i dATI

Meno lavoro c’è l’AI: traduttori in crisi. Ma chi rischia davvero?



Indirizzo copiato

Microsoft misura l’uso dell’AI nelle attività quotidiane, Yale–Brookings segnala l’assenza di effetti macro, i traduttori vivono un impatto diretto. Tre fonti che raccontano il presente e i possibili scenari futuri

Pubblicato il 7 ott 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



ai giovani lavoro impatto economico dell’intelligenza artificiale legge ai e lavoro

Il dibattito sull’impatto dell’AI nel lavoro oscilla tra la misurazione delle attività reali svolte con Copilot, la difficoltà di osservare effetti occupazionali su larga scala e le testimonianze dirette di categorie già colpite. Traduttori, scrittori, customer service e sales emergono come i più esposti, ma gli scenari futuri dipenderanno dalle scelte organizzative e sociali più che dalla tecnologia in sé.

Come Microsoft ha misurato l’uso reale dell’intelligenza artificiale

Lo studio di Microsoft Research Working with AI ha analizzato oltre 200 mila conversazioni con Bing Copilot raccolte negli Stati Uniti tra gennaio e settembre 2024. Il lavoro introduce una distinzione cruciale tra user goals (gli obiettivi che gli utenti cercano di raggiungere con l’AI) e AI actions (le attività effettivamente svolte dal sistema). Per esempio, un utente può avere come obiettivo raccogliere informazioni su un mercato, mentre l’AI compie l’azione di fornire spiegazioni o sintetizzare dati. Attraverso la tassonomia O*NET, le conversazioni sono state classificate in work activities e misurate secondo tre criteri:

  • livello di successo (task completion),
  • grado di soddisfazione (feedback degli utenti)
  • e ampiezza dell’impatto (scope).

Da qui nasce l’AI applicability score, un indice che segnala quanto un’occupazione sia esposta e assistita dall’uso dell’AI. I risultati mostrano che le attività più frequenti lato utente sono la raccolta di informazioni, la scrittura e la comunicazione; dal lato dell’AI, invece, emergono ruoli di servizio come il coaching, l’insegnamento, il supporto e la consulenza.

Un elemento interessante dello studio è la constatazione che nel 40% delle conversazioni gli obiettivi degli utenti e le azioni effettivamente svolte dall’AI non coincidono. Questo segnala una relazione asimmetrica tra domanda e risposta.

In pratica, spesso l’utente cerca di raggiungere un traguardo concreto, ad esempio stampare un documento o raccogliere dati di mercato, mentre l’AI non compie direttamente quell’attività, ma interviene in modo complementare, fornendo spiegazioni, istruzioni o riassunti già elaborati.

Il ruolo di supporto dell’AI e la distinzione tra automazione e potenziamento

L’AI quindi non replica esattamente il lavoro umano, ma si colloca in un ruolo di supporto, più consulente, insegnante o facilitatore che esecutore. Questa distinzione è cruciale per comprendere la linea sottile tra automazione diretta e potenziamento del lavoro umano.

Le professioni con punteggi più alti di applicabilità comprendono interpreti e traduttori, storici, scrittori e autori, sales, customer service, giornalisti, data scientist, matematici e programmatori CNC.

In fondo alla classifica si collocano invece lavori che implicano attività manuali o fisiche, come infermieri di supporto, autisti, operatori di macchine industriali, addetti alle costruzioni e agricoltori.

Questa polarizzazione conferma che l’AI generativa colpisce soprattutto il lavoro cognitivo e comunicativo, mentre resta marginale in ambiti a forte componente fisica o relazionale diretta.

Il divario tra dati micro e macro secondo Yale-Brookings

Questi dati micro, fondati sull’uso effettivo, dialogano con l’analisi Yale–Brookings dove si osserva che l’impatto dell’AI non è ancora riscontrabile nei dati macro su occupazione e disoccupazione. Le metriche di esposizione e automazione non mostrano correlazioni solide. In altre parole, se Microsoft ci dice dove l’AI viene usata nelle attività quotidiane, Yale–Brookings ci ricorda che non vediamo ancora un effetto sistemico nei numeri del mercato del lavoro.

Traduttori: un settore già in trasformazione accelerata

In questo quadro si inserisce la vicenda dei traduttori, raccontata dal Washington Post. Qui l’impatto non è solo previsto ma è già visibile. Professionisti come Nathan Chacón, interprete in un ospedale pediatrico, notano un crollo della domanda di traduzioni freelance dal 2023.

Il settore è colpito da una doppia dinamica, da un lato i grandi player tecnologici integrano traduzioni live nei dispositivi (Pixel, iPhone, AirPods, Ray-Ban con Meta, strumenti di videoconferenza con Microsoft e Google), dall’altro le aziende come Duolingo riducono i contratti con i traduttori umani. Il risultato è un calo delle opportunità e una pressione al ribasso su compensi e condizioni di lavoro.

Gli stessi dati del Bureau of Labor Statistics segnalano che i lavoratori in questo campo sono diminuiti del 3% in cinque anni, mentre lo studio Microsoft colloca proprio interpreti e traduttori in cima alla lista delle occupazioni più esposte all’uso dell’AI. Una convergenza che rende questa categoria un banco di prova per comprendere la velocità della trasformazione in corso.

Rischi, precisione umana e prospettive oltre la traduzione automatica

Nonostante le capacità crescenti delle macchine, restano ambiti in cui la precisione culturale, giuridica o medica richiede l’intervento umano.

Traduttori e associazioni professionali sottolineano che l’AI “non scambia parole, ma significati”: un errore di traduzione in un contratto o in una prescrizione medica non è un dettaglio, ma un rischio.

La tecnologia può affiancare, ma non sostituire completamente. Eppure, come nota Carl Benedikt Frey (Oxford Internet Institute), l’AI di oggi “è la peggiore che vedremo mai”: migliorerà ancora, accelerando la pressione sui lavoratori.

Tre scenari possibili per il futuro del lavoro

Dal confronto tra queste tre fonti emerge una indicazione. L’impatto dell’AI sul lavoro non è uniforme. Alcune professioni, come i traduttori, vivono già un cambiamento tangibile; altre come i sales o i customer service, mostrano segnali chiari di esposizione; altre ancora restano ai margini.

Tre scenari si delineano.

  • Nel primo, l’AI diventa uno strumento di collaborazione cognitiva, migliorando la produttività senza ridurre in modo drastico l’occupazione, come accadde con i bancomat e i cassieri.
  • Nel secondo, si afferma una automazione selettiva che riduce ruoli specifici e aumenta la polarizzazione.
  • Nel terzo, emergono nuove professionalità legate all’uso, al controllo e all’integrazione dell’AI, con traiettorie imprevedibili come già accadde con Internet.

Tra segnali micro e dati macro, il punto centrale è che l’AI non ridefinisce solo i posti di lavoro ma il tessuto stesso delle attività che li compongono. Qui si giocherà la partita, non tanto nel chiedersi quali lavori “spariranno”, ma nel capire come ogni professione si sta già ricostruendo attorno al nuovo linguaggio delle macchine.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati