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Auto più pulite e industria salva: la nuova strategia europea



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La Commissione ha presentato le nuove misure per rafforzare la competitività del settore automobilistico. Ecco le potenzialità del principio di neutralità tecnologica fondato su valutazioni di life cycle assessment, nel contesto geopolitico e industriale globale dove l’Europa rischia la dipendenza strategica dalla filiera asiatica, mentre occorre salvaguardare la competitività del settore automotive europeo

Pubblicato il 18 dic 2025

Riccardo Gentilucci

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Ufficio di Coordinamento del Dipartimento per le Infrastrutture e le Reti di Trasporto Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale



Automotive, la Ue annacqua gli obiettivi sul Green deal: a rischio è la competitività europea; Unione Europea, un passo indietro sullo stop ai motori termici: la svolta pragmatica del Pacchetto Automotive

In un momento di crescente dibattito politico in seno all’Unione Europea, che ha visto la Commissione presentare nuove misure per rafforzare la competitività del settore automobilistico, le politiche per la decarbonizzazione del trasporto stradale evolvono, focalizzandosi sulla revisione degli standard emissivi che sostituisce il divieto totale con un target di riduzione del 90% al 2035 e sul dibattito relativo al superamento del motore a combustione interna [1].

Attraverso l’esame dell’iter normativo del pacchetto Fit for 55 e delle recenti aperture verso una maggiore flessibilità, si discute la necessità di adottare un principio di neutralità tecnologica fondato su valutazioni di life cycle assessment (LCA), superando l’attuale approccio regolatorio limitato alle sole emissioni allo scarico (il solo criterio tank-to-wheel).

Ecco le alternative tecnologiche all’elettrificazione e la rilevanza del
principio di neutralità tecnologica, nel contesto geopolitico e industriale globale, dove si corrono i rischi di una dipendenza strategica dalla filiera asiatica, mentre è necessario salvaguardare la competitività del settore automotive europeo attraverso una strategia diversificata e pragmatica.

Le emissioni del settore trasporti

Il settore dei trasporti rappresenta uno dei principali ambiti di intervento nelle politiche di contrasto al cambiamento climatico, contribuendo a circa un quarto del totale delle emissioni di gas a effetto serra (GHG) in Europa, di cui il trasporto stradale è responsabile per approssimativamente i tre quarti. Nell’Unione Europea (UE), le sole autovetture e i veicoli commerciali leggeri
contribuiscono rispettivamente a circa il 16% e il 3% delle emissioni complessive di CO₂ [2] .

Al fine di conseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e di dare attuazione alla European Climate Law, che fissa la neutralità climatica entro il 2050, l’UE ha riconosciuto la necessità di una riduzione strutturale delle emissioni anche nel comparto del trasporto su strada.

Il pacchetto normativo Fit for 55

In tale quadro si colloca il pacchetto normativo Fit for 55, presentato dalla Commissione europea nel 2021, volto a ridurre le emissioni nette dell’Unione di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e a orientare tutti i settori economici, inclusa la mobilità, verso un percorso di progressiva decarbonizzazione.
Una misura di particolare rilievo del pacchetto Fit for 55 è stata la proposta di revisione degli standard di emissione di CO₂ per autovetture e veicoli commerciali leggeri, culminata nell’introduzione di obiettivi più stringenti al 2030 e, soprattutto, di un target di riduzione del 100% delle emissioni di CO₂ al 2035 per i nuovi veicoli immatricolati [3] .

In termini regolatori, l’impianto originario prevedeva che a partire dal 2035 potessero essere immatricolati esclusivamente veicoli a zero emissioni allo scarico, con l’effetto di escludere di fatto i motori a combustione interna tradizionali alimentati a benzina o diesel.

Tale misura è stata giustificata dalla Commissione europea come necessaria per conseguire una riduzione significativa delle emissioni del trasporto stradale e per orientare l’industria automobilistica verso l’innovazione in tecnologie a basse e nulle emissioni.

Tuttavia, essa ha sollevato rilevanti interrogativi in merito alla sua fattibilità tecnica ed economica, agli impatti occupazionali e industriali e alle implicazioni ambientali complessive, in particolare se valutate lungo l’intero ciclo di vita.

Queste criticità hanno progressivamente alimentato un dibattito politico e tecnico sempre più intenso, inducendo la Commissione Europea, con la comunicazione del 16 dicembre 2025, a rivedere, almeno in parte, il provvedimento, fissando il nuovo target di riduzione al 90% e introducendo meccanismi di compensazione per le emissioni residue.

Dal Fit for 55 al 2035: l’iter normativo e il dibattito europeo

L’iter legislativo per lo stop ai motori termici al 2035 trae origine dalla proposta della Commissione europea presentata nel luglio 2021 nell’ambito del pacchetto Fit for 55 [4] .

A seguito di un intenso processo negoziale, nel 2022 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno raggiunto un accordo politico sugli obiettivi di riduzione: una diminuzione del 55% delle emissioni di CO₂ entro il 2030 per le nuove autovetture rispetto ai livelli del 2021 e una riduzione del 100% a partire dal 2035 [5] .
La revisione normativa è stata formalmente adottata nel primo trimestre del 2023, con l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento europeo il 14 febbraio 2023 e l’adozione definitiva da parte del Consiglio il 28 marzo 2023.

Il provvedimento modifica il Regolamento (UE) 2019/631, introducendo nuovi standard di prestazione in materia di emissioni di CO₂ e stabilendo, di fatto, che a partire dal 2035 possano essere immatricolati nel mercato europeo esclusivamente veicoli a zero emissioni allo scarico, quali i veicoli elettrici a batteria e quelli alimentati a celle a combustibile a idrogeno.
Già nel corso dell’iter legislativo sono emerse significative divisioni tra gli Stati membri in merito alla rigidità del divieto previsto per il 2035.

In particolare, Germania e Italia – sedi di importanti industrie automobilistiche – hanno espresso riserve rispetto alla totale esclusione dei motori a combustione interna, sostenendo la necessità di riconoscere i carburanti carbon neutral come potenziali soluzioni compatibili con gli obiettivi climatici europei.

L’apertura ai carburanti sintetici

In tale contesto, il Consiglio dell’Unione europea, nel giugno 2022, ha introdotto nel proprio orientamento generale un riferimento specifico ai carburanti sintetici attraverso l’inserimento di un considerando (considerando 9a), volto a riconoscere il potenziale ruolo degli e-fuels prodotti con energia rinnovabile.

Tale formulazione ha tuttavia generato incertezze applicative e aspettative divergenti tra gli attori istituzionali e industriali.
Nella fase conclusiva del procedimento, la Germania ha pertanto bloccato l’adozione definitiva del regolamento, subordinando il proprio assenso alla previsione di una deroga esplicita per i veicoli alimentati ad e-fuel.

