Conferenza Onu sul clima

Cop30: accordo senza impegni sui fossili, ma la transizione procede



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Cop30 si è conclusa con un nulla di fatto, un accordo che, persino nelle parole, oltre che nei fatti, é più arretrato di quello precedente firmato in un petro-stato. Tuttavia la transizione non si arresta ed altri impegni assunti vanno nella direzione giusta, ecco perché non siamo al funerale delle Cop

Pubblicato il 24 nov 2025

Mirella Castigli

ScenariDigitali.info



giovani e politica (1); Cop30 a Belém: in Brasile serve uno sguardo un po’ più lungo; Cop30: accordo senza impegni sui combustibili fossili, ma la transizione energetica procede

Perfino la Cop29, che si è tenuta a Baku l’anno scorso, in uno Stato produttore di petrolio come l’Azerbaijan, ha offerto risultati più all’avanguardia dell’accordo raggiunto alla Cop30, privo di impegni vincolanti sui combustibili fossili. Soprattutto l’intesa finale della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima tenutasi a Belém, in Brasile, non fa menzione di alcuna “tabella di marcia” per la loro graduale eliminazione, nonostante le pressanti richieste avanzate da decine di Paesi sui 190 presenti (Usa dell’amministrazione Trump assenti).

“Come era prevedibile, e lo avevamo già previsto proprio su Agenda Digitale”, commenta Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, “Cop30 si è conclusa con un nulla di fatto, un accordo che persino nel ‘wording’, oltre che nei fatti, é più arretrato di quello precedente firmato in un petro-stato“, dove si citava la decisione di eliminare i combustibili fossili per raggiungere l’obiettivo Net zero di azzerare le emissioni nette entro il 2050, anche se aveva fallito a definire come stabilire la transizione dai fossili alle rinnovabili.

Ecco le luci e le ombre dell’accordo finale della Cop30 che comunque prevede un’accelerazione della transizione energetica, oltre a triplicare i fondi destinati ai Paesi più afflitti dagli impatti del cambiamento climatico.

Cop30: accordo che registra modesti progressi su vari fronti

Le piogge torrenziali e le inondazioni, che avevano già interrotto i primi giorni della conferenza, tenutasi a Belém, ai margini dell’Amazzonia, sono apparse ancora più profetiche quando un incendio ha devastato la sede dell’evento, costringendo i delegati all’evacuazione, prima di raggiungere l’accordo finale.

Michael Mann, eminente scienziato climatico americano, l’ha definita «una metafora inquietante e calzante» per i negoziati, che secondo molti potrebbero non essere più adeguati allo scopo, anche se è tuttora utile trovare un momento dell’anno per fare il punto. Del resto, secondo Francesco Ferrante, era “impossibile che potesse finire diversamente nell’attuale situazione geo-politica. Ma non è nemmeno vero che sia la fine della sfida contro la crisi climatica”.

I negoziati della Cop30 erano però partiti in salita, dopo il rilascio del rapporto delle Nazioni Unite sull’Emissions Gap che ha purtoppo confermato ciò che era evidente da tempo. Il costante aumento delle emissioni di carbonio negli anni successivi all’accordo di Parigi comporterà un aumento delle temperature globali superiore a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, e ciò avverrà presto, probabilmente nei prossimi cinque anni.

Significa che, come avevamo già scritto da oltre un anno, il mondo non è riuscito a centrare il più ambizioso dei due obiettivi di temperatura fissati dall’accordo di Parigi. Ora dobbiamo spostare l’asticella dall’arresto del riscaldamento globale, imparando a mitigare i danni.

Tuttavia anche le discussioni relative agli sforzi nazionali per adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici hanno registrato modesti progressi durante i negoziati.

Triplicati i fondi per la resilienza climatica

Si è concluso un processo pluriennale volto a definire una serie formale di indicatori per misurare la “resilienza climatica”. L’accordo finale invita i Paesi ricchi a triplicare entro il 2035 gli importi destinati ai Paesi poveri, e soprattutto più vulnerabili ai cambiamenti climatici, per adottare progetti di adattamento.

Sebbene questo sviluppo sia un passo avanti concreto in materia di adattamento, Natalie Unterstell, che dirige Talanoa, un think tank sulle politiche climatiche con sede a Rio de Janeiro, sottolinea che è ancora ben lontano da ciò che è effettivamente necessario.

Da un lato, afferma, non si fa riferimento al valore da cui il dato viene triplicato, il che significa che non c’è alcuna possibilità di valutare o adeguare le promesse di finanziamento.

