L’Intelligenza Artificiale nella PA è un cambiamento che supera la dimensione puramente tecnologica per investire cultura organizzativa, competenze e modalità di relazione con i cittadini.
Indice degli argomenti
Dall’interrogativo al metodo: l’AI come necessità culturale
Qualche settimana fa si è tenuto l’incontro “Intelligenza Artificiale nella PA – La sfida è oggi”, promosso dalla Città Metropolitana di Napoli con rappresentanti delle istituzioni e del mondo privato. È emerso molto chiaramente che il tempo delle domande preliminari – “se” usare l’intelligenza artificiale nella Pubblica Amministrazione – è definitivamente finito.
Il vero tema su cui riflettere è come integrare l’AI dentro la macchina pubblica in modo responsabile, utile e sostenibile nel tempo. È un passaggio non solo tecnico, ma profondamente culturale, che chiama in causa i processi interni, le competenze delle persone e il modo stesso in cui la PA interpreta il proprio ruolo verso i cittadini.
Ripensare i processi: l’AI come leva di cambiamento organizzativo
Troppo spesso l’AI viene raccontata come un semplice acceleratore di efficienza: ridurre i tempi, automatizzare le risposte, sveltire le pratiche. Tutto vero, ma parziale. L’innovazione più rilevante non sta nel trasformare un procedimento di ieri in un procedimento uguale ma più veloce, bensì nel ripensare il modo in cui quel procedimento esiste, perché esiste, quanto è davvero centrato sui bisogni delle persone.
L’AI, se ben impostata, costringe la PA a porsi domande strutturali: quali passaggi aggiungono valore, quali sono ridondanti, quali controlli possono essere resi automatici e quali, invece, richiedono un supplemento di valutazione umana. È qui che lo strumento tecnologico diventa leva di cambiamento organizzativo.
Decisioni vincolate e discrezionali: dove l’AI può intervenire
In questo quadro si delinea un primo confine importante: quello tra decisioni vincolate e decisioni discrezionali. Nelle prime – dove il quadro normativo definisce con chiarezza requisiti, condizioni e conseguenze – l’AI può essere un alleato potente: supporto alla verifica delle norme applicabili, al controllo di completezza degli atti, alla classificazione e all’estrazione dei dati rilevanti.
Laddove l’amministrazione deve applicare regole predefinite, gli algoritmi possono ridurre errori materiali, tempi di controllo, carico ripetitivo sugli uffici. Nelle decisioni discrezionali, invece, che implicano valutazioni di merito, bilanciamento di interessi, interpretazione del contesto, la responsabilità deve restare saldamente in capo alle persone. L’AI può suggerire scenari, simulare impatti, proporre opzioni, ma non sostituire il giudizio umano, che è anche giudizio etico e istituzionale.
Human in the loop: il nuovo patto tra umano e digitale
Da qui deriva l’idea di una coesistenza strutturata tra umano e digitale: non una competizione, ma un nuovo patto di collaborazione. Il modello “human in the loop” applicato alla PA significa esattamente questo: l’AI prepara, segnala, sintetizza; l’essere umano valuta, decide, firma.
È un ribaltamento importante anche sul piano del lavoro quotidiano: se le macchine assumono una parte del lavoro ripetitivo e standardizzabile, funzionari e dirigenti possono dedicare più tempo alle attività ad alto valore aggiunto – dall’ascolto del territorio alla progettazione di politiche pubbliche, dalla cura delle relazioni istituzionali alla gestione dei casi complessi che non rientrano negli schemi.
AI literacy: formare la PA per governare l’innovazione
Perché questo avvenga, però, non basta introdurre nuovi strumenti: è necessario investire in una vera e propria “AI literacy” all’interno della PA. Non si tratta di trasformare tutti in tecnologi, ma di diffondere una alfabetizzazione minima e autorevole che permetta di comprendere cosa può fare l’AI, cosa non può fare, quali rischi comporta, quali condizioni servono perché funzioni.
I vertici politico-amministrativi devono essere in grado di leggere una proposta progettuale sull’AI, fare le domande giuste, pretendere trasparenza sugli algoritmi, sui dati utilizzati e sui criteri di funzionamento. I funzionari devono saper dialogare con gli strumenti, impostare correttamente le richieste, interpretare i risultati senza subirli.
Le strutture legali e di controllo interno devono conoscere il quadro regolatorio e i principi etici di riferimento per garantire che l’innovazione non indebolisca diritti e tutele. Ancora una volta, insomma, è cruciale scommettere sulle risorse umane, come abbiamo ricordato anche di recente qui su Agenda Digitale.
