La Dead Internet Theory mette in dubbio l’autenticità del web che conosciamo, sostenendo che gran parte dei contenuti siano oggi generati automaticamente da intelligenze artificiali, trasformando Internet in una realtà sempre meno umana.
Ma cosa c’è di vero in questa teoria apparentemente assurda?
Indice degli argomenti
La “Dead Internet Theory”: cos’è e da dove nasce
“Internet è morta e non ce n’eravamo accorti”. Suona come una provocazione o una teoria del complotto da angoli remoti del web. In effetti, nel gennaio 2021 sui forum online più oscuri iniziava a circolare una bizzarra idea cospirativa chiamata Dead Internet Theory. Secondo questa teoria, il web come lo conosciamo – un tempo popolato da contenuti creati da persone reali – sarebbe “morto” tra il 2016 e il 2017, diventando un guscio vuoto (Internet è morta e non ce n’eravamo accorti? – Kaitlyn Tiffany – Internazionale) riempito per lo più da bot e intelligenze artificiali. In altre parole, gran parte dei contenuti che vediamo online oggi non sarebbe opera di esseri umani, ma generata automaticamente da algoritmi avanzati.
La teoria nacque in un forum underground e poi si diffuse sempre di più grazie a Reddit e YouTube, guadagnando seguaci tra chi notava stranezze nei social. Per esempio, utenti di Twitter segnalarono tanti post sospettosamente simili (come la frase “odio chattare, vorrei solo tenerti per mano” ripetuta da diversi account) e si chiesero: sono davvero persone reali o copie artificiali? Questi indizi hanno dato linfa all’idea che Internet fosse ormai “falsato” da un esercito di bot. Ovviamente, a prima vista la Dead Internet Theory appare come l’ennesima assurdità partorita dalla falange web complottista. E infatti per qualche tempo è rimasta una curiosità ai margini.
Perché la dead internet theory ha fondamento
Non perché esista davvero un complotto governativo per rimpiazzare gli umani da dei bot, ma perché dal 2016 in poi il nostro modo di usare Internet è cambiato. Abbiamo assistito all’ascesa delle “troll farm” (fabbriche di profili falsi che diffondono propaganda), al dilagare delle fake news e persino ai primi video deepfake. Insomma, già prima dell’era attuale si era innescata una “spinta all’omogeneizzazione” dei contenuti online e infine è arrivata l’Intelligenza Artificiale generativa a complicare ulteriormente le cose.
Come la dead internet theory prende forma con l’AI
Negli ultimissimi anni, l’AI è diventata capace di produrre testo, immagini e video convincenti su larga scala. Strumenti come ChatGPT hanno reso possibile creare in pochi secondi articoli, saggi, post sui social – il tutto premendo un bottone. Questo ha portato online una valanga di contenuti automatici senza precedenti. Peggio ancora, tali contenuti stanno “cannibalizzando” il web, avviando un circolo vizioso: i materiali generati dalle AI rischiano di seppellire quelli creati da persone, disincentivando col tempo la produzione di contenuti originali.
Le modalità di questa invasione sono diverse. Da un lato sono nate le AI content farm, vere e proprie “fabbriche” di articoli generati dall’AI. Su siti spazzatura come Worldtimestoday o WatchdogWire, un singolo “autore” pubblica anche centinaia di articoli al giorno grazie all’AI . Spesso si tratta di pezzi acchiappa-click (es. “Sei trucchi per essere felici”) presi da qualche fonte e rielaborati automaticamente, poi tradotti in più lingue per massimizzare il traffico. Un’indagine di NewsGuard ha rivelato che queste fattorie di contenuti stanno inondando il web e ci guadagnano pure: sfruttano la pubblicità online di grandi brand (inconsapevoli di apparire su siti AI) per fare soldi facili.
Impatto della Dead Internet Theory sulle grandi piattaforme
Dall’altro lato ci sono le piattaforme storiche invase da materiali generati automaticamente. Wikipedia, per esempio, ha visto comparire oltre un milione di voci in cebuano (lingua delle Filippine) create da un bot che traduceva testi brevi e poco informativi.
Amazon è stata sommersa da così tanti e-book scritti dall’AI (spesso senza dichiararlo) che ha dovuto porre un limite: oggi impedisce agli autori di pubblicare più di tre libri al giorno – soglia che fa sorridere, ma che prima alcuni superavano caricando decine di titoli quotidianamente!