“Un segnale importante”, avverte Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, in una nota, è “triplicare la finanza per l’adattamento entro il 2035, con più prevedibilità, accessibilità e un maggiore allineamento ai bisogni dei Paesi vulnerabili”.

Finanza climatica

La Cop30, pur non colmando “il divario di ambizione”, prosegue Asvis, “apre a un percorso più concreto” al fine di:

  • ottimizzare la prevedibilità della finanza;
  • potenziare la mobilitazione di risorse pubbliche e private;
  • dare il via a un ciclo di lavoro verso un migliore allineamento dei flussi finanziari agli obiettivi climatici”.

Due nuovi strumenti cruciali

La Cop30 si conclude con un accordo che, oltre a mantenere la traiettoria aperta a Dubai, introduce due nuovi strumenti che Asvis definisce “cruciali“:

  • Global Implementation Accelerator, per potenziare l’attuazione dei Piani nazionali (NDC e piani di adattamento);
  • Belém Mission to 1.5, una piattaforma per rafforzare la collaborazione e gli investimenti verso una transizione allineata alla scienza.

“Non è la trasformazione che serviva, ma è un passo che consolida quanto emerso nell’ultimo ciclo negoziale”, aggiunge in una nota Asvis. Pur non essendo la svolta che si auspica, ma che per motivi geopolitici era impossibile, l’intesa ha prodotto processi concreti, anche in assenza di una roadmap.

La promessa della transizione energetica

I delegati hanno dedicato la maggior parte del tempo a una lunga discussione su come i Paesi potrebbero portare avanti la promessa di abbandonare l’uso dei combustibili fossili nei loro sistemi energetici, durante l’edizione 2023 dei colloqui a Dubai.

All’epoca, anche l’Economist aveva salutato quell’impegno come un “raro successo per il multilateralismo”, per due motivi. Innanzitutto, era stato raggiunto in un petro-Stato, sotto l’egida dell’amministratore delegato della compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti.

In secondo luogo, per la prima volta in oltre 30 anni, i Paesi avevano concordato esplicitamente di abbandonare la principale fonte di emissioni.

Data la necessità di raggiungere un consenso e la ferma opposizione di diversi Stati produttori di petrolio, il risultato era sembrato notevole, con alcuni osservatori che lo avevano definito “l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili”.

Invece, due anni dopo, il testo di Belém non fa alcun riferimento diretto ai combustibili fossili.

L’opposizione di Arabia Saudita, Russia e India

La bozza iniziale aveva suggerito che i governi potessero impegnarsi a seguire una “tabella di marcia” per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili o, in puro stile Onu, almeno impegnarsi a discuterne una.

Il significato della proposta, pur non essendo chiaro, suggeriva almeno che la Cop30 avrebbe potuto approdare a un accordo per portare i Paesi sulla strada di fissare scadenze o traguardi intermedi.

Tuttavia il sogno di un simile accordo si è infranto sullo scoglio dell”opposizione dei Paesi produttori di petrolio, tra cui Arabia Saudita e Russia e dell’India che invece è fra i Paesi che ancora dipendono fortemente dal carbone.

La contrarietà di questi Paesi ha cancellato ogni riferimento ai combustibili fossili dalla bozza successiva.

Non hanno alcun effetto nemmeno le ripetute minacce di di non accettare alcun accordo se non fosse stato reinserito, da parte di un nutrito gruppo di Paesi, tra cui la Gran Bretagna, l’Unione Europea (che negozia come blocco unico) e diversi Stati insulari del Pacifico.

Gli altri fallimenti

Anzi è sfumata anche la proposta – altrettanto vaga – per definire una tabella di marcia per porre fine alla deforestazione.

In nulla di fatto è finito anche il suggerimento formale che i Paesi dovrebbero rivedere più frequentemente i propri piani autonomi di riduzione delle emissioni. Si tratta dei “contributi determinati a livello nazionale” che l’accordo di Parigi impone ai Paesi di presentare ogni cinque anni, alla luce del fallimento di tagliare le emissioni con sufficiente rapidità fino ad oggi.

Cop30, i risultati positivi oltre l’accordo

Il risultato deludente della Cop30 non esclude la possibilità che i Paesi, al di là dell’accordo modesto, compiano progressi su un qualsiasi dei fronti aperti con le proprie forze. Molti si sono impegnati a farlo.

