Un’indagine che mette alla prova il Digital Markets Act sul terreno più delicato: l’accesso alle informazioni, la trasparenza algoritmica e il rapporto di forza tra piattaforme dominanti ed ecosistema editoriale.
Indice degli argomenti
L’indagine dell’UE sull’AI di Google a tutela degli editori
La Commissione europea ha aperto un’indagine formale per verificare se Google abbia penalizzato in modo ingiustificato la visibilità dei contenuti editoriali nei risultati del suo motore di ricerca.
L’attenzione di Bruxelles si concentra sulla policy contro l’“abuso della reputazione del sito”, che secondo Alphabet servirebbe a contrastare comportamenti manipolativi ma che, nella pratica, potrebbe aver prodotto un effetto collaterale significativo: la retrocessione sistematica delle pagine degli editori che ospitano contenuti forniti da partner commerciali.
La posta in gioco è elevata.
Se la Commissione dovesse accertare una violazione del Digital Markets Act, Google rischierebbe una sanzione fino al 10 per cento del fatturato mondiale, che può arrivare al 20 per cento in caso di recidiva. Ma l’impatto dell’indagine supera il piano sanzionatorio: riguarda il funzionamento dell’infrastruttura informativa su cui si basa una parte decisiva dell’economia digitale europea.
Gli effetti del Digital Markets Act sugli editori online
Secondo Bruxelles, l’applicazione della nuova policy avrebbe già avuto effetti rilevanti. Diversi editori avrebbero osservato un calo improvviso di visibilità nelle SERP di Google, con conseguente riduzione del traffico, dei ricavi pubblicitari e delle opportunità di costruire modelli di business sostenibili.
Per molte testate, soprattutto quelle locali o indipendenti, la retrocessione delle pagine nella ricerca può tradursi in una perdita strutturale di competitività. La Commissione sottolinea che anche variazioni tecniche apparentemente neutre possono avere effetti economici profondi quando sono applicate da un attore dominante. Un tema già emerso in altri contesti, quando un algoritmo decide la visibilità, decide anche la sostenibilità delle imprese che dipendono da quella visibilità.
Come il Digital Markets Act ridisegna il potere degli algoritmi
Il DMA nasce proprio per prevenire queste distorsioni. I gatekeeper, tra cui Alphabet, devono garantire criteri di accesso equi e non discriminatori e assicurare piena trasparenza sui meccanismi di ranking. Il regolamento supera l’approccio tradizionale basato su interventi a posteriori, introducendo obblighi di comportamento che mirano a evitare abusi prima che si verifichino.
In questo contesto, l’indagine su Google è il primo vero test del DMA applicato al settore dell’informazione. La Commissione non valuta solo l’intenzionalità delle policy aziendali, ma gli effetti concreti sulla concorrenza, sul pluralismo e sulla capacità degli editori di accedere al mercato in condizioni eque.
La posizione di Google
Alphabet respinge le accuse e sottolinea che le proprie misure puntano a contenere spam, contenuti di scarsa qualità e tentativi di manipolazione del ranking. L’azienda sostiene che non esista alcuna strategia volta a penalizzare gli editori e che gli algoritmi rispondano a criteri oggettivi e tecnicamente giustificati.
Bruxelles, però, rileva criticità nella trasparenza dei processi, nelle limitate possibilità di ricorso e nell’assenza di meccanismi efficaci per garantire agli editori un controllo reale sugli effetti delle penalizzazioni. L’indagine mira a capire se il modello applicato da Google sia compatibile con gli standard di equità imposti dal DMA.
Le prove raccolte dalla Commissione europea
La Commissione ha acquisito documentazione tecnica, testimonianze e dati statistici da editori e soggetti terzi. Le prime analisi mostrano che la retrocessione dei contenuti editoriali è avvenuta in modo sistematico e non episodico.
Il fenomeno appare particolarmente marcato nei siti che ospitano contributi prodotti da partner commerciali.
Bruxelles sta valutando l’impatto concreto della policy attraverso:
l’analisi del traffico prima e dopo l’introduzione delle nuove regole;
la revisione dei criteri di ranking e dei sistemi di penalizzazione automatica;
la verifica degli strumenti messi a disposizione degli editori per segnalare errori o richiedere revisione;
l’esame delle ripercussioni sulla concorrenza nei mercati pubblicitari.
DMA, Google e editori: le richieste tecniche dell’Ue
Per valutare l’aderenza delle policy di Google ai requisiti del DMA, la Commissione ha richiesto informazioni approfondite sui modelli di ranking, sui parametri utilizzati per identificare i contenuti commerciali, sui processi interni di revisione e sui report che tracciano motivazioni e volumi delle retrocessioni.
Questi dati sono essenziali per comprendere se il trattamento riservato agli editori sia equo e verificabile, come imposto dal regolamento.
Un decennio di scontri antitrust tra Ue e Google
La storia tra Bruxelles e Google è segnata da oltre un decennio di indagini e sanzioni. Nel 2017, il caso Google Shopping portò alla prima multa miliardaria per abuso di posizione dominante: 2,42 miliardi di euro.
La Commissione stabilì che Google aveva favorito il proprio comparatore di prezzi, alterando la concorrenza. Nel 2018 arrivò la sanzione più pesante: 4,34 miliardi per pratiche anticoncorrenziali legate ad Android, accusato di imporre condizioni ai produttori per consolidare i servizi Google.
Nel 2019, una nuova sanzione da 1,49 miliardi colpì il comportamento di Google nel mercato della pubblicità contestuale tramite AdSense. Tutti questi casi mostrarono come Google, agendo contemporaneamente come arbitro e giocatore del mercato digitale, potesse trovarsi in una posizione di conflitto strutturale.
Da questa consapevolezza nacque l’impulso politico e normativo che portò al Digital Markets Act: non più interventi a posteriori, ma regole chiare e vincolanti per prevenire distorsioni prima che si manifestino.
Pluralismo informativo europeo e futuro della regolazione
L’inchiesta sulla retrocessione dei contenuti editoriali è dunque molto più di un procedimento tecnico. È il primo caso in cui l’Unione misura l’efficacia del DMA nel garantire un rapporto più equilibrato tra piattaforme e operatori dell’informazione.
Se Bruxelles accertasse una violazione, Google potrebbe essere costretta a rivedere in profondità i propri sistemi di ranking, introducendo maggiore trasparenza, criteri verificabili e meccanismi di ricorso più efficaci.
Le ripercussioni, però, andrebbero ben oltre il perimetro aziendale: potrebbero ridisegnare l’equilibrio del mercato dell’informazione online, incidere sulle strategie pubblicitarie e influenzare la sostenibilità economica delle redazioni.
Una partita cruciale per il futuro dell’ecosistema informativo europeo
L’indagine solleva una domanda fondamentale: può l’Europa esercitare un controllo effettivo sulle infrastrutture digitali che influenzano il pluralismo, la concorrenza e la qualità dell’informazione?
La risposta, in gran parte, dipenderà proprio da questo procedimento. Il caso Google non è solo un contenzioso regolatorio. È la cartina di tornasole della capacità dell’Ue di governare l’economia dell’algoritmo e garantire che l’accesso alle informazioni non dipenda da criteri opachi decisi da un singolo attore globale.











