L’intelligenza artificiale generativa (GenAI) ha fatto registrare una crescita esplosiva negli ultimi anni, trasformandosi da semplice curiosità tecnologica a oggetto di impiego quotidiano per centinaia di milioni di persone. Secondo i dati dell’Osservatorio sulla Digital Innovation del Politecnico di Milano, in Italia nel 2024 il mercato della AI ha raggiunto un valore record di 1,2 miliardi di euro con una crescita del 58% rispetto al 2023.
Questo importante incremento testimonia non soltanto l’interesse crescente verso le nuove tecnologie AI-driven, ma anche la loro progressiva integrazione nella vita quotidiana e nei processi aziendali.
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Numeri e tendenze della GenAI in Italia
Il 28% degli utenti internet in Italia, circa 13 milioni di persone, ha utilizzato almeno un’applicazione di intelligenza artificiale generativa nel maggio 2025. Il protagonista indiscusso di questa rivoluzione digitale è ChatGPT, utilizzato da 11 milioni di italiani, con un profilo utente prevalentemente giovane: il 44,5% ha tra i 15 e i 24 anni e il 51,9% è di sesso femminile. Ancora più impressionante è l’intensità di utilizzo: l’accesso a ChatGPT nell’ultimo anno è aumentato del 65%, mentre il tempo speso è più che raddoppiato (118%).
La diffusione capillare dell’IA generativa si riflette in modo evidente nel comportamento delle nuove generazioni. Secondo uno studio del 2025 di Deloitte, in Italia metà dei GenZ e quattro Millennial su dieci utilizzano la GenAI quotidianamente, con applicazioni che spaziano dalla creazione di contenuti all’analisi dei dati, dal project management allo sviluppo di software. Il 73% della Gen Z e il 73% dei Millennial italiani affermano che la GenAI ha liberato tempo e migliorato il work-life balance, mentre il 71% della Gen Z e il 76% dei Millennial pensa che abbia migliorato la qualità del proprio lavoro.
Anche nel campo aziendale l’Italia mostra un buon posizionamento rispetto ad altri Paesi europei. Il 53% delle grandi imprese ha acquistato licenze di strumenti di GenAI (principalmente ChatGPT o Microsoft Copilot), superando Francia, Germania e Regno Unito. Tuttavia, permane un divario significativo, probabilmente dovuto anche al lag temporale con il quale gli incrementi di produttività si disvelano nelle metriche: il 39% delle grandi imprese che utilizzano questi strumenti ha riscontrato un effettivo aumento della produttività, mentre un ulteriore 48% non ha ancora valutato in modo quantitativo gli impatti.
Come cambiano le competenze per l’intelligenza artificiale generativa
L’entusiasmo per l’IA generativa si accompagna tuttavia al sorgere di altrettanto legittime inquietudini. Il 62% della Gen Z e il 67% dei Millennial considera opportunità di lavoro meno vulnerabili all’automazione, mentre il 55% dei Millennial e il 61% dei Gen Z ritiene che l’applicazione della AI comporti una riduzione dei posti di lavoro. La consapevolezza degli impatti profondi che l’IA sta già avendo e avrà sempre di più nel mondo del lavoro rende ancor più urgente la necessità di sviluppare le competenze giuste per navigare questa trasformazione.
Nel contesto attuale di rapida e profonda evoluzione tecnologica emerge una domanda cruciale: quali sono le competenze chiave richieste in una fase di trasformazione dei modelli economici, culturali e organizzativi? L’ascesa dell’IA ci invita a ripensare non soltanto le tecnologie, ma soprattutto le capacità umane fondamentali per governare gli strumenti digitali come momento di potenziamento dell’essere umano e non come suoi possibili sostituti.
Prolificità senza intenzionalità nei sistemi di IA generativa
Nell’economia contraddistinta dalla AI, la creatività umana rimane centrale, amplificata dall’IA ma sempre guidata da atteggiamenti critici, etici e progettuali. Proprio per questo le scelte su come adottare e integrare i sistemi generativi non possono essere lasciate alla sola logica dell’efficienza o dell’automazione, ma vanno collocate dentro una visione human-centered che valorizzi il ruolo dell’individuo e delle comunità.
