C’è un nuovo territorio che le tecnologie digitali stanno iniziando a esplorare: il nostro cervello. Dopo aver connesso oggetti, case e perfino automobili, l’ambizione più ardita oggi è quella di connettere direttamente la mente umana con la macchina.
Le interfacce cervello-computer (o BCI, dall’inglese Brain-Computer Interfaces) stanno rapidamente passando dallo stato di sperimentazione alla realtà clinica.
Indice degli argomenti
Sfide tecniche e promesse cliniche delle interfacce cervello-computer
In questo 2025, decine di pazienti convivono già con impianti permanenti nel cervello. Alcuni riescono a muovere un cursore sullo schermo solo col pensiero. Altri stanno imparando a controllare una protesi robotica o a comunicare anche se incapaci di parlare.
Il funzionamento di una BCI, in teoria, è semplice: leggere l’attività elettrica dei neuroni e tradurla in segnali digitali interpretabili da un software. In pratica, è una delle sfide più complesse mai affrontate da scienza e tecnologia. Ogni cervello è unico, i segnali cerebrali sono rumorosi e instabili, e la lettura precisa richiede dispositivi avanzatissimi. Tuttavia, i progressi sono reali e concreti, e ci sono già aziende pronte a scommettere che queste tecnologie diventeranno presto parte dell’arsenale terapeutico standard.
Quattro approcci, una sola sfida: i pionieri dell’interfaccia neurale
Tra le startup che guidano la corsa alle BCI, quattro nomi si stanno imponendo come leader. Ognuna ha un approccio differente, ma tutte puntano allo stesso obiettivo: rendere stabile, sicura ed efficace la comunicazione tra cervello e computer.
Approccio non invasivo e accessibilità: il caso Synchron
Synchron, ad esempio, ha scelto una strada meno invasiva: il suo impianto si inserisce nei vasi sanguigni del cervello come uno stent. Senza bisogno di aprire la scatola cranica, l’operazione risulta più accessibile e con meno rischi. Il rovescio della medaglia è che i segnali raccolti non sono molto dettagliati. Per ora, chi usa questo sistema può interagire con un dispositivo Apple Vision Pro guidando un cursore con lo sguardo e cliccando idealmente col pensiero, immaginando un movimento. Ma è solo l’inizio: l’azienda prevede di iniziare a breve le sperimentazioni cliniche più avanzate, con l’obiettivo di ottenere l’approvazione della FDA entro il 2027.
Alta precisione nella lettura del pensiero: Precision Neuroscience
Più profonda è la via scelta da Precision Neuroscience, che applica una sottile griglia di elettrodi direttamente sulla superficie del cervello. Questo richiede un intervento chirurgico più delicato, ma promette maggiore precisione. Il sistema attuale è cablato, con dei veri e propri “cavi”, ma l’azienda sta sviluppando una versione completamente wireless. Il potenziale è alto: si potrebbe persino arrivare a tradurre direttamente il pensiero in parole. Il team ha già condotto test su oltre dieci pazienti, e uno degli obiettivi è quello di permettere a persone colpite da afasia di tornare a comunicare fluentemente grazie alla sola attività neuronale.
Velocità e simbiosi neurale: la visione di Paradromics
Paradromics adotta invece un impianto a penetrazione leggera: elettrodi sottilissimi che entrano per meno di due millimetri nel tessuto cerebrale. L’obiettivo è ottenere una connessione ad altissima velocità, registrando attività neuronale in modo molto preciso. Per ora il sistema ha funzionato per tre anni nel cervello di una pecora, ma si prevede l’avvio della sperimentazione umana entro l’anno. I ricercatori della società puntano a sviluppare un’interfaccia che consenta la comunicazione diretta tra cervelli umani e intelligenze artificiali, aprendo la strada a una simbiosi tra pensiero biologico e computazione.
Integrazione profonda e rischi futuri: Neuralink al centro del dibattito
E poi c’è Neuralink, la più famosa e forse la più ambiziosa ed anche la più discussa, fondata da Elon Musk. I suoi impianti entrano nel cervello più in profondità, un’integrazione profonda, grazie ad elettrodi flessibili inseriti da un robot chirurgico appositamente progettato. I primi pazienti già impiantati hanno mostrato risultati sorprendenti: uno di loro è riuscito a giocare a videogames e scrivere codice con la sola forza del pensiero. Ma gli interrogativi non mancano, soprattutto sulla durata nel tempo di un impianto così invasivo e sulla sua eventuale sostituzione. Inoltre, i rischi connessi a eventuali malfunzionamenti o rigetti sono ancora poco noti e richiederanno lunghi studi clinici.