Infatti il Brasile ha dichiarato che perseguirà l’idea di due roadmap, anche all’interno del G20. La Colombia e i Paesi Bassi hanno annunciato congiuntamente che ospiteranno una conferenza internazionale sulle roadmap il prossimo anno.

Inoltre non è nemmeno vero che le ultime due settimane non abbiano portato a nulla di positivo. “C’è infatti la cronaca negativa di questi round negoziali, ma c’è la storia della transizione che continua a fare balzi in avanti nel modo di produrre energia (con le rinnovabili) ed elettrificando consumi che prima erano solo fossili (pensiamo ai trasporti in Cina)”, conferma Francesco Ferrante.

Un risultato raggiunto è il debutto del Tropical Forest Forever Facility (TFFF), un fondo di investimento che, secondo i promotori, raccoglierà fino a 125 miliardi di dollari da versare direttamente ai Paesi per ogni ettaro di foresta tropicale che preservano.

Il ruolo della Cina

Nelle settimane precedenti al vertice, si è discusso molto sulla possibilità che la Cina assumesse un ruolo di leadership più importante in assenza degli Usa dal momento che il presidente Donald Trump aveva deciso di non inviare una delegazione. Tuttavia Pechino non è sembrata intenzionata ad assumere tale ruolo.

Pubblicamente, ha evitato di prendere una posizione forte sulla maggior parte delle questioni, tranne che per sostenere che l’azione per il clima non dovrebbe diventare una giustificazione per limitare il commercio.

Insieme alla Russia, ha fatto opposizione all’inclusione di qualsiasi disposizione relativa ai minerali critici. I due Paesi detengono insieme la maggior parte del mercato globale e sono riusciti nel loro intento.

Ma, con 887 gigawatt di capacità di energia solare, quasi il doppio del totale combinato di Europa e America, e le 22 milioni di tonnellate di acciaio utilizzate per costruire nuove turbine eoliche e pannelli solari nel 2024 (quanto sarebbe bastato a costruire un Golden Gate Bridge in ogni giorno lavorativo di ogni settimana di quell’anno), la Cina guida di fatto la transizione energetica del mondo. Del resto, solo l’anno scorso ha generato 1.826 terawattora di elettricità eolica e solare, cinque volte di più dell’energia contenuta in tutte le sue 600 armi nucleari.

Il vero sforzo collettivo è la transizione energetica in atto

Durante tutto il vertice, i padroni di casa brasiliani hanno ripetutamente utilizzato il termine mutirão, una parola indigena che hanno scelto di tradurre con “sforzo collettivo” (l’accordo politico finale è stato intitolato “Global Mutirão”). Ma il motivo del consenso di Parigi era la base volontaria degli impegni assunti.

Tuttavia è il momento del “calma e gesso al fronte che si batte in difesa di Green deal e decarbonizzazione”, conclude Francesco Ferrante: “Non siamo al funerale, invece inazionisti e negazionisti resteranno dalla parte sbagliata della storia, anche se oggi possono vantare un successo nella loro battaglia di retroguardia”.

La Cina ha dimostrato al mondo che la transizione energetica è possibile. In dieci anni ha infatti compito passi da gigante e di questo passo raggiungerà gli obiettivi prefissati del 2060.

Le tecnologie esistono e l’intelligenza artificiale può assumere un ruolo importante come dimostrano virtual power plants cinesi, per fronteggiare le domande di picco (soprattutto d’estate con i condizionatori), le interruzioni, le esigenze del cloud e dell’AI, sono infine tecnologie su cui investire nel futuro.

L’obiettivo è per tutti quello di creare una rete elettrica con una capacità di generazione distribuita, in grado di sfruttare le localizzazioni delle diverse fonti, integrandole per raggiungere un equilibrio tra domanda e offerta agendo sui diversi fattori (previsioni dei consumi e della produzione su base locale, trasporto e stoccaggio delle eccedenze, bidirezionalità della rete di distribuzione).

Dopo la Cop30: colmare il divario fra aspirazione scientifica e realtà politica

La strada per la transizione energetica è segnata, bisogna solo investire per raggiungere gli obiettivi Net zero. Nel frattempo, si sta allargando la coalizione di Paesi (europei, latino-americani, africani e piccoli Stati insulari, i fragili) che chiedono sia di realizzare percorsi regionali e multilaterali che superino in ambizione il negoziato Onu sia di scalare la quarta, accelerando la transizione, e di integrare la scienza nelle decisioni. “La frattura tra aspirazione scientifica e realtà politica resta ampia, ma non definitivamente chiusa”, conclude Asvis in una nota.

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