Nel dibattito sulla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione si parla molto – forse troppo e in troppi – di Intelligenza Artificiale. Ma prima ancora di chiederci “come usarla”, dovremmo porci un’altra domanda, ben più urgente: siamo pronti a usarla davvero?
Lo schema che presento in questo articolo non mostra cosa accade dopo aver introdotto l’IA, ma al contrario ci spiega cosa serve per poterla introdurre con successo.
In altre parole, non è un punto di arrivo, ma una guida ai prerequisiti fondamentali che una PA deve costruire per attivare processi di automazione artificiale credibili e sostenibili.
Indice degli argomenti
Dal software 1.0 al software 2.0: un cambio di paradigma

Sulla sinistra dello schema troviamo il punto di partenza: il mondo del Software 1.0, fatto di sistemi chiusi, rigidi, basati su regole fisse e predeterminate. In una parola: deterministici. Ogni input genera un output prevedibile. Funzionano bene per scenari ripetitivi, ma si bloccano di fronte alla complessità, all’ambiguità o all’imprevisto. È il regno del “fa solo quello per cui è stato programmato”.
A destra invece troviamo l’obiettivo: il Software 2.0, che introduce l’Intelligenza Artificiale, Intelligenza Artificiale generativa e capacità adattive. Qui l’output non è sempre lo stesso: l’IA analizza contesti, elabora soluzioni, propone testi, azioni, scenari. In alcuni casi sostituisce l’essere umano, in altri lo potenzia, suggerendo opzioni, automatizzando task e offrendo risposte più flessibili e contestuali.
Un altro modo di vedere il passaggio tra software 1.0 e 2.0 è dato dallo schema seguente. Il software 1.0 prevede un input e un algoritmo e il risultato è l’output.
E’ come aver gli ingredienti di una torta e la ricetta e ricevere in uscita la torta. Nel software 2.0 avviene una sorta di magia: visto che non riesco a individuare passi deterministici per cui dagli ingredienti arrivo alla torta, ovvero mi manca la ricetta, do in pasto ad algoritmi di machine learning gli ingredienti e la torta (i dati), e l’algoritmo riesce a “scoprire” la ricetta della torta (la funzione matematica che mi porta al risultato). Come ci riesce? Non è ancora chiaro nemmeno a OpenAI (ChatGTP) o Anthropic (che però ci sta lavorando molto e rende pubbliche le sue scoperte su Claude) o Google (Gemini).

Ma attenzione: tra questi due mondi non si passa con un semplice aggiornamento tecnologico. Il salto lo consente l’automazione artificiale, che non è uno strato software in più, ma una trasformazione profonda dei modelli organizzativi e operativi.
I prerequisiti tecnici per introdurre l’IA nella pubblica amministrazione
Ecco perché lo schema iniziale ci mostra, sopra il blocco dell’automazione, tre condizioni abilitanti, che devono essere costruite prima di adottare soluzioni di IA generativa o qualsiasi altro strumento evoluto:
- Cultura del dato: l’IA, specie quella generativa, ha bisogno di dati affidabili, accessibili e governati. Se i dati non sono gestiti, l’output sarà distorto, inefficace o addirittura rischioso o pericoloso. Due domanda su tutte: dove sono i miei dati dopo il PNRR e che qualità hanno?
- Processi e procedure: devono essere chiari, mappati, digitalizzabili. L’uso di tecniche di BPM e un approccio che sia radicale come il Business Process Reengineering (BPR) posso essere applicati anche in una PA dove la sicurezza normativa e difensiva del “si è sempre fatto così” possono essere migliorate dall’automazione. E dove l’automazione è una necessità per sopperire alla mancanza di persone, o alle persone che vanno in pensione e che hanno nella loro testa i processi. Se questi processo non vengono digitalizzati, li avremo persi nelle menti di chi è andato in penso. Al che ci limiteremo ad automatizzare il vuoto o il caos producendo solo Automazione sbagliata o probabilmente inutile. Giusto per dare un punto di vista diverso, alcuni potrebbero dire che questa è un’opportunità per rivedere da zero i processi, partendo da zero e AI-Driven o seguendo appunto il percorso del BPR.
- Interoperabilità: i sistemi devono potersi scambiare dati in modo semplice. Senza questo, ogni nuova applicazione diventa un nuovo silos, e ogni fornitore un mondo a parte, con costi moltiplicati per integrare le soluzioni e depotenziamento dei sistemi di intelligenza artificiale. A oggi sistemi di workflow come non lavorano proprio per il fatto che le soluzioni hanno API di facile collegamento e quindi tali sistemi sarebbero inutilizzabili in un comune visto che gli applicativi non espongono API e non ci sono standard. Vogliamo davvero rimanere all’epoca del pre-AI nella PA?
Organizzazione, competenze e gestione del cambiamento
Sotto l’automazione troviamo ciò che sorregge l’intero edificio:
- Aspetti organizzativi: ruoli chiari, competenze, flussi decisionali. Senza una chiarezza nella situazione organizzativa è difficile “fare AI” semplicemente grazie a soluzioni tecnologiche.
- Gestione del cambiamento: supporto alle persone, formazione, coinvolgimento, abilitazione all’utilizzo dell’AI. Le persone abilitate all’AI sono i migliori campioni digitali che possono trasformare davvero una PA. Sono le persone con profonde competenze di un dominio e basi di AI che possono trovare casi d’uso interessanti per il loro lavoro, non di certi gli esperti di ICT, Inoltre forse è ora di andare oltre gli obiettivi facili e di facciata e parlare di OKR, obiettivi rilassanti ma sfidanti che possono davvero cambiare la PA stessa.
- Competenze per usare l’IA: non serve saper programmare, ma capire come usarla con senso critico, responsabilità e metodo. Ci sono numerosi strumenti low code, no code o generatori di codice: programmare non è mai stato così facile come dal 2022 quando è arrivato ChatGPT. Il tema non è più fare, ma cosa fare, perché fare è diventato estremamente facile. Una persona senza competenze di programmazione può chiedere, oggi, ad esempio a ChatGPT di generare il codice Python per risolvere un problema e poi farsi spiegare come eseguire il codice come fosse un maestro di coding a portata di dita.
Prima le fondamenta, poi l’intelligenza artificiale
È naturale voler parlare di chatbot, copilot, intelligenze generative e automazione. Ma sarebbe come voler arredare una casa prima di gettare le fondamenta.
E si capisce che è più divertente arredarla che costruirla, ma del resto è uno sporco lavoro che qualcuno deve pur fare. E se questo qualcuno si pensa siano come al solito “gli informatici” ci si sta sbagliando di grosso: le migliori soluzioni di AI verranno implementate da esperti di dominio con competenze base di AI, non viceversa, perché solo l’utente finale sa che problemi vanno risolti.
Lo schema che abbiamo visto serve proprio a focalizzare questi concetti: prima di fare Intelligenza Artificiale, servono condizioni organizzative, tecniche e culturali che la rendano possibile e utile. E per farlo bene, serve partire non dalla tecnologia, ma dalla trasformazione profonda della macchina pubblica e, come sempre, dalle persone e dai dati.













