la riflessione

Guarire dal “feticismo” delle macchine: Harari e gli altri, gli autori da leggere



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Dai luddisti del XIX secolo alla rassegnazione odierna, il nostro rapporto con la tecnologia è cambiato radicalmente. La disoccupazione tecnologica e l’alienazione sono ancora presenti, ma la ribellione è sopita dalla propaganda che esalta l’innovazione a ogni costo. Il pensiero di autori come Ellul e Harari ci aiuta a comprendere questa asimmetria

Pubblicato il 1 ott 2024

Lelio Demichelis

Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria



intelligenza artificiale mano

Cosa siamo – noi umani cosiddetti sapiens – davanti alla tecnologia? Dai tempi dei luddisti molte cose sono passate e molto è cambiato, in realtà tutto, nella tecnica. Allora (siamo agli inizi, drammatici e disumani, della rivoluzione industriale capitalistica), i luddisti sono stati un movimento operaio che in Gran Bretagna reagì violentemente all’introduzione delle macchine nell’industria, ritenute, giustamente, come causa di disoccupazione e di bassi salari.

Il movimento prende nome dall’operaio Ned Ludd (forse mai esistito realmente) che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio in segno di protesta. Gruppi di luddisti entrarono in azione per la prima volta a Nottingham nel 1811 per poi estendersi nel paese. Gravi incidenti occorsi nel 1812 provocarono una dura repressione, con impiccagioni e deportazioni dei rivoltosi (sempre, anche oggi davanti alla crisi ambientale, prima vengono l’economia e il profitto).

Oggi, stessa situazione: disoccupazione tecnologica, bassi salari e lavori precari di massa. Eppure, nessuno distrugge più le macchine, neppure davanti ai Report dei centri di ricerca economica e industriale che paventano altra disoccupazione a causa dell’intelligenza artificiale. Dal luddismo contro le macchine siamo passati alla rassegnazione positivistica all’industria, arrivando infine al feticismo infantile per le macchine?

Noi e la tecnica: ciechi come talpe

Andiamo allora a rileggere alcuni autori ancora oggi fondamentali per capire il nostro rapporto totalmente asimmetrico con la tecnica e la tecnologia come sistema. Da ultimo si può citare Yuval Harari, anche nel suo recente Nexus (2024). Ma ci sono anche altri autori ancora fondamentali se non li avessimo dimenticati troppo facilmente, soggiogati come siamo dalla propaganda anti-illuministica, irrazionale ma molto capitalistica (e nichilistica) che ci dice (e lo insegnano come imperativo nelle Business School in ogni parte del mondo, ma analogamente accade con la cultura d’impresa da insegnare fin da giovani secondo i programmi del ministro Valditara), propaganda che ci dice che l’innovazione non si può e non si deve fermare, a prescindere da qualsiasi valutazione politica, etica, responsabile su quale innovazione e perché e per quale scopo.

E lo scopo della vita umana (in realtà della tecnica e del capitalismo) è da tempo diventato l’accrescimento del sistema tecnico e capitalistico e non l’uso responsabile della tecnica. E si perfeziona sempre più il tri-secolare rovesciamento tra mezzi e fini, un tempo il fine era la vita dell’uomo e la tecnica il mezzo per migliorarla, oggi il fine è il potenziamento dell’apparato tecnico e capitalistico insieme peggiorando la vita dell’uomo (dalla crisi climatica alla crisi sociale) e l’uomo è ridotto a mezzo (i dati) per far funzionare le macchine che un giorno (già oggi) potranno fare a meno dell’uomo, l’uomo cessando di essere anche un mezzo per diventare solo un optional della società-fabbrica.

Elul

Cominciamo da Jacques Ellul, uno dei massimi sociologi della tecnica del secondo ‘900, che scriveva: “ogni nuovo elemento tecnico, ogni nuova innovazione tecnica è solo un mattone dell’edificio dell’apparato, un ingranaggio del sistema tecnico. Ed è quindi perfettamente inutile pretendere che il computer applicato alla dimensione politica [ma ugualmente si deve dire per la conoscenza o per la socialità – N.d.A.] possa diventare un organismo di decentralizzazione, di diffusione, di personalizzazione delle informazioni e di agevolazione del controllo politico. Si tratta di una utopia volta a tranquillizzarsi e a permettere quindi al sistema informatico di realizzarsi. Ci troviamo qui in presenza di un fatto di importanza decisiva: l’uomo rifiuta radicalmente di conoscere il processo, e ponendo la questione in termini metafisici e assoluti, si convince che tutto sia ancora possibile […] e che il nuovo fattore tecnico sia liberatore. Così tranquillizzato lascia progredire il meccanismo e poi, quando vede il risultato, dice: Ma questo non era ciò che avevamo previsto. Il danno è fatto (Ellul, Il sistema tecnico, 2009).