Ne è derivato uno stallo istituzionale durato tre settimane, superato mediante un
compromesso politico in base al quale la Commissione europea si è impegnata a presentare una proposta normativa che consenta, anche dopo il 2035, l’immatricolazione di veicoli alimentati esclusivamente con carburanti carbon neutral [6] .

In termini sostanziali, è stata così prevista una deroga ad hoc per i veicoli dotati di motori a combustione interna alimentati da carburanti sintetici prodotti con fonti rinnovabili, purché coerenti con gli obiettivi climatici dell’Unione.
Contestualmente, il regolamento adottato include una clausola di revisione al 2026, nell’ambito della quale la Commissione sarà chiamata a valutare i progressi verso il conseguimento dell’obiettivo del 2035 e l’eventuale necessità di aggiustamenti, tenendo conto dello sviluppo tecnologico – in particolare per quanto concerne i veicoli ibridi plug-in – nonché delle implicazioni sociali della transizione.

È inoltre previsto che entro il 2025 la Commissione elabori una metodologia europea armonizzata per la valutazione delle emissioni di CO₂ lungo l’intero ciclo di vita dei veicoli e dei relativi vettori energetici, segno della volontà di considerare in futuro l’impatto ambientale complessivo e non solo le emissioni allo scarico.

Le richieste degli Stati

Nonostante l’accordo raggiunto e l’entrata in vigore del regolamento (pubblicato nell’aprile 2023), il dibattito politico non si è affatto placato. Al contrario, tra il 2024 e il 2025 diversi Paesi hanno manifestato espliciti ripensamenti sulla stretta del 2035, alimentando l’idea di un possibile passo indietro o, quantomeno, di un aggiustamento di rotta da parte dell’UE.

L’Italia nel 2024 ha formalmente proposto di anticipare al 2025 la revisione della normativa (originariamente prevista per il 2026), sostenendo la necessità di modificare la direzione della politica industriale europea nel settore automotive e dare maggiore certezza al settore automobilistico europeo.

Il governo italiano ha più volte definito il divieto del 2035 ideologico, ritenendolo eccessivamente penalizzante per l’industria automobilistica europea e potenzialmente autolesionista per l’economia continentale.

Nulla di verde in un deserto industriale

In parallelo, verso la fine del 2025, un gruppo di sei Stati membri – Italia, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Repubblica Ceca – ha inviato una lettera alla Commissione europea chiedendo esplicitamente di attenuare il divieto previsto per il 2035, proponendo di consentire anche oltre tale data la vendita di veicoli ibridi o alimentati da tecnologie alternative, esistenti o
future, in grado di contribuire alla riduzione delle emissioni.

Gli stessi Paesi hanno inoltre sollecitato l’inclusione dei carburanti rinnovabili e a basse emissioni all’interno della strategia europea di decarbonizzazione dei trasporti, richiamando il rischio di una transizione che conduca a una perdita di capacità produttiva europea e ricordando che non c’è nulla di verde in un deserto industriale (“there is nothing green about an industrial wasteland”) [7] .

Queste prese di posizione indicano chiaramente come una parte degli Stati membri – in particolare quelli caratterizzati da un tessuto industriale automotive rilevante e da un parco circolante mediamente più datato – spinga verso un approccio più graduale e tecnologicamente neutrale, esprimendo timori rispetto agli impatti economici, industriali e sociali di una transizione forzata fondata esclusivamente sull’elettrificazione.

Il Pacchetto Automotive

In questo contesto, la Commissione europea ha lavorato alla definizione di un cosiddetto pacchetto automotive, finalizzato a sostenere l’industria europea del settore e a preservarne la competitività, senza tuttavia rinunciare all’impianto complessivo degli obiettivi climatici e ad una transizione verso zero emissioni.

Tuttavia, la presentazione, prevista per il 10 dicembre scorso, è stata poi
rinviata, ufficialmente per consentire ulteriori riflessioni tecniche e politiche [8] . Quanto alla nuova data, diverse fonti convergevano sull’ipotesi del 16 dicembre: il Parlamento europeo, nell’agenda della plenaria, indicava che in tale data la Commissione avrebbe presentato il pacchetto, con dibattito immediatamente successivo [9] .

Ulteriori dichiarazioni – come quelle di Manfred Weber a Bild dell’11 dicembre scorso – lasciavano intendere che l’UE stesse effettivamente ricalibrando la
propria strategia sul futuro dell’auto. Ed infatti, la svolta è arrivata proprio il 16 dicembre, data in cui l’esecutivo UE ha comunicato l’intenzione di rivedere l’impianto regolatorio originale, sancendo il passaggio dal divieto totale a un target di riduzione del 90% per il 2035.

Le nuove misure

La nuova normativa ammetterà che il restante 10% delle emissioni possa essere compensato dai costruttori attraverso due leve principali: l’utilizzo di carburanti carbon neutral (come e-fuel e biocarburanti) e l’impiego di materiali sostenibili certificati, come l’acciaio a basse emissioni di carbonio (low-carbon steel) prodotto nell’Unione.

In altre parole, dalla metà del prossimo decennio saranno autorizzati all’immatricolazione nei limiti del 10% anche i veicoli ibridi, i veicoli con estensore di autonomia (extended-range electric vehicle) e i veicoli con motori termici [10].

Il pacchetto introduce inoltre significative misure di flessibilità per il breve periodo: per l’obiettivo per auto e furgoni viene attivato un meccanismo di Banking & Borrowing per il triennio 2030-2032, consentendo alle aziende di gestire meglio i crediti di emissione; per i veicoli commerciali leggeri – ove l’elettrificazione è strutturalmente più complicata – l’obiettivo di riduzione al 2030 è stato abbassato dal 50% al 40%; infine, viene istituita la nuova categoria M1e per i veicoli elettrici compatti – sotto i 4,20 metri –, che beneficeranno di un regime normativo semplificato e di vantaggi concreti – quali bonus di acquisto, programmi di rottamazione, condizioni di parcheggio favorevoli
e ricarica a tariffa ridotta
[11] .

Divieto del 2035 diventa obiettivo di performance

Questa revisione trasforma il divieto del 2035 da un dogma tecnologico a un obiettivo di performance, riaprendo formalmente il mercato alle tecnologie ibride e ai motori termici alimentati con vettori rinnovabili.

Nonostante le istituzioni europee nel corso degli ultimi anni abbiano continuato a ribadire la centralità del target climatico e la necessità di un percorso verso zero emissioni al 2035, hanno poi introdotto correttivi e deroghe che rappresenterebbero di fatto un ammorbidimento rispetto alla posizione iniziale. È legittimo domandarsi se ciò costituisca un passo indietro o piuttosto un’evoluzione pragmatica verso una maggiore flessibilità. Per rispondere,
occorre analizzare i motivi tecnici e strategici dietro questo dibattito.