I sistemi di IA generativa si distinguono per la loro capacità di produrre contenuti in modo rapido e variegato, basandosi su modelli probabilistici e pattern ricorrenti. Tuttavia, essi non possiedono né intenzionalità né metacognizione, ovvero le capacità umane di riflettere consapevolmente sul proprio operato e sul contesto in cui si inserisce l’output prodotto. Il valore aggiunto resta quindi nel giudizio umano e nelle capacità critiche tipicamente umane, elementi che l’IA non può replicare autonomamente.
La prolificità della IA è un elemento sicuramente importante: essa può generare testi, immagini, codici e analisi in pochi secondi. Eppure la velocità produttiva porta con sé il rischio di fomentare una dipendenza acritica, in cui l’abbondanza di output generati può offuscare la necessità di valutazione qualitativa. L’IA opera attraverso correlazioni statistiche apprese da enormi basi dati, ma non possiede comprensione del significato, manca di corporeità, non ha esperienza vissuta, non conosce il contesto culturale specifico in cui si inserisce la sua produzione.
Sono proprio queste limitazioni a definire il campo d’azione insostituibile dell’essere umano: la capacità di dare senso, direzione e significato all’output tecnologico. Se l’IA può suggerire mille variazioni di un testo o proporre soluzioni basate su pattern precedenti, solo l’intelligenza umana è in grado di valutare quale di queste opzioni sia più appropriata per un contesto specifico, quale risuoni con valori culturali condivisi, quale sia davvero innovativa rispetto a quanto è già noto.
Limiti dell’IA generativa e centralità del giudizio umano
In tale scenario emergono cinque competenze fondamentali che rappresentano il cuore pulsante della nuova alfabetizzazione digitale, indispensabile per veleggiare nell’era dell’intelligenza artificiale. Esse non sostituiscono le competenze tecniche tradizionali, ma le integrano, offrendo un quadro più ampio in cui l’IA è considerata un alleato progettuale e non un fine in sé.
Queste cinque competenze – AI literacy, valutazione critica, progettazione collaborativa, differenziazione e originalità, etica operativa – costituiscono la base di una cultura dell’IA capace di coniugare innovazione, responsabilità e attenzione ai contesti d’uso.
Le cinque competenze per governare l’intelligenza artificiale generativa
Anzitutto comprendere come funziona l’intelligenza artificiale è un passaggio fondamentale: conoscere i modelli, i loro limiti, capire come impostare le istruzioni (i cosiddetti prompt) per ottenere risposte efficaci e saper verificare fonti e dati. Questa alfabetizzazione di base sulla AI consente di utilizzarla come un partner didattico e professionale, valorizzandone le capacità senza perdere sensibilità e giudizio umano.
AI literacy e nuove forme di alfabetizzazione alla IA
La AI literacy include anche la capacità di maneggiare e interpretare i dati, riconoscendone importanza e uso corretto nell’ambito personale, lavorativo e formativo. Non richiede necessariamente competenze tecniche approfondite di programmazione o data science, ma implica una comprensione concettuale, che possiamo definire “semantica”, delle modalità con cui questi sistemi apprendono, dei loro punti di forza e dei limiti tipici.
Significa sapere che un modello linguistico può generare testo in modo corrente ma non necessariamente accurato, che può riprodurre bias presenti nei dati di addestramento, che la sua conoscenza è limitata a un certo momento temporale. Include anche competenze molto pratiche come la conoscenza del prompt engineering e delle sue conseguenze: saper formulare richieste chiare, strutturate e contestualizzate per ottenere risultati più pertinenti e utili, evitando un uso becero e acritico del modello linguistico.
Valutazione critica degli output generati dalla IA
La capacità di leggere, sperimentare e rifinire i risultati prodotti dalla IA è una competenza essenziale. Non basta accettare passivamente le proposte generate dai sistemi: occorre mantenere sempre un approccio critico, evitando di incorrere in dipendenze e pregiudizi cognitivi che penalizzano l’emergere di idee diverse e innovative. Il pensiero critico consente di valutare, con la dovuta consapevolezza, qualità e affidabilità delle informazioni fornite, tutelando creatività e giudizio umano.
La valutazione critica si traduce in una serie di pratiche concrete: la verifica delle fonti delle informazioni fornite dalla IA risalendo sempre alla prima fonte, il confronto delle varie risposte alla stessa domanda, il riconoscimento di quando l’output presenta bias o limitazioni e, soprattutto, il mantenimento della capacità di dissentire dalle proposte della IA quando queste non corrispondono agli obiettivi o ai valori del progetto.
