studenti e studentesse delle scuole secondarie di secondo grado in Italia – in particolare in Piemonte (circa 4.000) – e in Romania (poco meno di 2.000). Le scuole coinvolte comprendono licei, scuole tecniche e professionali. Nel campione italiano sono presenti: l’IIS Alfieri di Asti (425 partecipanti), l’ITI Artom di Asti (337), l’Istituto Monti di Asti (317), il Liceo Pellico-Peano di Cuneo (620), il Liceo Porporato di Pinerolo (293), il Liceo Giolitti-Gandino di Bra (238), il Liceo Regina Margherita di Torino (374), il Liceo Curie di Pinerolo (109), l’IIS Cossatese di Cossato (303), l’IIS Cavour di Vercelli (202) e l’IIS Volta di Pescara (516).

Per la buona riuscita della ricerca è stata fondamentale la collaborazione dell’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte e del corpo docente. I ragazzi/e hanno compilato il questionario online. La scala utilizzata per misurare la propensione al body shaming è stata costruita in modo partecipativo da studenti e studentesse del corso di Metodi avanzati della ricerca sociale del Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino.

I dati raccolti

Gli studenti hanno formulato inizialmente 107 affermazioni poi ridotte, in base alla validità di costrutto, ai 20 item finali. Ogni affermazione è stata valutata su una scala auto-ancorante a cinque punti, da “per niente d’accordo” a “completamente d’accordo”. L’analisi dei dati ha mostrato che la propensione al body shaming è influenzata da una combinazione di fattori individuali e sociali.

I ragazzi tendono a essere più tolleranti nei confronti di comportamenti di body shaming rispetto alle coetanee, così come chi frequenta le scuole tecniche e professionali anziché un liceo. Inoltre, più ore si passano in rete, maggiore è la propensione ad accettare episodi di body shaming. Infine, anche se in modo poco marcato, a livelli più bassi di capitale culturale familiare corrisponde una maggiore tendenza a sottovalutare le conseguenze dei comportamenti di esclusione e derisione legati all’aspetto fisico.

La neutralizzazione della componente propriamente umana

Come per tutti i fenomeni sociali, anche per quello del body shaming non è possibile individuare una causa o una catena causale in senso stretto; questo vale soprattutto nella società contemporanea per il fatto che essa è complessa e riflessiva.

Secolarizzazione e disagio post-moderno influiscono sulla diffusione del body shaming? Volendo tentare di dare una risposta massimamente sintetica, il problema si trova nel fatto che la società contemporanea, per il modo in cui si concepisce e si organizza, non ha bisogno di soggetti propriamente umani, bensì di individui efficienti e funzionali, o quantomeno sostenibili per la razionalità degli apparati moderni, che è una razionalità tecnica.

Questa è la condizione dell’integrazione sociale. Ma è una condanna generalizzata. Scade infatti in un tragico paradosso l’idea di integrare un soggetto umano pensando che tale operazione preveda la neutralizzazione della sua componente più propriamente umana cioè, in sintesi, della sua moralità, come desiderio di senso e di bene. L’implementazione di una integrazione così intesa genera soggetti pieni di sofferenza psichica, tendenzialmente alienati, frustrati, nevrotici, schizofrenici, paranoici: in una parola dei soggetti narcisistici.

L’altro aspetto, che si lega a questo, è che il soggetto psichicamente sofferente in assenza di un rimedio autentico che risolva le cause della sofferenza, va alla ricerca di rimedi di tipo surrogato. E il più classico dei rimedi surrogati è il capro espiatorio, una vittima sacrificale sulla quale scaricare la rabbia che scaturisce dalla radicale insoddisfazione per la propria esistenza. Tragicamente, è sempre la società tecnologica a fornire i criteri per individuare il capro espiatorio: tale sarà l’individuo che meno corrisponde al profilo che la società stessa desidera e che essa insegna implicitamente a disprezzare: le persone che si presentano o che vengono percepite come inefficienti, limitate, deboli, innanzitutto esteriormente, fisicamente. In esse gli individui vedono riflesso ciò che di sé stessi sono stati educati (socializzati) a disprezzare e a considerare surrettiziamente la causa del loro fallimento, come scarso successo nella società.

Colpendo il soggetto che egli – in ciò socializzato dalla razionalità tecnica – ha imparato a etichettare come disfunzionale e perdente, l’individuo narcisista colpisce ciò che minaccia e smaschera la fallacia della propria auto-interpretazione grandiosa, che serve appunto a dissimulare la sofferenza psichica derivante dal persistente senso di inadeguatezza.

