L’intelligenza artificiale generativa ha fatto irruzione nel mondo del lavoro con una rapidità senza precedenti. Eppure, i suoi effetti economici tangibili restano modesti.
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AI e lavoro: lo studio in Danimarca
Il paper “Large Language Models, Small Labor Market Effects” propone una delle analisi più ampie e robuste finora disponibili. Condotto su un campione rappresentativo di lavoratori danesi, lo studio combina dati di survey e registri amministrativi per misurare in concreto l’impatto dell’introduzione degli LLM, in particolare dei chatbot AI, sui principali indicatori del lavoro: produttività, salario, orario, composizione delle mansioni. Il risultato è sorprendente nella sua sobrietà: grandi aspettative, piccoli effetti.
E se l’AI fosse una tecnologia normale? Il saggio che smonta l’hype
Campo di indagine e metodologia
Lo studio analizza l’impatto dell’adozione di AI chatbot in 11 occupazioni esposte, tra cui: marketing, HR, customer service, legale, giornalismo, insegnamento e sviluppo software. Il contesto è quello della Danimarca, paese con elevata penetrazione digitale, mercato del lavoro flessibile e ottima disponibilità di dati amministrativi. Due survey su larga scala, condotte nel 2023 e 2024, hanno raccolto le risposte di 25.000 lavoratori in 7.000 aziende.
AI e lavoro: una ricetta per prepararsi
Prepararsi al medio-lungo termine: l’assenza di effetti macroeconomici oggi non implica l’irrilevanza futura. Come avvenuto per internet, i benefici strutturali possono emergere con ritardo rispetto alla diffusione iniziale della tecnologia.
Promuovere l’adozione consapevole: i dati mostrano che l’incoraggiamento esplicito da parte dell’azienda e la formazione mirata fanno aumentare l’utilizzo degli strumenti AI, riducendo anche i divari generazionali e di genere. Le policy pubbliche e aziendali dovrebbero favorire percorsi strutturati di adozione.
Investire nell’organizzazione, non solo nella tecnologia: i guadagni reali emergono dove l’AI viene integrata in modo coerente nei flussi di lavoro. È la trasformazione organizzativa che abilita la produttività, non la semplice disponibilità dello strumento.
Monitorare le nuove mansioni: l’introduzione degli LLM genera compiti aggiuntivi, anche per chi non usa direttamente l’AI. Serve attenzione alla ridefinizione dei ruoli, alle attività di verifica e supervisione, e alla formazione continua.
Misurare gli effetti reali: solo con dati granulari e sistematici è possibile distinguere tra hype tecnologico e impatto concreto. Le aziende e le istituzioni dovrebbero dotarsi di strumenti di monitoraggio continuo degli effetti dell’AI sul lavoro e sull’organizzazione.
Le informazioni sono state collegate a dati mensili su ore lavorate, salari e mobilità occupazionale. Gli autori utilizzano un approccio di tipo “difference-in-differences”, una tecnica statistica molto usata negli studi economici per stimare l’effetto causale di un intervento quando non è possibile ricorrere a un esperimento controllato. Questo metodo confronta l’evoluzione di un determinato indicatore (ad esempio il salario o le ore lavorate) tra due gruppi: uno esposto all’intervento, in questo caso le aziende che promuovono l’uso dei chatbot AI, e uno non esposto, ovvero le aziende che non lo fanno. Osservando come cambiano i risultati nei due gruppi prima e dopo l’introduzione dell’intervento, è possibile isolare l’effetto specifico attribuibile all’adozione degli LLM. In questo studio, gli autori sfruttano anche le differenze nelle policy aziendali come se fossero quasi un esperimento naturale, rafforzando così la validità della stima causale.
Ipotesi di partenza
Lo studio si fonda su un insieme articolato di ipotesi che riflettono le principali narrazioni attuali sull’impatto dell’intelligenza artificiale generativa nel mondo del lavoro. In primo luogo, gli autori assumono che l’introduzione dei Large Language Models possa comportare un aumento della produttività individuale, sia attraverso l’automazione di compiti ripetitivi sia grazie al supporto creativo e cognitivo fornito dagli strumenti basati su AI.