Persino Google sta cambiando volto sotto la spinta dell’AI. Il motore di ricerca che usiamo ogni giorno sta testando un modello in cui non ci mostra più link verso siti esterni, ma risposte generate dall’intelligenza artificiale stessa . Ad esempio, cercando “migliori computer economici”, la nuova versione di Google (basata su AI tipo Gemini) genera un testo riassuntivo completo attingendo a vari siti, e mostra solo a lato i link di origine . Il risultato? La maggioranza degli utenti potrebbe non cliccare più nessun sito, leggendo solo la risposta pronta di Google.
Questo approccio “zero-click” preoccupa molto gli autori sul web: Google sta usando le informazioni prodotte da giornalisti e creatori – che investono tempo e impegno – per fornire risposte immediate agli utenti, senza più convogliare traffico a chi quei contenuti li ha creati.
Conseguenze pratiche della dead internet theory sul web attuale
Il quadro generale, dunque, è quello di un Internet sempre più sovraccarico di contenuti sintetici. Una stima dell’Europol Innovation Lab ha previsto che entro il 2025 il 90% dei contenuti online potrebbe essere generato – o perlomeno assistito – dall’intelligenza artificiale (90% of Online Content Created by Generative AI by 2025 | BLOG QUIDGEST). In parallelo, quasi la metà del traffico internet globale ormai è mossa da bot anziché da persone (Bots Now Make Up Nearly Half of All Internet Traffic Globally – Company). Siamo davvero circondati da voci artificiali online, ben oltre quanto immaginiamo. Ma che conseguenze ha tutto questo?
La dead internet theory e il degrado della qualità informativa
L’invasione di contenuti creati dalle AI ha effetti diretti sulla qualità e autenticità di ciò che leggiamo e vediamo in rete. Innanzitutto, molto del materiale generato automaticamente è di livello mediocre: testi tradotti male, ripetitivi, privi di approfondimento. Un ricercatore ha evidenziato che oltre la metà dei testi sul Web sono traduzioni, spesso realizzate con strumenti automatici, il che degrada la qualità complessiva dell’informazione online . Se sempre più articoli, post di blog e persino recensioni sono scritti da macchine, c’è il rischio di un appiattimento generale: contenuti tutti uguali, senza personalità né creatività.
Sul piano della veridicità, poi, i rischi sono enormi. I sistemi di AI generativa non “capiscono” veramente ciò che scrivono e possono produrre informazioni sbagliate o inventate (le famose “allucinazioni” dell’AI). Immagini false (deepfake), notizie artificiali costruite ad hoc, persino intere biografie generate automaticamente: distinguere il vero dal falso diventa sempre più difficile. Già oggi l’AI può essere usata per fabbricare notizie completamente infondate ma dall’aspetto credibile, alimentando la disinformazione (90% of Online Content Created by Generative AI by 2025 | BLOG QUIDGEST). Pensiamo agli effetti: quante persone potrebbero cascare in una fake news se sembra scritta con stile giornalistico impeccabile? Quanti video manipolati potrebbero circolare prima che qualcuno si accorga che sono falsi?
C’è poi un problema di circolo vizioso dei dati. Se il web si riempie di testi generati dalle AI, le future AI si addestreranno su dati “inquinati” da contenuti innaturali, peggiorando ulteriormente la qualità. Ad esempio, se la maggioranza dei contenuti in una lingua poco diffusa proviene da traduzioni automatiche malfatte, un sistema addestrato su quella lingua imparerà errori e incoerenze . Questo effetto domino può portare a un impoverimento complessivo del sapere online, accentuando anche il divario digitale tra lingue maggiori e minori,
La perdita di fiducia degli utenti
In uno scenario estremo ma non così fantascientifico, gli utenti umani potrebbero perdere la fiducia in ciò che trovano in rete.
Se ogni risposta sembra preconfezionata e ogni recensione pare “finta”, come distinguere i contributi autentici dalle copie senz’anima? Il rischio è di una grande disillusione: Internet da piazza viva di voci umane si trasforma in un archivio sterile di testi senz’anima. Come ha scritto amaramente il giornalista Andrea Daniele Signorelli, “il web per come lo conoscevamo […] sta morendo davanti ai nostri occhi. Ucciso dalle intelligenze artificiali” . Parole forti, che suonano come un epitaffio. E allora viene spontaneo chiedersi: c’è qualcosa che possiamo fare? Dobbiamo davvero rassegnarci a un Internet senza esseri umani?
Il ruolo umano contro l’intelligenza artificiale generativa
Non tutto è perduto, anzi. Proprio di fronte a questa “morte di Internet” proclamata, diventa più importante che mai il ruolo degli esseri umani online. In fondo, l’AI non è un nemico invincibile, ma uno strumento creato da noi. Siamo noi che possiamo scegliere come usarlo e quando fidarci. E qui entrano in gioco due elementi chiave: la nostra presenza attiva e il nostro pensiero critico.