Adolescenza, immagine corporea, body shaming

La difficoltà a riconoscere e accettare aspetti di sé percepiti come non desiderabili e inadeguati non può non riguardare anche l’adolescenza, fase dello sviluppo umano in cui la formazione dell’immagine corporea e la progressiva mentalizzazione del corpo costituiscono un compito evolutivo centrale, intimamente legato ai processi di costruzione di un’identità personale più consapevole e integrata. Durante l’adolescenza, il corpo diventa il principale strumento di espressione di sé, ma anche un terreno di confronto con gli altri, caratterizzato dalla sfida di integrare l’immagine reale di sé con quella ideale e con le aspettative sociali.

Il body shaming può interferire profondamente con questo processo, in quanto, dal punto di vista psicologico, tali esperienze generano un conflitto interno tra l’immagine corporea soggettiva (“come mi vedo”) e quella riflessa (“come penso che gli altri mi vedano”). Quando prevale la percezione negativa esterna, l’adolescente può sviluppare insicurezza, vergogna, ansia sociale e un abbassamento dell’autostima: mi sento giudicata, imperfetta; piango tantissimo e non reagisco; all’inizio non ci do peso, poi ci penso e inizio a crederci, sono testimonianze che ben evidenziano le conseguenze psicologiche descritte.

Inoltre, sul piano relazionale, il bisogno di accettazione tipico dell’adolescenza rende l’impatto del body shaming ancora più forte: il rifiuto percepito dal gruppo dei pari può compromettere la fiducia interpersonale e il senso di appartenenza, elementi cruciali per una crescita equilibrata, e talvolta può condurre a reazioni rabbiose – Gli sfondo la faccia; Lo anniento, sono altre testimonianze raccolte – in un circolo emotivo dove la rabbia sostituisce la vulnerabilità e la violenza subita genera violenza agita.

Contrastare il body shaming, quindi, significa intercettare esperienze di profonda sofferenza emotiva e promuovere un’educazione affettiva e corporea che valorizzi la diversità, la consapevolezza e l’accettazione di sé e degli altri.

Body shaming, IA, piattaforme, social

A partire dal 2022, l’IA generativa è entrata come un vero e proprio fiume in piena nella società, e tutto lascia pensare che ne modificherà in profondità le dinamiche comunicative, estetiche e culturali. Il gruppo di ricerca si è domandato come questa nuova tecnologia potesse rappresentare i corpi degli studenti e quali implicazioni potessero derivarne.

Nel 2024 sono state condotte alcune indagini utilizzando due diversi sistemi di IA (Stable Diffusion, modello SD xl_base_1.0_0.9vae, di Stability AI e DALL·E v.3 di OpenAI), ai quali è stato chiesto di generare una serie di immagini realistiche di “studenti adolescenti”. Il prompt utilizzato – “a photo of a teenage student” – è stato scelto perché in inglese risulta “neutro”, ossia non possiede declinazioni di genere.

L’obiettivo era osservare che tipo di rappresentazioni emergessero e analizzarne le caratteristiche. I risultati mostrano la presenza di diversi bias (stereotipi) nelle immagini generate. Gli studenti rappresentati sono in prevalenza adolescenti maschi e “bianchi”, con corporature longilinee o asciutte, talvolta atletiche o muscolose. Le figure femminili risultano nettamente minoritarie, e non comparivano soggetti sovrappeso o con altre corporature. In filigrana emergeva dunque un canone di bellezza che privilegia corpi snelli, slanciati e perfettamente proporzionati, mentre i volti tendevano a rispecchiare gli ideali estetici occidentali.

Identificare e riflettere sui possibili bias presenti nell’IA generativa è un passaggio cruciale, soprattutto per gli studenti delle scuole secondarie. In un’epoca in cui creare contenuti visivi per piattaforme come Instagram o TikTok è un’attività quotidiana, comprendere che le immagini – e, oggigiorno, anche i video – prodotti da questi sistemi non sono “neutri”, ma riflettono e amplificano pregiudizi culturali e sociali incorporati nei dati di addestramento, diventa una competenza fondamentale. Attraverso questa consapevolezza è possibile evitare di diventare fruitori o produttori passivi di contenuti distorti, promuovendo invece rappresentazioni più inclusive, critiche e responsabili del corpo e della realtà sociale.

Contrasto al bodyshaming

La Fondazione Centro di Studi Alfieriani di Asti ha fornito un importante supporto a questa ricerca anche perché circa mille interviste sono state somministrate nella stessa città. Va anche detto che Vittorio Alfieri fu oggetto di bullismo negli anni dell’adolescenza trascorsa a Torino, allievo dell’Accademia Militare, fra altri giovani rampolli della nobiltà europea. Alfieri ricorda come, persi i capelli a causa di una malattia, costretto a indossare una parrucca, fosse in breve divenuto lo zimbello dei compagni, fatto oggetto della loro derisione. Il ricordo, drammatico, ma non privo di autoironia, nell’identificazione di se stesso con la parrucca, rimanda al 1762, all’età di tredici anni (Forno, 2020, pp. 46-47):