Neutralità tecnologica, valutazione LCA e tank-to-wheel

Uno dei nodi fondamentali è se la politica climatica debba essere tecnologicamente neutrale oppure prescrittiva riguardo alle soluzioni. L’approccio iniziale della regolazione UE sulle emissioni delle auto è stato, di fatto, non neutrale: imponendo emissioni nulle allo scarico dal 2035, indirizzava il mercato verso veicoli elettrici a batteria (BEV) o a idrogeno, escludendo i veicoli con motore a combustione interna alimentati da carburanti liquidi o gassosi, anche qualora questi carburanti fossero stati a zero emissioni nette di carbonio.

In altre parole, il quadro regolatorio assumeva una metrica tank-to-wheel, considerando le sole emissioni dirette allo scarico. Questo approccio presenta il vantaggio della semplicità – le emissioni allo scarico di un veicolo elettrico sono inequivocabilmente zero, quelle di un motore a combustione interna tradizionalmente alimentate con carburante fossile evidentemente non lo sono –, ma non incorpora la fase well-to-tank né, più in generale, le emissioni indirette lungo il ciclo di vita del veicolo e del vettore energetico.

Tuttavia, con la revisione annunciata dalla Commissione, tale rigidità è stata mitigata: il passaggio al target 90% e l’ammissione di compensazioni reintroducono margini di neutralità tecnologica, permettendo la sopravvivenza di motori termici alimentati a carburanti carbon neutral.

Compensare le emissioni allo scarico

Il nuovo pacchetto introdurrà una novità storica, ovvero la possibilità di compensare, a monte, le emissioni allo scarico.
Questa misura rappresenta, seppur in modo indiretto, la prima deroga ufficiale al principio tank-to-wheel, riconoscendo un valore normativo agli sforzi di decarbonizzazione nella fase di produzione e aprendo, di fatto, a una prospettiva maggiormente coerente con l’approccio di LCA.

Del resto, molti contributi scientifici sottolineano che, ai fini climatici, è dirimente la CO₂ emessa complessivamente lungo l’intera filiera, includendo la produzione dell’energia o del carburante, la fabbricazione del veicolo e il relativo smaltimento a fine vita, e raccomandano valutazioni basate su LCA anziché su metriche esclusivamente tailpipe (relative al tubo di scarico) o tank-to-wheel [12].
La produzione di un’auto elettrica, in particolare della batteria, è caratterizzata da un’elevata intensità energetica e comporta emissioni iniziali superiori rispetto alla produzione di un’auto a combustione interna convenzionale, come ampiamente documentato dalla letteratura [13].

Inoltre, qualora l’elettricità utilizzata per la ricarica dei veicoli elettrici a batteria provenga in larga misura da fonti fossili, le emissioni a monte associate alla generazione elettrica e all’estrazione dei combustibili possono ridurre significativamente, o in alcuni casi annullare, il beneficio climatico nella fase d’uso.

Una revisione sistematica di studi LCA evidenzia infatti che, in regioni caratterizzate da un mix elettrico fortemente dipendente dal carbone, i veicoli elettrici possono presentare emissioni complessive di gas serra comparabili o persino superiori a quelle di veicoli tradizionali particolarmente efficienti [14] .

Il bilancio ambientale

Ora è necessario sottolineare come in Europa la crescente penetrazione delle fonti rinnovabili nel mix elettrico rende già oggi i BEV nettamente più vantaggiosi in termini di emissioni sull’intero ciclo di vita.

Uno studio dell’International Council on Clean Transportation condotto nel 2021 stima che un’auto elettrica di medie dimensioni in Europa generi circa il 66-69% di emissioni di CO₂ in meno lungo il ciclo di vita rispetto a un’auto a benzina equivalente, con differenze che si assottigliano gradualmente passando dagli Stati Uniti (60-68%), alla Cina (37-45%) sino ad arrivare
all’India (19-34%) [15] .

Allo stesso modo, uno studio del Parlamento europeo indica che un BEV già oggi riduce di circa 60% la carbon footprint rispetto a un modello benzina, considerando l’attuale mix energetico europeo e che le prospettive future indicano, entro il 2030, una riduzione del 78% ed entro il 2050 dell’86% [16].

Ne consegue che il bilancio ambientale dipende in misura determinante dalle modalità di produzione dell’energia, rendendo la decarbonizzazione dei sistemi
elettrici una condizione imprescindibile per il successo dell’elettrificazione dei trasporti.

In ogni scenario, tuttavia, il criterio metodologicamente corretto per la valutazione delle prestazioni ambientali resta l’approccio LCA, che considera l’intero ciclo di vita del veicolo e dei vettori energetici.

In riconoscimento di tale esigenza, la stessa UE aveva previsto lo sviluppo di una metodologia LCA comune per auto e veicoli commerciali leggeri entro il 2025, a conferma dell’intenzione di superare in prospettiva una valutazione basata esclusivamente sulle emissioni allo scarico – e al fine di valutare in futuro le prestazioni ambientali delle diverse soluzioni su basi più omogenee e armonizzate.

Cosa implica la neutralità tecnologica

Adottare la neutralità tecnologica significa fissare obiettivi ambientali misurabili e lasciare che sia l’industria a individuare le tecnologie più idonee per conseguirli – siano esse elettrificazione, celle a combustibile a idrogeno, combustibili sintetici o biocarburanti.

In altri termini, si tratta di evitare l’imposizione ex ante di un vincitore tecnologico, valutando invece le soluzioni sulla base dei risultati effettivi in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

Numerosi contributi accademici sostengono questo approccio, evidenziando come la neutralità tecnologica favorisca la competizione e l’innovazione e consenta di individuare configurazioni più efficienti nel medio- lungo periodo, in base alla geografia e alle risorse disponibili.

In questa direzione, un recente studio mostra che una strategia efficace di decarbonizzazione del parco auto globale richiede una combinazione di interventi: da un lato, l’accelerazione dell’elettrificazione; dall’altro, la riduzione
delle emissioni della flotta esistente di veicoli a combustione interna mediante l’impiego di alternative fuel.

Gli autori osservano che un divieto totale dei motori a combustione, considerato isolatamente, produce un impatto relativamente limitato sulle emissioni complessive, mentre un approccio integrato che combini nuovi veicoli elettrici a batteria e carburanti a zero o basse emissioni per i veicoli rimanenti consente una riduzione più rapida ed efficace delle emissioni globali [17] .

I combustibili a basso impatto climatico

Questo punto è particolarmente rilevante se si considera che nel 2035 i milioni di veicoli a combustione interna già circolanti non scompariranno dalla rete stradale europea e che, fino al 2034, continueranno a essere immatricolati nuovi veicoli termici.

Per ridurre le emissioni associate a tali veicoli lungo la loro vita utile, le leve disponibili restano il miglioramento dell’efficienza energetica e l’utilizzo di combustibili a basso impatto climatico, quali biocarburanti e carburanti
sintetici
, ora legittimati non più come soluzione transitoria, ma come parte integrante della strategia di lungo termine.

Non sorprende, pertanto, che ci sia stato – e sia tutt’oggi in corso – un intenso
dibattito sul ruolo dei carburanti alternativi nel trasporto stradale, dibattito che si riflette direttamente anche nella discussione legislativa europea.

I principali nodi del confronto riguardano, da un lato, la maggiore efficienza energetica dei veicoli elettrici rispetto ai veicoli a combustione interna in termini di utilizzo dell’energia primaria e, dall’altro, i costi comparati delle diverse tecnologie, inclusi quelli associati alla produzione e alla distribuzione dei carburanti alternativi emergenti.

Alla luce di tali elementi, risulta opportuno analizzare più nel dettaglio il potenziale e i limiti delle principali alternative all’elettrificazione diretta, al fine di valutarne il possibile ruolo in un futuro mix tecnologico per la decarbonizzazione dei trasporti.

Le lternative alla sola elettrificazione

La via maestra indicata dalle politiche dell’UE per la decarbonizzazione del trasporto stradale leggero, anche al netto delle ultime aperture della Commissione verso i combustibili alternativi (idrogeno, e-fuel, biocarburanti ed extended-range electric vehicles), resta l’elettrificazione attraverso i BEV, alimentati da energia prodotta da fonti rinnovabili.

I progressi in questa direzione sono evidenti: nei primi dieci mesi del 2025 la quota di mercato dei BEV si è attestata intorno al 16%, con alcuni Paesi del Nord Europa che hanno già superato il 50% delle vendite di nuove autovetture [18].

Tuttavia, come evidenziato da numerosi studi, la diffusione su larga scala dei BEV presenta sfide rilevanti legate alla disponibilità di capacità di generazione
elettrica aggiuntiva e all’adeguamento delle reti di trasmissione e distribuzione, alla capillarità e affidabilità delle infrastrutture di ricarica, nonché all’approvvigionamento di materie prime critiche per la produzione delle batterie, in particolare litio, nichel e cobalto [19].

In Italia, la transizione procede più lentamente: i BEV rappresentano solo il 5% delle vendite nel 2025, un valore significativamente inferiore alla media europea, anche a causa di un ritardo nello sviluppo delle infrastrutture di ricarica ad alta potenza (nonostante gli oltre 70.000 punti di ricarica installati
complessivamente) e di una discontinuità nei meccanismi di incentivazione pubblica – tema strettamente connesso all’alto costo iniziale per l’acquisto di un BEV [20] .

Ciò rende il caso italiano particolarmente emblematico, poiché evidenzia come differenze geografiche, economiche e infrastrutturali possano influenzare la velocità della transizione verso l’elettrico.

Ed è proprio in scenari come questo che il ruolo delle tecnologie alternative e complementari diventa non solo utile, ma necessario per non lasciare indietro intere fasce di popolazione nel percorso di decarbonizzazione.

L’idrogeno

Utilizzato in celle a combustibile genera elettricità a bordo senza emissioni allo scarico (producendo solo vapore acqueo). L’idrogeno verde – prodotto da elettrolisi con elettricità rinnovabile – è un vettore energetico pulito, ma presenta ancora diversi ostacoli: bassa efficienza complessiva (molta energia richiesta per produrlo), problematiche di stoccaggio e distribuzione (serve una rete di stazioni di rifornimento H₂ ad alta pressione) e costi elevati della tecnologia delle fuel cell.

Inoltre, l’idrogeno verde rappresenta meno dell’1% della produzione complessiva a livello mondiale [21] .

Per le autovetture private, i veicoli a idrogeno appaiono al momento meno competitivi dei BEV, mentre l’idrogeno potrebbe giocare un ruolo importante per veicoli pesanti, trasporto merci a lungo raggio e settori difficili da elettrificare, detti hard-to-abate (come navi, aerei, ferrovie non elettrificate e usi industriali).

Tuttavia, la mobilità ad idrogeno presenta già oggi alcuni vantaggi, quali breve tempo di ricarica, il limitato incremento di peso del sistema all’aumentare della potenza nominale, un’ottima autonomia e la minore dipendenza da terre rare difficilmente reperibili – pur necessitando, tra gli altri, di platino –, seppur come detto, i veicoli fuel cell raggiungano efficienze dell’ordine del 50-60% rispetto a valori dell’ordine del 75-85% dei BEV [22] .

Alcuni produttori automobilistici (soprattutto asiatici) continuano a sviluppare modelli a idrogeno, ma in Europa il focus principale rimane sulle batterie per le auto. In ogni caso, l’idrogeno rappresenta una opzione valida di medio-lungo periodo che l’UE sta incentivando non solo tramite la Hydrogen Strategy e i progetti IPCEI sull’idrogeno, ma anche con il Regolamento AFIR, che impone l’installazione di stazioni di rifornimento di idrogeno in tutti i nodi urbani e ogni 200 km lungo la rete centrale TEN-T.

Per i motivi esposti la mobilità a idrogeno non deve essere considerata come antagonista della mobilità elettrica, ma piuttosto come una sua complementarità.

Carburanti sintetici o e-fuel

Gli e-fuel e i carburanti sintetici sono combustibili liquidi o gassosi prodotti artificialmente attraverso un processo che combina idrogeno (ottenuto dall’elettrolisi dell’acqua) e anidride carbonica catturata dall’atmosfera o da processi industriali (come Power-to-Liquid per produrre e-diesel, oppure Power-to-Gas per e-metano).

L’idea è che, utilizzando energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili, si ottiene un carburante che può alimentare i motori a combustione interna, emettendo durante l’uso una CO₂ che equivale a quella precedentemente sottratta all’atmosfera per produrli, risultando quindi carbon neutral.

Il vantaggio maggiore degli e-fuel è che sono compatibili con gli attuali motori e con le infrastrutture di distribuzione: possono alimentare le auto esistenti riducendo subito le emissioni senza dover sostituire l’intero parco veicolare.

Inoltre, hanno una densità energetica elevata simile ai carburanti tradizionali, utile per applicazioni in cui peso e volume delle batterie sono critici (come per il trasporto aereo e marittimo).

Pertanto, se la transizione all’elettrico non dovesse avvenire rapidamente come previsto, i carburanti sintetici rappresenterebbero una tra le opzioni più promettenti per ridurre le emissioni nel trasporto su strada nel breve-medio periodo.