Questa ipotesi poggia sulla premessa che la disponibilità di chatbot come ChatGPT consenta ai lavoratori di risparmiare tempo, generare contenuti più rapidamente, accedere a nuove fonti di informazione e migliorare la qualità del lavoro svolto. Una seconda ipotesi riguarda il ruolo delle organizzazioni: lo studio esplora l’idea che le imprese che incentivano esplicitamente l’uso dei chatbot e forniscono formazione dedicata possano contribuire a ridurre le disuguaglianze legate a genere, età o familiarità con le tecnologie digitali. L’adozione guidata e consapevole degli LLM, infatti, potrebbe agire come fattore abilitante per una platea più ampia di lavoratori, colmando i divari e uniformando le competenze di base nell’interazione con l’AI. Infine, gli autori mettono alla prova l’ipotesi che i guadagni di produttività derivanti dall’introduzione dell’AI generativa si riflettano in maniera misurabile sugli indicatori economici tradizionali, come il salario, l’orario settimanale medio e i tassi di occupazione. L’attesa implicita è che, se gli LLM aumentano davvero l’efficienza, questo si traduca in maggior valore per le imprese e, in prospettiva, in una redistribuzione verso i lavoratori sotto forma di migliori condizioni contrattuali o riduzione del carico di lavoro.
Risultati
L’adozione degli LLM da parte delle imprese e dei lavoratori appare ampia e crescente. Il 43% dei dipendenti è esplicitamente incoraggiato dalle proprie organizzazioni all’utilizzo di chatbot basati su intelligenza artificiale, e il 38% delle aziende ha sviluppato o implementato modelli linguistici interni.
La formazione svolge un ruolo cruciale: quando viene offerta, la percentuale di adozione da parte dei lavoratori cresce significativamente (dal 47% all’83%), con un effetto positivo anche sulla riduzione delle disuguaglianze, in particolare quella di genere, che si riduce da 12 a 3,6 punti percentuali. Sul piano percepito, i benefici dell’uso dei chatbot si manifestano in termini di risparmio di tempo e modifiche nelle mansioni. In media, ogni lavoratore utente risparmia circa 25 minuti al giorno, un dato che equivale a una riduzione del 2,8% del carico orario complessivo.
Inoltre, l’8,4% dei lavoratori dichiara di aver visto cambiare il proprio lavoro con l’introduzione di nuovi compiti legati all’interazione con i modelli linguistici, questo vale anche per chi non utilizza direttamente l’AI, come nel caso di insegnanti che monitorano l’uso improprio da parte degli studenti o lavoratori incaricati della verifica dei testi generati. Questi cambiamenti, però, non si traducono in effetti macroeconomici rilevanti. Lo studio non rileva alcun impatto statisticamente significativo sui salari, né in termini di variazione media né di distribuzione. Anche l’orario di lavoro settimanale e i tassi di occupazione restano sostanzialmente invariati. Inoltre, nemmeno tra i lavoratori che utilizzano intensivamente gli LLM si osservano differenze apprezzabili rispetto al resto del campione.
Il passaggio dai guadagni di produttività individuale agli aumenti salariali risulta molto limitato: secondo le stime, solo il 3-7% di questi benefici viene effettivamente trasferito ai lavoratori.
AI e lavoro, produttività. Altri studi
Questa dinamica appare in contrasto con i risultati di altri studi recenti. Ad esempio, Noy e Zhang (2023) hanno condotto un esperimento controllato su lavoratori freelance, rilevando aumenti di produttività tra il 13% e il 20% nell’esecuzione di compiti di scrittura.
Gli autori del presente studio segnalano che tali ricerche si basano su contesti altamente controllati, mansioni facilmente automatizzabili e orizzonti temporali brevi.
Il loro approccio, invece, si distingue per l’uso di dati reali mensili relativi a un ampio spettro di attività, incluse quelle con minore possibilità di automazione e restituisce un quadro più prudente e ancorato alla realtà lavorativa quotidiana.
AI e produttività: quali conclusioni trarre
Il lavoro di Humlum e Vestergaard offre un controcanto utile nel dibattito sull’AI e il futuro del lavoro. Smentisce sia l’entusiasmo tecnologico ingenuo, sia le narrazioni catastrofiste. Si inserisce nel solco tracciato recentemente dal saggio pubblicato dal Knight First Amendment Institute, Arvind Narayanan e Sayash Kapoor, AI as Normal Technology. L’AI generativa è presente, diffusa e funziona, ma non è ancora un motore di trasformazione economica su larga scala.
Ciò che fa la differenza, come suggeriscono gli autori è il contesto organizzativo: le aziende che investono attivamente (formazione, modelli su misura, policy chiare) ottengono benefici maggiori. Ma nemmeno queste riescono, per ora, a spostare gli indicatori macro del lavoro. Come fu per il personal computer o per internet, la vera rivoluzione potrebbe essere più lenta, profonda e invisibile nel breve periodo. Il tempo, più dei titoli, dirà se siamo davvero davanti a un cambio di paradigma.