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Gaza e Flotilla in diretta social, coscienze in rivolta: la guerra ora riguarda tutti



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Se le bombe trasmesse dalla Cnn durante la guerra del Golfo hanno creato la prima frattura nella percezione dei conflitti, il genocidio a Gaza e l’assalto alla Global Sumud Flotilla hanno portato a un’ulteriore spaccatura nel contesto della comunicazione di massa e dei suoi impatti sulle persone. Che ora scendono in piazza

Pubblicato il 3 ott 2025

Nicoletta Pisanu

Giornalista professionista, redazione AgendaDigitale.eu



Flotilla Gaza manifestazione sciopero Milano
Manifestazione a Milano pro Gaza e Global Sumud Flotilla, 2 ottobre 2025, courtesy of Laura Pronestì e Chantal Antonizzi

Se le bombe sganciate su Baghdad dagli Usa durante la prima guerra del Golfo e portate per la prima volta nelle case di tutti dalla diretta della Cnn hanno rappresentato il momento in cui i comuni cittadini hanno visto davvero cos’è la guerra, il massacro dei palestinesi oggi da parte dello stato di Israele ha segnato un ulteriore frattura sia nella tecnica della comunicazione di massa che nei suoi impatti sulle persone. L’attualità di Gaza e l’assalto ingiustificato di Israele alla Global Sumud Flotilla, visto in diretta da tutti, senza filtri, grazie allo streaming sui social, ha fatto sorgere nei cittadini di tutto il mondo la necessità di esercitare la libertà d’espressione scendendo in piazza.

E così il 3 ottobre in tutta Italia si sciopera e si protesta per Gaza dopo la manifestazione del 22 settembre, le piazze sono piene da ieri anche in altri Stati UE. Perché “la guerra non appare più come un evento remoto, ma come qualcosa che ci riguarda intimamente, che ci interpella moralmente e politicamente”, spiega Giovanni Boccia Artieri, professore ordinario di Sociologia dei media digitali all’Università di Urbino Carlo Bo.

Manifestazione pro Gaza e Global Sumud Flotilla, Milano, 2/10/2025, video di Laura Pronestì e Chantal Antonizzi per AgendaDigitale.eu

Sciopero per Flotilla e Gaza, il ruolo di Internet

Per Gaza e ora per l’assalto in acque internazionali alla Global Sumud Flotilla che voleva portare aiuti umanitari in Palestina, abbiamo visto in Italia una movimentazione che sembrava, da qualche anno, un po’ sopita. Osservando il fenomeno dal punto di vista degli studi sui media, è utile chiedersi quale sia stato il ruolo di internet e la misura del suo impatto: “Internet, e in particolare i social network, hanno funzionato da dispositivo di mobilitazione. Non sostituiscono la piazza, ma la anticipano e la accompagnano. La capacità di aggregare sentimenti collettivi, di far circolare in tempo reale immagini e appelli, crea le condizioni per un ritorno fisico nello spazio pubblico”, commenta Boccia Artieri.

Dai social alla strada

L’impatto è duplice: “Da un lato c’è la possibilità di rompere l’isolamento e di far sentire la propria voce anche al di fuori delle grandi organizzazioni politiche tradizionali; dall’altro, la rete funziona come acceleratore, mettendo in relazione micro-comunità disperse e trasformandole in movimenti visibili – aggiunge il professore -. La misura dell’impatto si coglie proprio in questa capacità di passare dal digitale al fisico, dal click al corpo in strada: un processo che negli ultimi anni sembrava sopito, ma che il tema palestinese ha riattivato con forza”.

La rappresentazione mediatica del genocidio palestinese

Impossibile rimanere indifferenti di fronte a immagini trasmesse direttamente dal posto, perché lo strumento consente un coinvolgimento in prima persona: è come essere lì, stando sul divano di casa. Nelle guerre che hanno riguardato, emotivamente e militarmente, la società occidentale negli anni Novanta e Duemila, come Iraq e Afghanistan, la narrazione era adeguata ai mezzi dell’epoca, i social (quando c’erano già) non offrivano le possibilità di ora e il giornalismo, con i reporter sul posto e con il lavoro di agenzia, faceva tutto ciò che era possibile per coprire la cronaca di operazioni e attacchi ma anche gli approfondimenti relativi alle condizioni della popolazione, la salute mentale dei soldati, la politica e gli aspetti economici.

La guerra del Golfo ha segnato una frattura storica: “La guerra spettacolo, filtrata e coreografata dalle televisioni, in particolare dalla CNN, che portava nelle case immagini controllate, spesso notturne e lontane. Gaza rappresenta un’altra cesura: non più solo la guerra mediatizzata dalle tv, ma la guerra immediata e diffusa sui social. Qui non c’è più distanza né mediazione, ma una partecipazione diretta: cittadini, giornalisti locali, attivisti e testimoni in prima linea trasmettono immagini e testimonianze in tempo reale“, commenta Boccia Artieri. Questo ha un effetto duplice: “Da un lato smonta l’illusione di neutralità e “innocenza” delle immagini di guerra, dall’altro ci pone di fronte alla brutalità senza filtri, con un sovraccarico emotivo che cambia il nostro modo di percepire i conflitti. In questo senso sì, è come se fosse caduto l’ultimo velo di innocenza: la guerra non appare più come un evento remoto, ma come qualcosa che ci riguarda intimamente, che ci interpella moralmente e politicamente”.