Tuttavia, gli e-fuel presentano anche notevoli svantaggi: oggi il loro processo produttivo è inefficiente, in quanto solo una frazione dell’energia elettrica iniziale finisce nell’energia erogata alle ruote, presentando efficienze complessive dell’ordine del 20% [23] – molto meno rispetto a usarla direttamente in un BEV – e costoso, con prezzi che possono superare anche i 5€/litro – anche se la crescita della produzione e della domanda potrà portare in futuro alla sua riduzione.

Inoltre, alcune stime indicano che, a parità di distanza percorsa, un’auto a e-fuel emetterebbe circa 5 volte più emissioni di un’auto elettrica [24] . In un mondo in cui l’elettricità verde è ancora scarsa, destinare grandi quantità alla produzione di combustibili per auto potrebbe essere difficilmente giustificabile. Inoltre, i carburanti sintetici, se bruciati nei motori, producono comunque inquinanti locali atmosferici (come NOx, CO e particolato).

Per queste ragioni, molti analisti vedono gli e-fuel più adatti a settori hard-to-abate come aviazione e marittimo, dove non esistono alternative elettriche ad oggi praticabili, piuttosto che all’utilizzo diffuso nelle auto.

In tale ottica, l’investimento negli e-fuel da parte di alcuni costruttori europei (specie di auto sportive) mira a decarbonizzare i motori ad alte prestazioni, offrendo parallelamente una soluzione tecnica in grado di preservare l’operatività del parco auto storico e collezionistico.

I biocarburanti

I biocarburanti rappresentano una fonte di energia derivata da materie prime rinnovabili, come biomasse vegetali o animali, che può essere utilizzata nei trasporti per sostituire, in tutto o in parte, i combustibili fossili tradizionali.

Essi sono prodotti a partire da biomasse di scarto, residui agricoli e forestali, oli vegetali esausti o colture non alimentari. La loro potenziale riduzione delle emissioni nette di CO₂ deriva dal fatto che il carbonio rilasciato in fase di combustione è di origine biogenica, ossia proviene da CO₂ precedentemente assorbita dall’atmosfera dalle piante durante il loro ciclo di crescita, e non da carbonio fossile immagazzinato nel sottosuolo.

In un’ottica di LCA, ciò può tradursi in un bilancio emissivo complessivamente inferiore rispetto ai carburanti fossili, a condizione che le biomasse impiegate siano effettivamente sostenibili e che non si generino emissioni indirette significative (come quelle legate al trasporto delle biomasse o associate ai cambiamenti indiretti di uso del suolo).

L’UE già promuove l’uso di biocarburanti sostenibili nei trasporti (tramite la direttiva RED III), ma nel settore auto l’impatto finora è stato limitato a miscele
a bassa percentuale con carburanti fossili.

Biocarburanti quali l’HVO (olio vegetale idrogenato), che possono essere utilizzati anche in purezza negli attuali motori diesel senza necessità di modifiche, potrebbero teoricamente consentire l’alimentazione di motori a combustione interna con un bilancio emissivo prossimo alla neutralità climatica, sino a valori del 90%, se valutato su base life cycle.

L’Italia, peraltro, è all’avanguardia in alcune filiere di biofuel: ENI produce HVO in due raffinerie riconvertite, e il governo italiano ha fortemente sostenuto il riconoscimento dei biocarburanti come alternativa possibile al 2035 (del resto, “se sono carbon neutral, perché escluderli?”), trovando riscontro decisivo nelle recenti aperture della Commissione, che ha valutato la categoria dei biocarburanti come valida per il post-2035, superando la precedente rigidità che
ammetteva solo gli e-fuels.

Tuttavia, una delle principali criticità è la scarsa disponibilità di biomassa: l’ONG Transport&Environment stima che considerandoli pienamente tra le soluzioni energetiche per la transizione dei trasporti su strada, i biofuels non basterebbero: la domanda aggregata per auto, aerei e navi, al 2050, sarebbe tra le 2 e le 9 volte superiore a quanto si può produrre in modo sostenibile [25].

Ad oggi emerge pertanto un chiaro vincolo di scala: i biocarburanti possono contribuire alla decarbonizzazione del trasporto stradale solo in misura parziale, ma non risultano in grado di sostituire integralmente la benzina e il gasolio attualmente utilizzati dal parco circolante europeo, composto da oltre 300 milioni di autovetture.

Un loro impiego su larga scala comporterebbe infatti il rischio di significativi impatti indiretti, quali fenomeni di deforestazione e cambiamenti indiretti di uso del suolo (ILUC), nonché criticità di natura etica legate alla competizione con la produzione alimentare o con altri usi della biomassa.

I veicoli ibridi plug-in (PHEV)

Un fronte compatto di Stati – tra cui Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria – ha esercitato una forte pressione per non escludere i veicoli ibridi plug-in (PHEV) dallo scenario post-2035.

I PHEV combinano un motore elettrico e un motore a combustione interna e, in linea teorica, consentono di effettuare gli spostamenti urbani in modalità esclusivamente elettrica, a zero emissioni allo scarico, utilizzando il motore termico per i tragitti di lunga percorrenza.

Tale architettura offre una maggiore flessibilità operativa rispetto ai veicoli convenzionali, in particolare nei contesti caratterizzati da un uso misto urbano-extraurbano.

Tuttavia, l’efficacia ambientale dei veicoli ibridi plug-in dipende in misura determinante dalle modalità di utilizzo e, in particolare, dalla frequenza di ricarica della batteria: in assenza di una ricarica regolare, le emissioni reali possono risultare comparabili a quelle di veicoli a combustione interna convenzionali di pari segmento.

La Commissione europea, nell’ambito della clausola di revisione prevista dal Regolamento in parola, era chiamata a valutare nel 2026 i progressi tecnologici e di mercato, inclusa l’eventuale disponibilità di veicoli con emissioni reali prossime allo zero che potessero contribuire al conseguimento degli obiettivi climatici oltre il 2035.

In tale contesto, era stata esplicitamente richiamata la possibilità di esaminare lo sviluppo di ibridi di nuova generazione, qualora in grado di garantire prestazioni emissive coerenti con i target di lungo periodo.

Nell’anticipare la clausola di revisione, la Commissione ha ora aperto concretamente alla possibilità di salvare i veicoli ibridi plug-in. Allo stato attuale, tuttavia, la letteratura scientifica e le evidenze empiriche convergono nel ritenere i veicoli ibridi plug-in una soluzione transitoria, potenzialmente utile nel breve periodo per ridurre i consumi e le emissioni in specifiche condizioni di utilizzo, ma non assimilabile a una soluzione strutturale a zero emissioni [26] [27] [28].