“Non fu possibile ch’io salvassi i capelli dalle odiose forbici; e dopo un mese uscii di quella sconcia malattia tosato ed imparruccato. Quest’accidente fu uno dei più dolorosi ch’io provassi in vita mia; sì per la privazione dei capelli, che pel funesto acquisto di quella parrucca, divenuta immediatamente lo scherno di tutti i compagni petulantissimi. Da prima io m’era messo a pigliarne apertamente le parti; ma vedendo poi ch’io non poteva a nessun patto salvar la parrucca mia da quello sfrenato torrente che da ogni parte assaltavala, e ch’io andava a rischio di perdere anche con essa me stesso, tosto mutai di bandiera, e presi il partito il più disinvolto, che era di sparruccarmi da me prima che mi venisse fatto quell’affronto, e di palleggiare io stesso la mia infelice parrucca per l’aria, facendone ogni vitupero. Ed in fatti, dopo alcuni giorni, sfogatasi l’ira pubblica in tal guisa, io rimasi poi la meno perseguitata, e direi quasi la più rispettata parrucca, fra le due o tre altre che ve n’erano in quella stessa galleria. Allora imparai, che bisognava sempre parere di dare spontaneamente, quello che non si potea impedire d’esserti tolto”.

Quindi è lo stesso Alfieri che ci suggerisce come reagire ad atti di bullismo. Consiglia infatti – con la forza dell’esperienza personale – di non subire passivamente la derisione, ma di prendere il controllo attraverso l’ironia e la libertà interiore. Non la vendetta, ma la consapevolezza e l’autonomia sono le sue armi contro forme di prevaricazioni del suo tempo.

Più in generale, riferita a quello che oggi è spesso chiamato corpo digitale, resta la domanda di fondo: la rete, e i social media in particolare, costituiscono tecnologie della libertà o tecnologie del controllo? Meglio: a quali condizioni consentono emancipazione e affrancamento da standard e codici condivisi o piuttosto riproducono e rafforzano stratificazione e ordine somatico delle nostre società?

Riferito al corpo, lo shaming online può essere considerato una forma di sorveglianza tra pari che tipicamente esercita una funzione di controllo e normalizzazione rispetto a codici culturali condivisi; dice, anzi, quanto quei codici sono radicati e condivisi: “funziona”, cioè, là dove è attesa una stretta aderenza ad essi e li rinforza. Nella rete e tramite i social, il body shaming in questa maniera prosegue online la battaglia per il controllo dei significati storicamente e tradizionalmente combattuta offline, e rinvia al corpo come luogo del potere e di scontri tra gruppi, valori e interessi.

Nota

Il libro “Nella rete del body shaming. Riflessioni teoriche e una ricerca internazionale” a cura di Paola Borgna, Maria Adelaide Gallina, Renato Grimaldi, Cristina Ispas e Tania Paris, Rosenberg & Sellier, Torino, 2025 è anche scaricabile gratuitamente dal sito dell’editore.

Bibliografia

Bianchi F., Kalluri P., Durmus E., Ladhak F., Cheng M., Nozza D., … Caliskan A. (2023), Easily accessible text-to-image generation amplifies demographic stereotypes at large scale, in Proceedings of the 2023 ACM Conference on Fairness, Accountability, and Transparency, pp. 1493–1504.

Cassidy L. (2019), Body Shaming in the Era of Social Media, in Mun C. (a cura di), Interdisciplinary Perspectives on Shame: Methods, Theories, Norms, Cultures and Politics, London, Lexington Books, pp. 157-175.

Colombo F. (2013), Il potere socievole. Storia e critica dei social media, Milano-Torino, Pearson-Italia.

Gam R.T. et al. (2020), Body shaming among school-going adolescents: prevalence and predictors. “International Journal of Community Medicine and Public Health”, 7, pp. 1324–1328.

Grimaldi R. (2005) (a cura di), Metodi formali e risorse della Rete, Milano, Angeli.

Forno C. (2020), Vittorio Alfieri. Vita, Milano, Feltrinelli.

Lupton D. (2017), Digital Bodies, in Andrews D., Silk M., Thorpe H. (a cura di), Routledge Handbook of Physical Cultural Studies, London, Routledge, pp. 200-208.

Lyon D. (2020), La cultura della sorveglianza. Come la società del controllo ci ha reso tutti controllori [ediz. orig. 2018], Roma, Luiss University Press.

Naik R., Nushi B. (2023), Social Biases through the Text-to-Image Generation Lens, in Sixth AAAI/ACM Conference on Artificial Intelligence, Ethics, and Society (AIES), pp. 1–23.

Nicoletti L., Bass D. (2023), Human are biased. Generative AI is even worse, https://www.bloomberg.com/graphics/2023-generative-ai-bias/.

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