Questa competenza richiede una forma di alfabetizzazione informativa più avanzata, che include la capacità di riconoscere allucinazioni, inconsistenze logiche e limiti contestuali nelle risposte generate. In questo modo l’IA diventa uno strumento di esplorazione e non un sostituto della valutazione umana.
Progettazione collaborativa uomo–macchina
L’approccio all’IA non è quello di un uso passivo e inconsapevole, ma di co-creazione responsabile. L’IA interviene nella genesi delle idee e nella riorganizzazione dei processi, ma riesce a esprimersi al meglio quando si inserisce in team capaci di orchestrare velocità e varietà delle proposte con il discernimento umano. Si affermano forme di “creatività distribuita” in cui i ruoli tradizionali sono più flessibili e si lavora con gerarchie più piatte, coniugando governance, responsabilità e funzioni.
La progettazione collaborativa con l’IA richiede un cambio di paradigma rispetto ai modelli di lavoro tradizionali. Non si tratta più di delegare compiti specifici a uno strumento che li esegue meccanicamente, ma di instaurare un dialogo iterativo in cui l’essere umano guida, l’IA propone, l’essere umano valuta e raffina, in un ciclo di miglioramento continuo.
Questo approccio esige competenze avanzate di coordinamento, la capacità di integrare contributi umani e artificiali in modo armonico e una chiara definizione delle responsabilità finali, che non possono che restare in capo all’essere umano. La responsabilità ultima delle decisioni rimane infatti un prerogativa umana.
Differenziazione creativa e originalità nell’epoca della GenAI
Un rischio tecnologico che l’IA pone riguarda la cosiddetta “omologazione”, dovuta a modelli e fonti condivisi che portano a risultati simili. In un mondo in cui centinaia di milioni di persone utilizzano gli stessi strumenti di IA generativa, alimentati dagli stessi dataset e guidati da algoritmi analoghi, il rischio di convergenza creativa è reale e tangibile.
Se tutti usano ChatGPT per scrivere, Midjourney per creare immagini e gli stessi prompt circolano online, il risultato non può che essere una progressiva standardizzazione dell’output creativo. La capacità di differenziazione, ovvero di sviluppare un linguaggio personale, di portare prospettive uniche, di attingere a riferimenti culturali specifici, di coltivare un gusto distintivo che non può essere replicato dall’IA, diventa quindi una competenza strategica fondamentale.
La vera sfida competitiva è dunque saper conservare la diversità creativa, curando la propria impronta distintiva e le proprie capacità estetiche. Nei settori creativi ciò indica lo spostamento verso profili con competenze ibride, capaci di fondere competenze tradizionali e nuove expertise algoritmiche, mantenendo viva l’originalità umana in dialogo con la macchina.
Etica operativa e governance dell’intelligenza artificiale
Affrontare questioni come la proprietà intellettuale, la paternità delle creazioni, la trasparenza degli strumenti e la qualità dei dati non è solo un esercizio teorico, ma una pratica quotidiana. La governance dell’IA è una competenza trasversale che si manifesta in policy e strumenti manageriali verificabili, in grado di garantire trasparenza e responsabilità sociale nelle applicazioni dell’intelligenza artificiale.
L’etica operativa trascende i principi astratti per tradursi in decisioni concrete che ogni professionista deve affrontare quotidianamente: è etico utilizzare contenuti generati dall’IA senza dichiararlo? Come gestire la proprietà intellettuale quando un’opera è co-creata con l’IA? Quali responsabilità abbiamo quando i sistemi che utilizziamo possono perpetuare discriminazioni o bias?
Come garantire che l’uso della IA nella propria organizzazione sia trasparente e affidabile? Le risposte a queste domande richiedono non solo sensibilità etica, ma anche la capacità di tradurre valori in protocolli operativi, linee guida chiare e meccanismi di verifica. In questo modo l’etica diventa parte integrante dei processi e non un elemento puramente dichiarativo.
Strategia consapevole nelle competenze per l’intelligenza artificiale generativa
Oltre alle cinque competenze sin qui definite diviene essenziale una sesta competenza, olistica e comprensiva: la capacità di sviluppare una visione integrata, una strategia in grado di sussumere tutte le dimensioni dell’interazione con l’IA. La strategia consapevole di approccio alla AI rappresenta una meta-competenza che permette di navigare la complessità senza perdere di vista l’obiettivo finale, ossia l’utilizzo della tecnologia per potenziare le capacità umane e non per sostituirle o ridurle.