Con l’apertura della Commissione si configura, pertanto, una nuova sfida per i costruttori: sviluppare sistemi in grado di risolvere tecnologicamente la garanzia dell’uso a zero emissioni nette.

Gli extended-range electric vehicles (EREV)

In questo scenario di rinnovata flessibilità tecnologica, una delle soluzioni che potrebbe beneficiare delle nuove aperture della Commissione è quella degli extended-range electric vehicles (EREV).
Gli EREV presentano un’architettura in serie: la trazione è affidata al motore elettrico, mentre il motore a combustione interna funge da generatore di bordo per ricaricare la batteria quando il livello di carica scende sotto una certa soglia.

Il principio di funzionamento teorico offre vantaggi termodinamici evidenti: essendo il regime del motore termico disaccoppiato dalla velocità del veicolo, il generatore può operare prevalentemente nei punti di massima efficienza, ottimizzando il consumo specifico.

Questa configurazione riduce l’ansia da autonomia [29] , permettendo percorrenze combinate che, secondo alcuni costruttori, possono superare anche i 1000 km.

Tuttavia, l’analisi delle emissioni reali svela complessità che richiedono un’attenta valutazione tecnica. È bene sottolineare come il risparmio di carburante sia da tempo l’obiettivo fondamentale nelle strategie di gestione degli EREV, mentre poche ricerche hanno considerato le emissioni di guida reali.

Studi recenti evidenziano che la gestione energetica degli EREV comporta frequenti accensioni e spegnimenti del motore termico (start-stop events). Queste fasi transitorie generano picchi anomali di inquinanti se non gestite da adeguate strategie di controllo; viceversa, in presenza di ottimizzazioni specifiche, le emissioni locali di NOx e CO possono essere ridotte fino al 70% rispetto alle strategie convenzionali prive di vincoli emissivi – ovvero basate esclusivamente sulla minimizzazione dei consumi di carburante.

Inoltre, il dibattito sulla loro sostenibilità rimane aperto.
Analisi come quelle di Transport&Environment, definiscono gli EREV una potenziale distrazione costosa. I dati mostrano che, una volta esaurita la batteria (che garantisce autonomie reali medie tra gli 85 e i 185 km), questi veicoli – spesso SUV pesanti – registrano consumi medi di 6,4 litri/100 km, comparabili a un’auto a benzina convenzionale.

Il rischio è che in assenza di una ricarica regolare l’impatto climatico possa avvicinarsi a quello dei PHEV, le cui emissioni reali risultano fino a 3,6 volte superiori ai valori dichiarati.

Mentre in Cina il mercato degli EREV è esploso con una crescita del 79% nel 2024 (1,2 milioni di unità), in Europa rimangono per ora una nicchia [30] .
La sfida regolatoria per la Commissione sarà dunque quella di monitorare che questa tecnologia, pur teoricamente valida in termini di efficienza del motore, non si traduca nell’uso quotidiano in una configurazione di fatto assimilabile a un veicolo a combustione interna, con il rischio di vanificare gli obiettivi di decarbonizzazione.

Risulterà pertanto cruciale verificare se, nel contesto d’uso europeo, il range extender opererà effettivamente come sistema di supporto occasionale o se, al contrario, un utilizzo preponderante del motore termico renderà necessari, in futuro, correttivi normativi mirati fondati sulle evidenze empiriche dei monitoraggi reali su strada.

Prospettive future

Elettrificazione a batteria, idrogeno, e-fuel, biocarburanti e veicoli ibridi rappresentano tessere di un mosaico tecnologico in continua evoluzione. Ciascuna soluzione presenta vantaggi e criticità in termini di efficienza energetica, costi, requisiti infrastrutturali e potenziale di riduzione delle emissioni lungo l’intero ciclo di vita.

Adottare concretamente il principio di neutralità tecnologica – come sembrano confermare gli ultimi orientamenti europei – implica mantenere aperto il ventaglio delle opzioni disponibili e consentire al mercato di individuare le soluzioni più efficaci, purché orientato da un quadro regolatorio chiaro e coerente, fondato su obiettivi ambientali misurabili e su criteri di valutazione basati sulle prestazioni effettive in termini ambientali, economiche e sociali.

È plausibile che nel prossimo futuro l’automobile sarà prevalentemente elettrica, ma con quote residue – limitate a specifici segmenti o profili di utilizzo – di veicoli alimentati da carburanti rinnovabili (biocarburanti ed e-fuel) e, verosimilmente, una nicchia di applicazioni basate sull’idrogeno.

In ogni caso, il contributo effettivo di ciascuna opzione alla decarbonizzazione potrà essere valutato correttamente solo attraverso un’analisi dell’impronta ambientale complessiva.

Una transizione elettrica tout court ha effettivamente senso solo se accompagnata da una profonda decarbonizzazione del sistema elettrico e da ingenti investimenti per l’adeguamento delle reti di trasmissione e distribuzione.

Diversamente si rischia di spostare il problema altrove nella filiera. La nuova frontiera normativa deve essere dunque l’integrazione stabile del metodo LCA nei meccanismi regolatori, unico strumento in grado di certificare la reale sostenibilità ambientale, economica e sociale delle diverse trazioni, superando definitivamente l’approccio fondato esclusivamente sul calcolo emissioni allo scarico.

Impatti industriali e contesto geopolitico del settore automotive

Il passaggio ai veicoli elettrici e, più in generale, la transizione ecologica nel settore automotive presentano implicazioni profonde non solo sul piano ambientale, ma anche sotto il profilo economico, sociale e geopolitico.

L’Europa rappresenta storicamente uno dei principali poli mondiali dell’industria automobilistica: secondo i dati dell’Associazione Europea dei Costruttori di
Automobili (ACEA), il settore automotive impiega circa 13 milioni di persone nell’UE, considerando sia l’occupazione diretta sia quella indiretta lungo l’intera catena del valore (produzione di veicoli, componentistica e servizi connessi).

Il comparto contribuisce inoltre per circa l’8% del PIL dell’UE [31] e costituisce uno degli assi portanti della base industriale europea, con leadership consolidate in Paesi quali Germania, Francia, Italia e Spagna.

Una trasformazione tecnologica così radicale come l’elettrificazione incide in modo trasversale sull’intera filiera produttiva: i veicoli elettrici a batteria presentano un’architettura significativamente più semplice dal punto di vista meccanico, richiedendo un numero inferiore di componenti legati al powertrain
tradizionale a fronte di una maggiore incidenza di componenti elettriche, elettroniche e software, quali batterie, inverter, motori elettrici e sistemi di gestione dell’energia.