In realtà, come scrivevamo ne La società-fabbrica (2023): “da tempo l’uomo non guarda più il risultato e non dice più: ma questo non è ciò che avevamo previsto, perché gli uomini e la democrazia non progettano più, non controllano più. Semplicemente si adattano a un sistema tecnico e capitalista del tutto incontrollato e incontrollabile democraticamente quanto più è automatizzato e amministrato automaticamente”. Si adattano oppure lo accolgono appunto feticisticamente ed entusiasticamente – che è l’altra faccia dell’alienazione degli umani da se stessi davanti alla tecnica, ben oltre l’alienazione operaia secondo Marx, passando per la delega totale e totalitaria di sé al sistema tecnico (e al capitalismo che governa e sviluppa la tecnologia non certo per rispondere alle esigenze e ai bisogni umani e sociali, ma per profitto privato).

E risaliamo a F. G. Jünger (fratello del più famoso Ernst), che nel 1939 scriveva: “non è più l’uomo a creare il mondo che lo circonda, ma l’apparato industriale e così [l’uomo] impara ad agire contro la sua stessa volontà, deformata dalla macchina, […] e i suoi sforzi sono sempre provocati dalla macchina e sempre finisce per seguire la legge che è insita nello sviluppo della nuova tecnica” (La perfezione della tecnica, 2000). Perché l’aspirazione al potere della tecnica come del capitalismo “si prefigge anche lo scopo di subordinare lo stato e di sostituire l’organizzazione statale con una organizzazione tecnica”. Perché “il tecnico oppone sempre i regolamenti tecnici allo stato e all’intera organizzazione sociale, in una instancabile produzione di leggi e di regolamenti contrassegnati da un carattere tecnicamente normativo”, cioè “la decisione tecnica è allo stesso tempo dispositiva e causale” – descrizione perfetta (impossibile negarlo) anche, o soprattutto, del mondo di oggi.

Perché nessuno si ribella? – si domandava Marx a metà dell’Ottocento. Già, perché nessuno si ribella e almeno pretende di poter dire la sua come singolo e come demos, davanti a processi che cercano di imporsi invece come dati di fatto immodificabili, insindacabili – di imporsi cioè anti-democraticamente?

Potenza della propaganda per l’intelligenza artificiale

Torniamo a Ellul, ma al suo saggio sulla Propaganda (PGreco 2024), perché se nessuno si ribella è (anche) per effetto della propaganda capitalistica e tecnica, propaganda che ha una potenza di fuoco (e di capitali) enormemente maggiore di ogni pensiero critico. Scriveva Ellul: “La propaganda moderna riposa sulle analisi della psicologia e della sociologia. È a partire dalla conoscenza dell’essere umano, delle sue tendenze, dei suoi desideri, dei suoi bisogni, dei suoi meccanismi psichici, dei suoi automatismi e anche della psicologia sociale che il propagandista applica le sue tecniche. […] La propaganda moderna è quella che raggiunge degli individui inclusi in una massa” (differenziazione, auto-affermazione) “e che al tempo stesso si rivolge a una folla, ma composta da individui” (inclusione e indebolimento della resistenza individuale alla propaganda), ma sfruttando anche “il sentimento di autoaffermazione dell’individuo” – come massimamente è avvenuto, aggiungiamo, con il neoliberalismo e oggi con le tecnologie digitali, per le quali la propaganda è totale e totalitaria (al confronto, Mussolini e Hitler erano dei dilettanti) – e “le due azioni vanno condotte in modo congiunto, simultaneamente”.

E ancora Ellul: “La propaganda deve essere totale” – come appunto accade oggi per farci accettare l’intelligenza artificiale come un dato di fatto a cui non solo non si deve dire di no (altrimenti addio profitto per il capitale), ma bisogna anzi accoglierla con piacere, entusiasmo e godimento, perché risolverà tutti i problemi del mondo, dice sempre la propaganda) – quindi utilizzando tutti i mezzi a disposizione (stampa, radio, tv, cinema, manifesti, riunioni, porta a porta, oggi social media, scuole, università, eccetera). “Ognuno di essi raggiunge l’individuo in modo specifico”, riuscendo in tal modo “a non lasciare a riposo nessun aspetto della sua vita” – appunto e di nuovo, come oggi per il digitale e l’IA. Di più (potenza, appunto, della propaganda): “essa cerca di introdursi nella totalità dell’essere umano. E fornisce un sistema globale di spiegazione del mondo e contemporaneamente dei motivi immediati di azione”.

E ancora Ellul: “la propaganda è l’insieme dei metodi utilizzati da un gruppo organizzato [noi diciamo: il capitalismo, gli ingegneri, gli economisti mainstream, il ministro Valditara] in vista di far partecipare attivamente o passivamente alla sua azione una massa di individui psicologicamente unificati attraverso delle manipolazioni psicologiche e inquadrati in un’organizzazione” – ed è quella che abbiamo chiamato digitalizzazione delle masse per la loro integrazione nella società-fabbrica). Ellul distinguendo poi tra propaganda politica e propaganda sociologica. E questa seconda forma di propaganda si ha “quando un certo modello di società” (capitalistica, tecnologica, neoliberale) “tenta di integrare il maggior numero di individui possibile, di unificare e omologare il comportamento dei suoi membri, di diffondere il proprio stile di vita e di imporsi ad altri gruppi” – e sottolineiamo i verbi integrare, unificare e omologare perché fine/scopo del capitalismo e del sistema tecnico.