Tale approccio richiede la capacità di superare il facile entusiasmo per le novità tecnologiche dei tecno-ottimisti, per antivederne gli sviluppi e mantenere una prospettiva di lungo termine sugli impatti culturali, sociali ed economici della IA. Questa visione strategica favorisce la salvaguardia del controllo umano sulla tecnologia, valorizzandone il potenziale senza dimenticare la natura intenzionale e metacognitiva propria degli esseri umani, che l’IA non è in grado di replicare.
In tal modo, l’AI diviene un alleato capace di rinvigorire e potenziare i processi sotto la guida sapiente di competenze umane consapevoli e responsabili, rafforzando la capacità delle organizzazioni di affrontare le transizioni in atto.
Lavoro, formazione e soft skill nell’ecosistema della AI
Com’è noto, l’evoluzione tecnologica richiama lo sviluppo di profili professionali ibridi e multidisciplinari, capaci di integrare competenze umanistiche, tecniche, critiche ed etiche. I dati mostrano chiaramente questa tendenza: le imprese cercano sempre più professionisti che non siano soltanto esperti tecnici o creativi, ma che sappiano muoversi in maniera fluida fra questi domini, traducendo illuminazioni tecnologiche in soluzioni umane e viceversa.
Nel mondo del lavoro e della formazione, l’introduzione della AI non è soltanto una risorsa, ma anche una vera sfida educativa: formare una cittadinanza digitale attenta, empatica e capace di condurre un dialogo proficuo con le tecnologie emergenti. Le istituzioni educative sono pertanto chiamate a ripensare i loro progetti formativi per includere non soltanto competenze tecniche sulla IA, ma anche capacità critiche di valutazione, sensibilità etica e abilità collaborative.
La formazione continua (lifelong learning and teaching) diviene essenziale e ineludibile, poiché le tecnologie evolvono rapidamente e le competenze che vanno bene oggi non saranno adeguate entro pochi mesi. Per questo motivo, le competenze cognitive e sociali, quali intelligenza emotiva, comunicazione efficace, collaborazione e gestione dei conflitti, assumono un ruolo centrale in contesti dove essere umano e macchina debbono cooperare per raggiungere risultati più elevati.
Tali soft skills, un tempo considerate complementari rispetto alle competenze tecniche, assumono oggi un ruolo centrale e distintivo, in quanto rappresentano l’area in cui l’intelligenza umana mantiene ancora un vantaggio rispetto alla IA. Emerge inoltre la necessità di sviluppare resilienza e adattabilità: la capacità di apprendere continuamente, di disimparare quando necessario, di rimanere flessibili di fronte al cambiamento.
In un contesto in cui le competenze tecniche diventano obsolete nel giro di pochi mesi o anni, la capacità di apprendere ad apprendere diventa la competenza fondamentale che sostiene tutte le altre e consente alle persone di restare attive e protagoniste nelle trasformazioni in corso.
Verso una governance human-centered dell’intelligenza artificiale generativa
Le competenze decisive nell’era della AI sono radicate nelle dimensioni umana, critica e strategica. I dati mostrano una diffusione rapida e capillare della IA generativa, con centinaia di milioni di utilizzatori che la impiegano nelle loro pratiche quotidiane, professionali e creative. Eppure, quasi paradossalmente, la diffusione pervasiva della AI non riduce ma accentua la necessità di competenze umane distintive.
L’AI non è un sostituto, ma un amplificatore della creatività e della produttività umana che richiede un approccio consapevole e multidimensionale. Le cinque competenze chiave – AI literacy, capacità di valutazione critica, progettazione collaborativa, differenziazione e originalità, etica operativa – insieme alla capacità di sviluppare una strategia consapevole olistica, rappresentano i pilastri sui quali edificare una relazione produttiva e sostenibile con l’IA.
Investire in tali competenze significa saper affrontare con efficacia le sfide contemporanee, generare nuove opportunità di crescita e innovazione e disegnare un approccio economico umano, etico e sostenibile in un mondo sempre più digitalizzato. Non si tratta di resistere al cambiamento tecnologico, né di abbracciarlo acriticamente, ma di guidarlo con saggezza, mantenendo al centro i valori umani che danno significato al progresso.
L’era dell’intelligenza artificiale non è l’era della sostituzione dell’umano, ma l’era della sua riaffermazione: proprio quando le macchine diventano sempre più capaci di fare, le qualità umane distintive – creatività, giudizio etico, sensibilità contestuale, capacità di dare senso – diventano ancora più preziose e difficilmente sostituibili.
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