Il pensiero critico contro la dead internet theory
Essere presenti online in modo autentico significa continuare a produrre contenuti umani, condividere esperienze personali, opinioni, creatività. Ogni volta che un genitore scrive un post genuino sulle proprie difficoltà o che un insegnante condivide un racconto di vita vera, si contrappone alla marea di testo generato a macchina. La voce umana, con le sue emozioni e imperfezioni, si sente. Certo, potrebbe non avere la stessa visibilità degli articoli “ottimizzati” dalle content farm, ma crea comunità e fiducia. In un mondo di risposte automatiche tutte uguali, c’è fame di autenticità: le persone riconoscono e apprezzano quando dietro uno schermo c’è un’altra persona in carne e ossa che parla.
Il secondo pilastro è il pensiero critico, soprattutto per educatori e genitori che guidano le nuove generazioni. Significa insegnare ai ragazzi a non bere qualsiasi cosa trovino online, anzi a verificarla, confrontare fonti, farsi domande. Ad esempio, incoraggiare gli studenti a chiedersi:
“Chi ha scritto questo testo? Potrebbe essere stato un robot?”;
“Da dove viene questa notizia? Ci sono conferme altrove?”.
Come segnala un’analisi rivolta agli insegnanti, è essenziale sviluppare strategie per promuovere un uso critico dell’AI, dall’imparare a porre domande giuste al verificare l’accuratezza delle informazioni fornite dai sistemi (L’impatto dell’Intelligenza Artificiale Generativa sul Pensiero Critico: un’analisi del sondaggio sui lavoratori della conoscenza – FORMAZIONE PER ORIENTATORI E FORMATORI). In altre parole, dobbiamo educare gli utenti (giovani e non) a essere sempre più serenamente critici. Diventare una sorta di detective del web: fiutare i contenuti sospetti, scovare i pattern ripetitivi tipici del linguaggio automatico, fare attenzione a quei piccoli dettagli che tradiscono l’assenza di umanità.
L’importanza dell’educazione critica
La presenza di adulti consapevoli accanto ai ragazzi è fondamentale. Un genitore o un educatore informato sui rischi digitali può spiegare a un adolescente perché non tutto ciò che è virale su TikTok è reale, o perché quel sito dagli articoli tutti uguali forse non è una fonte affidabile. Può anche mostrare il lato positivo dell’AI – perché sì, esistono opportunità accanto ai rischi. Per esempio, l’AI può aiutarci a tradurre una poesia dal giapponese e scoprire nuove culture, oppure a sintetizzare informazioni complesse rendendole più comprensibili. Ma questo non deve mai sostituire il giudizio umano. L’AI suggerisce, noi disponiamo. L’AI produce, noi valutiamo. Questa deve restare la bussola.
Riscoprire l’autenticità nell’era dell’AI
In mezzo a questo oceano di contenuti artificiali, paradossalmente sta emergendo una speranza: il ritorno all’autenticità come valore. Più l’AI rende facile e “perfetta” la produzione di testi e immagini, più acquistano fascino le creazioni imperfette ma umane. Un po’ come il riscoprirsi amanti del vinile nell’era della musica digitale, potremmo vedere una rinascita artigianale del web. Già alcuni segnali ci sono: utenti disposti a pagare per newsletter scritte di proprio pugno da autori di fiducia, persone che cercano forum e comunità più piccole dove riconoscono gli interlocutori, lettori che preferiscono un libro stampato a un blog scopiazzato ovunque. Come ha osservato James Vincent su The Verge, l’alluvione di spazzatura digitale potrebbe renderci più propensi a rivolgerci direttamente alle fonti di qualità, anche pagando, pur di avere contenuti autentici.
Strategie per preservare una internet umana
In un futuro prossimo, magari sceglieremo motori di ricerca alternativi o piattaforme che certificano i contenuti “human-made”. Può sembrare un controsenso parlare di ritorno al passato nell’epoca dell’intelligenza artificiale dilagante, ma spesso l’innovazione risveglia il desiderio di ciò che è reale e umano. I nostri cervelli, e soprattutto i nostri cuori, sanno cogliere la differenza tra un testo generato per riempire spazi e uno scritto per condividere un’emozione vera.