Il manifesto di Milano: principi etici per l’AI pubblica
In questo senso, alcune esperienze recenti delle città italiane offrono spunti interessanti. Il Comune di Milano, ad esempio, ha scelto di dotarsi di un “Manifesto per l’uso dell’Intelligenza artificiale” presentato nell’ambito della Milano Digital Week 2025: un documento che definisce principi, linee guida e obiettivi per un’AI al servizio della città, dei suoi cittadini e dei valori democratici, stimolando le organizzazioni pubbliche e private a utilizzare algoritmi in modo trasparente, spiegabile e orientato all’equità nell’erogazione dei servizi pubblici. Non è solo una dichiarazione di intenti, ma un quadro di riferimento che rende chiaro – all’interno e all’esterno – che l’AI non è un “giocattolo tecnologico”, bensì uno strumento che deve rispondere a criteri di responsabilità, inclusione, tutela dei diritti.
Julia e il Giubileo: l’AI al servizio dei cittadini a Roma
Il Comune di Roma sta sperimentando l’AI nella relazione con i cittadini e con i visitatori. L’assistente virtuale Julia, sviluppato per il Giubileo 2025, è un esempio concreto di come questa potente tecnologia possa dare origine a un’interfaccia accessibile per informazioni su Giubileo, mobilità, servizi urbani, eventi culturali. È accessibile in modo semplice sulle piattaforme digitali, in grado di interagire in molte lingue, fornisce risposte in tempo reale, liberando risorse umane per le situazioni più complesse e, al tempo stesso, rendendo la città più accogliente. Con l’evoluzione alla versione che integra funzioni come geolocalizzazione e memoria temporanea delle richieste, l’assistente virtuale dimostra come l’AI possa contribuire non solo a risolvere problemi specifici, ma a ridisegnare l’esperienza complessiva di accesso ai servizi.
Misurare l’impatto: dalla sperimentazione alla trasformazione sistemica
Questi casi evidenziano un altro elemento spesso sottovalutato nel dibattito: la necessità di misurare con rigore l’impatto dei progetti di AI nella PA. Non basta annunciare una nuova piattaforma o un nuovo servizio: occorre definire indicatori chiari, come ad esempio tempi medi di risposta, numero di pratiche gestite in digitale, riduzione delle code fisiche, miglioramento della qualità degli atti, grado di soddisfazione degli utenti, monitorarli nel tempo e darne visibilità ai cittadini.
È attraverso una misurazione sistematica e una condivisione trasparente dei risultati che la vera innovazione si distingue dalla sperimentazione episodica e si consolida come parte integrante del funzionamento della macchina pubblica.
Una trasformazione irreversibile: governare il cambiamento
Sul piano più ampio, emerge con forza una consapevolezza: la trasformazione che l’AI sta portando nella Pubblica Amministrazione è irreversibile. Non perché lo imponga una moda tecnologica, ma perché i cittadini, le imprese, la società nel suo complesso si sono abituati a modalità di interazione rapide, personalizzate, accessibili, e si aspettano che anche la PA sia all’altezza di questo standard. Negare o ritardare questa trasformazione significherebbe aumentare la distanza tra istituzioni e comunità, proprio mentre servirebbe colmarla.
Scegliere quale AI: trasparenza e valori costituzionali
Riconoscere l’irreversibilità, tuttavia, non significa accettare un destino preconfezionato. Al contrario, significa assumersi la responsabilità di governare il cambiamento.
La PA, centrale e locale, ha oggi l’occasione di scegliere quale tipo di intelligenza artificiale mettere al servizio del Paese: un’AI opaca, poco comprensibile, percepita come estranea, oppure un’AI trasparente, controllabile, radicata nei valori costituzionali e nel principio di uguaglianza dei cittadini davanti ai servizi. La differenza la farà la capacità di investire sulle persone, sui dati, sulla governance, sulla qualità delle partnership tecnologiche.
E sull’infrastruttura nascosta dell’innovazione nella PA: le relazioni.
La centralità umana nell’era dell’intelligenza artificiale
L’AI non sostituirà le donne e gli uomini che ogni giorno fanno funzionare la Pubblica Amministrazione, ma cambierà radicalmente il modo in cui lavorano, le competenze richieste, le responsabilità da assumere. Perché questo passaggio sia un’opportunità e non un rischio, lo strumento va addestrato, verificato, migliorato nel tempo; e, soprattutto, va compreso.
Solo una PA che conosce e governa i propri strumenti è in grado di utilizzarli per ciò che conta di più: migliorare concretamente la vita dei cittadini, semplificare il rapporto con le istituzioni, rafforzare la fiducia reciproca. In questo senso, l’intelligenza artificiale non è la fine della centralità umana nella PA: al contrario può esserne, se ben guidata, la più potente alleata.