Ciò comporta il rischio potenziale di una riduzione dell’occupazione in alcuni segmenti della filiera tradizionale legata ai motori a combustione interna e, al contempo, la necessità di una profonda riqualificazione professionale verso nuove competenze, in particolare nei campi della chimica delle batterie, dell’elettronica e dei sistemi digitali per la gestione dell’energia e dei veicoli. Studi di associazioni di settore, come quello di CLEPA (European association of automotive suppliers), hanno stimato che una transizione accelerata ai BEV potrebbe portare entro il 2030 a una riduzione di circa 350.000 posti di lavoro nel settore della componentistica auto in Europa [32], se non accompagnata da misure di just transition.

La semplificazione strutturale dell’architettura dei veicoli elettrici, sommata all’aggressiva competizione asiatica, ha trasformato quello che inizialmente era percepito solo come un rischio in realtà concreta.

Questa tendenza ha trovato riscontro nelle crisi industriali esplose tra il 2024 e il 2025, caratterizzate da storiche riduzioni di organico anche all’interno di colossi tedeschi e italiani.

I dati sono eloquenti: nell’ultimo anno, l’industria automobilistica tedesca ha perso 48.700 posti di lavoro. Questo calo del 6,3%, registrato nei primi nove mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024, rappresenta la flessione più rilevante registrata nei settori industriali con più di 200mila occupati. Anche in Italia, la situazione è particolarmente delicata.

Tre linee di intervento prioritarie

Come sottolineato da ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) – in uno studio realizzato in collaborazione con Agenzia ICE e UCIMU-Sistemi per produrre [33] – le potenziali ricadute occupazionali potrebbero raggiungere valori dell’ordine di 40 mila posti di lavoro.

Inoltre, nello studio sono individuate come prioritarie tre linee di intervento:

  • favorire la crescita dimensionale e l’aggregazione delle imprese per rafforzarne capacità innovativa e competitività;
  • sviluppare R&D, competenze tecnologiche e internazionalizzazione per presidiare i nuovi domini dell’automotive;
  • sostenere la produzione locale e la riconversione industriale, attraverso incentivi mirati, investimenti produttivi e politiche attive per la tutela dell’occupazione.

In quest’ottica, già in passato, il Comitato europeo delle Regioni aveva invocato politiche ad hoc come un Just Transition Fund per l’automotive al fine di aiutare le regioni più colpite dalla transizione del settore auto.

La sfida per l’Europa

La transizione offre anche delle opportunità: la domanda di nuove figure professionali e lo sviluppo di filiere emergenti – come il riciclo delle batterie, la produzione di semiconduttori e lo sviluppo di infrastrutture di ricarica – potrebbero creare nuovi posti di lavoro qualificati.

La sfida per l’Europa è gestire attivamente questa riconversione con investimenti in formazione, piani industriali (si pensi all’European Battery Alliance e ai progetti IPCEI Batteries), incentivi per attrarre imprese, e meccanismi di sostegno ai lavoratori coinvolti.

Un segnale decisivo in questa direzione è arrivato proprio il 16 dicembre con il lancio del Battery Booster: un pacchetto finanziario da 1,8 miliardi di euro mirato ad accelerare lo sviluppo di una catena del valore fully EU-made.

La misura prevede 1,5 miliardi in prestiti a tasso zero per i produttori di celle, un
intervento cruciale per abbattere il costo del capitale, migliorare la competitività del settore e garantire il derisking dai player globali dominanti.

L’obiettivo, rafforzato da queste nuove risorse, è sviluppare una capacità produttiva di batterie nell’UE competitiva in termini di costi, in grado di coprire una quota significativa della domanda interna e di generare valore aggiunto lungo l’intera catena di approvvigionamento europea.

Inoltre, studi di settore affermano che perdita di posti di lavoro nella produzione di veicoli (e componenti) a combustione interna potrebbe essere compensata, almeno in parte, dalla creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro nell’ecosistema dell’auto elettrica: oltre 100.000 nuovi impieghi nella produzione di batterie entro il 2030 e circa 120.000 nel settore della ricarica entro il 2035 [34] .

La sfida è quindi trasformare gli obiettivi climatici in un volano per rinnovare la leadership industriale europea invece che in un progressivo declino. Ma il risultato non è scontato e si intreccia inevitabilmente con le dinamiche geopolitiche globali.

Il fattore geopolitico: il ruolo della Cina

Un elemento cruciale del contesto odierno è infatti la competizione internazionale nel settore dei veicoli elettrici (EV).

Negli ultimi anni, la Cina ha assunto una posizione dominante nella produzione di veicoli elettrici e, soprattutto, delle batterie. Le vendite globali di veicoli elettrici hanno superato i 17 milioni di unità nel 2024, raggiungendo una quota di mercato superiore al 20% delle nuove immatricolazioni a livello mondiale.

La Cina ha confermato la propria leadership, con i veicoli elettrici che hanno rappresentato quasi la metà delle vendite di auto nuove nel 2024, con oltre 11 milioni di veicoli elettrici venduti nel Paese nello stesso anno.

Grazie a questa crescita, circa un’auto su dieci in Cina è oggi elettrica. In Europa, le vendite di veicoli elettrici hanno mostrato una fase di stagnazione nel 2024, in parte riconducibile alla riduzione o alla cessazione dei programmi di sussidio e di altre misure di sostegno; tuttavia, la quota di mercato si è mantenuta intorno al 20%, grazie a dinamiche differenziate tra i Paesi membri, con incrementi in alcuni mercati che hanno compensato le flessioni in altri [35] . Nel 2024 le importazioni di EV dell’UE dalla Cina hanno superato le 400.000 unità, rappresentando circa il 60% del totale delle importazioni di EV dell’UE, un livello sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente.

Ma, come sottolineato da ACEA, nel triennio 2020–2023, la quota di mercato delle autovetture elettriche a batteria prodotte in Cina sul totale delle vendite nell’UE è cresciuta rapidamente, passando da circa 3% a oltre il 20% [36] . Case automobilistiche cinesi stanno entrando in modo sempre più incisivo nel mercato europeo con modelli elettrici caratterizzati da prezzi competitivi, favoriti da significative economie di scala e da forme di sostegno pubblico lungo la filiera industriale.

Inoltre, la Cina controlla gran parte della catena del valore delle batterie: oltre il 70% delle batterie per EV sono prodotte in Cina.

La dipendenza dell’Europa

Questa situazione pone l’Europa in una posizione di potenziale dipendenza strategica per la fornitura di componenti per la mobilità elettrica, ironicamente mentre cerca di liberarsi dalla dipendenza dal petrolio.

La questione ha assunto una chiara dimensione politica e commerciale: nel 2023 la Commissione europea ha avviato un’indagine anti-sussidi sulle importazioni di veicoli elettrici a batteria dalla Cina [37] e nel 2024 ha deciso l’introduzione di dazi compensativi sulle auto elettriche cinesi.