“Questa propaganda è un fenomeno molto difficile da cogliere e raramente viene preso in considerazione”, ma è molto diffusa. “Essa è costituita da un clima generale, da un ambiente che agisce in modo inconscio. Non ha l’apparenza di una propaganda e cattura la persona nei suoi usi, in ciò che, nelle sue abitudini, ha di più inconsapevole. Si tratta cioè di un progressivo adattamento a un determinato ordine delle cose, di una determinata concezione delle relazioni umane che, inconsciamente, modella gli individui, rendendoli conformi alla società”.

E se negli anni ’50 l’economista americano Victor Lebow scriveva che: “La nostraeconomia incredibilmente produttiva ci chiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l’acquisto e l’uso di merciin autentici rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo […], quindi abbiamo bisogno chesempre più beni vengano consumati, distrutti e rimpiazzati a un ritmo sempre maggiore” – a questo è servito il marketing/propaganda – lo stesso sta accadendo per farci diventare sempre più integrati nel digitale e a vivere con l’i.a, ottenendo con essa, fattasi rituale, una vera realizzazione personale e spirituale.

Ed è sempre human engineering, sempre a prescindere dalla consapevolezza dell’uomo e da ogni pensiero critico.

Il Nexus di Harari e l’IA come intelligenza aliena

E arriviamo così a Nexus. Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’ia (2024), del ‘filosofo’ e ‘storico’ israeliano Yuval Noah Harari – e citiamo i suoi precedenti Da animali a dèi. Breve storia del genere umano del 2014;  21 lezioni per il XXI secolo del 2018;  Homo deus. Breve storia del futuro sempre del 2018;Sapiens. I pilastri della civiltà, del 2021).

Che nuovamente si pone la domanda di come restare umani (gli umani come “gli animali più intelligenti e allo stesso tempo più stupidi della Terra”), in un mondo ipertecnologico, evitando il peggio. Un mondo dove l’IA “è la prima tecnologia capace di prendere decisioni e di creare idee da sola” e forse anche nuove forme di vita. Mentre “tutte le precedenti invenzioni hanno agevolato gli esseri umani perché, a prescindere da quanto fosse potente il nuovo strumento, le decisioni sul loro uso rimanevano nelle loro mani”. L’intelligenza artificiale invece “non è uno strumento, è un agente”, potenzialmente più intelligente e fantasioso di noi, ma “che non capiamo o non controlliamo completamente”. Un’IA che Harari ridefinisce come intelligenza aliena – “man mano che evolve diventa sempre meno artificiale (nel senso di dipendente da progetti umani) e più aliena. L’IA non sta progredendo verso un’intelligenza di tipo umano. Sta sviluppando un tipo di intelligenza aliena” – e in grado (ma questo accade già oggi) di “monitorare tutto ciò che facciamo, mentre noi non abbiamo la minima idea di cosa lei faccia” – aliena e insieme alienante. E quindi, “rischiamo di perdere il controllo del futuro. E potenzialmente, di arrivare alla fine della storia umana”. Passando per la fine della libertà e della democrazia.

Certo, i computer (forse) “non sono ancora abbastanza potenti per distruggere la civiltà da soli”. Servono ancora i cosiddetti sapiens, come dimostrano questi due anni di guerra in Ucraina e poi il genocidio israeliano a Gaza. “Se l’umanità resterà unita”, scrive Harari, “potremo costruire istituzioni che regoleranno l’IA nel campo della finanza e della guerra” (solo?), ma “purtroppo l’umanità non è mai stata unita”. “L’ascesa dell’intelligenza artificiale è un pericolo esistenziale per l’umanità non a causa della cattiveria del computer, ma dei nostri stessi difetti” – e qui Harari si contraddice con quanto scritto in precedenza (“non abbiamo la minima idea di cosa lei faccia”).

Dobbiamo avere paura dell’IA e tornare luddisti? Certo che no. Il problema è che: (1) davanti alle nuove tecnologie ci comportiamo sempre come ricordava sopra Ellul, in una sorta di coazione feticistica e narcisistica a realizzare la nostra alienazione da noi stessi e dal reale (e dalla Terra), davanti a un’innovazione che è capitalistica e non solo tecnica; e che (2) non vediamo (non dobbiamo vedere – anche a questo essa serve) la propaganda usata in dosi industriali dal sistema per farci adattare alle sue esigenze di profitto.

A prescindere dalla vera utilità sociale e umana di una innovazione – IA compresa.

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