Alla fine dei conti, Internet non è davvero morta finché ci siamo noi. Finché milioni di persone continuano a postare pensieri sinceri, foto di vita vissuta, commenti sentiti, l’anima della rete sopravvive. Certo, va protetta e nutrita: scegliendo con cura dove spendiamo il nostro tempo online, premiando con la nostra attenzione chi mette autenticità nei contenuti, e coltivando comunità dove regna la fiducia. È un po’ come tenere in vita un giardino in mezzo al deserto: richiede impegno, ma ripaga con la bellezza dei fiori veri tra sabbie artificiali.
Il valore dell’imperfezione nell’era della dead internet theory
In conclusione, l’intelligenza artificiale potrà anche generare testi perfetti e riempire il web di simulacri luccicanti, ma non potrà mai sostituire totalmente la voce umana, con le sue sbavature e la sua unicità. Forse, anzi, ci costringerà a riscoprire il valore dell’imperfezione: un post sgrammaticato ma onesto, una discussione online – magari educata – autentica, un video fatto in casa con errori ma con passione – tutte cose che ci ricordano che dietro la rete ci sono persone vere. E sarà proprio questa imperfezione, questo cuore umano digitale, a tenere Internet viva nonostante tutto.
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Sitografia
- Andrea Daniele Signorelli – “Vuoi vedere che internet è morta davvero?”, Wired Italia, 24 febbraio 202 (Internet, vuoi vedere che è morta davvero? | Wired Italia) (Internet, vuoi vedere che è morta davvero? | Wired Italia)】.
- Kaitlyn Tiffany – “Internet è morta e non ce n’eravamo accorti?”, trad. it. Internazionale (da The Atlantic), 16 settembre 202 (Internet è morta e non ce n’eravamo accorti? – Kaitlyn Tiffany – Internazionale) (Internet è morta e non ce n’eravamo accorti? – Kaitlyn Tiffany – Internazionale)】.
- “90% of Online Content Created by AI by 2025”, Blog Quidgest (osservatorio Europol Innovation Lab), 202 (90% of Online Content Created by Generative AI by 2025 | BLOG QUIDGEST)】.
- Imperva – “Bots Now Make Up Nearly Half of All Internet Traffic Globally”, Imperva Bad Bot Report 2024 (Comunicato Stampa (Bots Now Make Up Nearly Half of All Internet Traffic Globally – Company)】.
- Orientamento.it – “L’impatto dell’Intelligenza Artificiale Generativa sul Pensiero Critico”, 202 (L’impatto dell’Intelligenza Artificiale Generativa sul Pensiero Critico: un’analisi del sondaggio sui lavoratori della conoscenza – FORMAZIONE PER ORIENTATORI E FORMATORI)】.
- James Vincent – “AI is killing the web – an opportunity?”, The Verge, 202 (Internet, vuoi vedere che è morta davvero? | Wired Italia).
Bibliografia
- Andrea Daniele Signorelli – Simulacri digitali. Le allucinazioni e gli inganni delle nuove tecnologie (ADD Editore, 2025). Un saggio recente che esplora in modo critico temi come la morte del web, le illusioni create dall’AI e le nostre vite sempre più immerse in realtà simulate. Uno sguardo lucido e allo stesso tempo appassionato sul nostro futuro digitale.
- Antonio Pavolini – Stiamo sprecando Internet. La riscoperta possibile di uno spazio pubblico digitale (Franco Cesati Editore, 2023). Un saggio critico e appassionato che invita a riflettere sull’uso attuale del web e sulle sue potenzialità inespresse. L’autore – analista dei media e osservatore delle trasformazioni digitali – propone una lettura lucida delle dinamiche che hanno trasformato Internet da spazio di condivisione a terreno di polarizzazione, offrendo spunti per recuperare la dimensione pubblica e partecipativa della rete.
- Martina Benedetti – Salvarsi da bufale e fake news. Il libro che ogni complottista dovrebbe leggere, ma che non comprerà mai (Nutrimenti, 2024). Un testo agile e accessibile, rivolto al grande pubblico, che fornisce strumenti pratici per difendersi dalla disinformazione online. L’autrice – infermiera divenuta simbolo anti-fake news durante la pandemia – insegna a filtrare le notizie, smascherare i “disinformatori seriali” e sviluppare sano scetticismo verso le fonti poco affidabili.
Nina Schick – Deepfakes and the Infocalypse: What You Urgently Need to Know (2020). Testo in inglese da una esperta di geopolitica, questo saggio divulgativo spiega il fenomeno dei deepfake (video e audio falsificati dall’AI) e il rischio di una “infocalisse” – un collasso della fiducia nelle informazioni. Offre esempi concreti e strategie per prepararci a riconoscere e gestire queste nuove minacce mediatiche.