Tali misure prevedono aliquote differenziate per produttore, con livelli medi
intorno al 20% [38] , al fine di contrastare gli effetti distorsivi sul mercato europeo derivanti dai sussidi statali concessi da Pechino.

Questo ha segnato un irrigidimento nelle relazioni commerciali UE-Cina, con quest’ultima che ha presentato un ricorso all’Organizzazione mondiale del
commercio (WTO) contro i dazi dell’UE sulle importazioni degli EV made in China.

Nel frattempo, i costruttori cinesi stanno reagendo aprendo stabilimenti in Europa (BYD è presente in Ungheria e in Turchia, dove l’avvio della produzione è previsto per il 2026, e Chery ha aperto il suo primo stabilimento produttivo europeo in Spagna) per bypassare i dazi, seguendo l’esempio di quanto fatto in altri settori.

Alcune simulazioni di rischio della BCE indicano che, se l’industria europea
non risponde adeguatamente, entro pochi anni la produzione domestica di EV nell’UE potrebbe crollare del 70%, con i produttori europei che vedrebbero la loro quota di mercato globale ridursi di un ulteriore 30%, e con la Cina che guadagnerebbe circa 60 punti percentuali di market share globale [39] .

Si tratta di scenari allarmanti, che spiegano perché l’UE stia cercando di proteggere la propria industria (non solo con dazi, ma anche con il Net-Zero Industry Act e incentivi per la localizzazione di impianti di batterie e veicoli in Europa).

La decarbonizzazione nel quadro geopolitico

In questo quadro geopolitico, la scelta delle modalità di decarbonizzazione del settore automobilistico non può essere neutro.

Un orientamento esclusivo verso i veicoli elettrici a batteria, in assenza dello sviluppo di filiere industriali europee robuste e resilienti, rischierebbe di tradursi in un semplice spostamento della dipendenza strategica: dalla dipendenza energetica da petrolio a una dipendenza tecnologica e industriale da Paesi extra-UE, in primis la Cina.

Al contrario, mantenere un ventaglio di soluzioni tecnologiche – includendo, accanto all’elettrificazione, opzioni quali e-fuel e idrogeno, i cui input potrebbero essere in parte autoprodotti in Europa grazie alle fonti rinnovabili – rappresenta anche una necessaria strategia di mitigazione del rischio geopolitico.

In questa prospettiva, investire nei combustibili sintetici potrebbe consentire all’Europa di valorizzare le proprie competenze industriali nel power-to-x e di preservare know-how avanzato sui motori a combustione di nuova generazione.

È tuttavia importante chiarire che tali considerazioni rispondono principalmente a logiche industriali e strategiche, più che ambientali. La sfida centrale per le politiche europee è dunque quella di bilanciare queste esigenze con l’urgenza della decarbonizzazione. In definitiva, anche alla luce dei recenti sviluppi, si è ormai consolidata una correzione di rotta rispetto ad un approccio monolitico only electric degli anni passati, in direzione di una maggiore flessibilità tecnologica che coinvolga più soluzioni nella transizione.

Ciò non implica un rallentamento degli sforzi di elettrificazione, sui quali l’Europa ha già investito in modo significativo, ma piuttosto la loro integrazione con altre opzioni, garantendo che la transizione sia sostenibile non solo per il clima, ma anche per la stabilità economica e politica dell’Unione.

Il Pacchetto automotive sposa flessibilità con realismo industriale

La decisione iniziale dell’UE di vietare la vendita di nuove auto a combustione dal 2035 ha rappresentato uno shock politico necessario per allineare il settore automobilistico agli obiettivi di neutralità climatica.

Tuttavia, l’evoluzione del dibattito negli ultimi due anni, culminata negli annunci del 16 dicembre, ha dimostrato che l’implementazione di tale obiettivo richiede flessibilità e realismo industriale.

Definire questa apertura come un passo indietro potrebbe essere fuorviante: più che arretrare sull’impegno climatico, l’UE ha operato una ricalibrazione strategica del percorso, necessaria per governare le complessità tecnico-economiche emerse e assicurare una transizione sostenibile sotto tutti i profili, ambientale, industriale e sociale.

Il principio di neutralità tecnologica, ora riabilitato, garantisce che ogni soluzione venga giudicata sul merito effettivo in termini di riduzione delle emissioni climalteranti lungo l’intero ciclo di vita.

Gli studi scientifici citati confermano l’importanza di questo approccio pluralista: sebbene i veicoli elettrici risultino in media la scelta più efficiente e a basse emissioni (soprattutto se alimentati con energia elettrica green), esistono scenari e nicchie in cui combustibili alternativi e altre tecnologie possono fornire benefici comparabili, contribuendo più rapidamente alla decarbonizzazione. Lasciare aperta la porta a tali soluzioni significa mitigare i rischi – tecnologici (scommettere su una sola tecnologia che potrebbe incontrare degli ostacoli), sociali (perdita di posti di lavoro) e geopolitici (nuove dipendenze) – e
perseguire l’obiettivo climatico in maniera più resiliente e competitiva.

Naturalmente, la neutralità tecnologica non va confusa con l’inazione: richiede anzi un quadro regolatorio più sofisticato, basato su metriche di performance ambientale e meccanismi incentivanti equi.

Qualunque tecnologia alternativa dovrà dimostrare concretamente di contribuire agli obiettivi climatici: gli e-fuels dovranno essere davvero a zero emissioni nette e disponibili in volumi significativi, i biocarburanti dovranno essere realmente sostenibili e limitati a impieghi mirati, l’idrogeno dovrà essere verde e competitivo.

In mancanza di tali requisiti, il loro contributo alla riduzione complessiva delle emissioni rimarrebbe marginale. La scienza e i dati dovranno guidare queste valutazioni, e l’auspicio è che la crescente letteratura tecnico-scientifica – come quella qui discussa – fornisca supporto per le scelte politiche.
In conclusione, l’UE ha confermato la volontà di ricalibrare la propria strategia sul futuro dell’auto.
Non si tratta di un dietrofront sugli obiettivi climatici, ma di un pragmatico aggiustamento dei mezzi e dei tempi per raggiungerli, che riconosce la necessità di un approccio olistico.

La transizione ecologica del trasporto non sarà un cambio binario da 0 a 1, bensì un processo graduale che coinvolgerà un mix di soluzioni in costante evoluzione.

L’Europa dovrà ora dimostrarsi abile nel governare questa transizione: incentivando l’innovazione nelle tecnologie più promettenti, sostenendo la riconversione industriale e assicurando che le riduzioni di emissioni ottenute siano reali e durature, non solo sul territorio europeo, ma anche a livello globale. Solo così il 2035 potrà segnare non un fallimento o un passo incerto, ma l’inizio concreto dell’era della mobilità climate-neutral, qualunque forma tecnologica essa alla fine assuma.

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