Manifestazione pro Gaza e Global Sumud Flotilla, Den Haag, Paesi Bassi, 2/10/2025 foto di Nicoletta Pisanu

Propaganda di Israele e delle Russia: differenze

Una comunicazione non filtrata se ha il vantaggio di portare in prima linea le persone può tuttavia essere facilmente manipolata, portando a fenomeni di disinformazione e misinformazione, perché manca l’elemento fondamentale del fact-checking svolto da professionisti dell’informazione. E i potenti a volte ne approfittano: “Israele ha storicamente sviluppato un apparato comunicativo molto sofisticato, puntando sul framing narrativo e sul controllo dell’agenda mediatica: l’enfasi sulla sicurezza, sul diritto alla difesa, sul linguaggio della minaccia esistenziale – analizza Boccia Artieri -. Si tratta di una propaganda che opera soprattutto sul terreno della legittimazione politica, rivolta alle opinioni pubbliche occidentali“.

Diverso da quanto avviene in Russia, che invece “ha messo in campo durante la guerra in Ucraina un modello diverso, basato sulla misinformation e sulla disruption: produzione massiccia di fake news, troll, bot, campagne di amplificazione artificiali. Mentre Israele tende a costruire una narrazione stabile e istituzionale, la strategia russa punta a destabilizzare, a generare confusione e sfiducia generalizzata, erodendo l’affidabilità stessa dell’informazione. In sintesi: Israele agisce sul piano della legittimazione, la Russia su quello della delegittimazione sistemica”, commenta il professore.

Gaza e Flotilla, la narrazione sui social e sui media ufficiali

C’è chiaramente una differenza nella conduzione dell’informazione relativa a Gaza e all’assalto alla Flotilla e questa differenza dipende sia dal medium utilizzato (social o giornale, ad esempio) sia dall’autore, quindi un comune cittadino o un giornalista. Assistiamo da due anni a validissimi esempi di citizen journalism da parte della popolazione di Gaza, oltre che all’eroica etica lavorativa dei giornalisti locali, molti uccisi e diventati bersagli, come il premio Pulitzer Anas Al-Sharif caduto a luglio.

Sui media ufficiali, “la narrazione palestinese è stata a lungo filtrata da logiche geopolitiche, da linguaggi diplomatici, da un frame che tende a equilibrare, spesso in modo artificiale, “le due parti in conflitto” – spiega Boccia Artieri -. Sui social media, invece, prevale una narrazione immediata, vissuta, corporea: immagini di bambini, ospedali colpiti, testimonianze dal basso (come per il caso al-Najjar, ndr). Qui la dimensione umana e affettiva prende il sopravvento, mettendo in crisi la retorica della simmetria. La differenza è che i media mainstream parlano spesso “della” Palestina, mentre sui social a parlare è la Palestina stessa, attraverso le voci dei suoi abitanti e dei suoi sostenitori”.

Questo genera tensione: “Da una parte la forza emotiva della testimonianza diretta, dall’altra la cornice istituzionale e diplomatica dei media tradizionali. Ed è proprio nello scarto tra queste due narrazioni che si colloca oggi gran parte del conflitto simbolico”.

Analisi delle accuse di antisemitismo sui social

In diverse occasioni esprimersi su Gaza ha portato a essere tacciati di essere antisemiti, non avendo ben chiaro la differenza tra antisemitismo, cioè il razzismo contro chi è di religione ebraica e invece l’antisionismo, quindi l’avere posizioni contrarie alla dottrina politica israeliana collegabile alla sfera di un’estrema destra nazionalista: “L’antisemitismo è un crinale delicatissimo. Da un lato, il ricordo dell’Olocausto rappresenta un fondamento della coscienza democratica europea: non è semplicemente un passato da ricordare, ma un monito costante contro l’odio e la discriminazione. Tuttavia, questo stesso monito può, in alcuni contesti, trasformarsi in un vincolo che limita la libertà di espressione: il timore di essere etichettati come antisemiti può inibire un dibattito pubblico critico sulle politiche israeliane”, precisa Boccia Artieri.

Sul piano dell’opinione pubblica, questo genera confusione: “La distinzione fra antisemitismo – odio verso gli ebrei come popolo – e critica legittima verso lo Stato di Israele tende a sfumare, spesso per scelta strategica. Questa sovrapposizione crea una sorta di cortocircuito semantico: chi critica Israele rischia di essere percepito come antisemita, mentre chi difende Israele tende a presentarsi come vittima di un odio storico”, aggiunge il professore.

Israele, da parte sua, “ha fatto di questa ambivalenza un elemento del proprio arsenale comunicativo. Evocare l’antisemitismo, specialmente in riferimento alla Shoah, diventa uno strumento potente per blindare la propria posizione: ogni critica rischia di essere delegittimata come manifestazione di odio, spostando così l’attenzione dal merito delle politiche e delle azioni militari al terreno morale della difesa dall’antisemitismo – conclude Boccia Artieri -. È una strategia efficace sul piano retorico, ma che ha l’effetto collaterale di indebolire la chiarezza del dibattito pubblico, rendendo più difficile distinguere tra odio ideologico e legittima critica politica”.

E intanto su ogni piattaforma digitale si vedono le immagini delle persone che muoiono di fame e di bombe ed è impossibile non chiedersi come un domani analizzeremo quello che è stato, come è stato raccontato e l’inadeguatezza della risposta sociale.

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