Un ecosistema neurale tra startup, ricerca e clinica
Oltre a queste startup molto mediatizzate, esiste un intero ecosistema di realtà industriali e accademiche che contribuiscono a sviluppare le tecnologie neurali. Blackrock Neurotech, ad esempio, è tra i pionieri assoluti del settore. I suoi dispositivi impiantabili sono utilizzati da oltre un decennio in ambito clinico e universitario, contribuendo a restituire parziali capacità di comunicazione a pazienti completamente paralizzati. In uno dei casi più simbolici, un utente è riuscito a postare un tweet direttamente dal proprio cervello.
Democratizzazione e usi alternativi delle BCI non invasive
Anche realtà come BrainCo e Emotiv stanno cercando di democratizzare l’accesso alle interfacce neurali, puntando su soluzioni non invasive basate su EEG (elettroencefalogramma). I loro dispositivi, sotto forma di fasce o auricolari intelligenti, promettono di misurare livelli di attenzione, stress e stati emotivi. Seppur meno sofisticati delle BCI impiantabili, questi strumenti trovano impiego in ambiti educativi, sportivi, aziendali e persino nel gaming neurale.
BrainGate e la ricerca scientifica sulle interfacce neurali
Nel mondo accademico, il consorzio BrainGate continua a rappresentare un faro nella ricerca neuroscientifica. I loro progetti hanno aperto la strada a numerose innovazioni, consentendo a soggetti tetraplegici di scrivere testi, comporre e-mail o utilizzare software attraverso la semplice immaginazione di movimenti. I loro lavori, spesso in collaborazione con università e ospedali, dimostrano il potenziale terapeutico reale delle BCI.
Promesse terapeutiche e dilemmi etici delle BCI impiantabili
Le BCI impiantabili rappresentano una delle più grandi promesse terapeutiche del XXI secolo. Per chi ha perso la capacità di parlare, muoversi o interagire col mondo, queste tecnologie offrono una seconda possibilità. Una voce ritrovata, un gesto che torna a esistere, una comunicazione che sembrava perduta. Tuttavia, ogni progresso porta con sé nuove domande.
Innanzitutto, le implicazioni etiche e sociali sono immense. Chi controlla i dati neurali? Come si protegge la privacy di un pensiero, se quel pensiero è convertito in un segnale digitale? Cosa accadrebbe se un impianto fosse hackerato o manipolato da remoto? I dubbi sono molti, e non possono essere ignorati. Serve una regolamentazione solida, che bilanci innovazione, sicurezza e libertà individuale.
Dal punto di vista tecnico, restano numerose sfide: la durata degli impianti, la biocompatibilità a lungo termine, la variabilità soggettiva dei segnali cerebrali, la necessità di calibrazioni frequenti. Le attuali BCI sono ancora dispositivi sperimentali, costosi e riservati a pochi pazienti selezionati.
Scenari futuri e trasformazioni cognitive con le BCI
Eppure, l’interesse cresce. I colossi della tecnologia stanno iniziando a esplorare questo campo: Apple ha recentemente depositato brevetti relativi a interfacce neurali non invasive, mentre Meta investe da anni nella lettura dei segnali corticali per la realtà virtuale. Il confine tra scienza, medicina e intrattenimento si fa sempre più labile.
Eppure, il futuro sembra già scriversi. Le interfacce neurali potrebbero trasformare non solo la medicina, ma anche l’educazione, il lavoro, la realtà virtuale. Un giorno, forse non troppo lontano, potremmo controllare un drone con la mente, imparare una lingua in poche settimane grazie a stimolazioni cerebrali mirate o comunicare con una macchina senza passare da tastiere o schermi.
Alcuni ricercatori sognano già applicazioni ancora più avveniristiche, come la condivisione diretta di pensieri tra cervelli, o il backup dei ricordi. Idee che oggi sembrano lontane, ma che non sono più impossibili da immaginare. Il progresso delle neuroscienze e dell’ingegneria neurale sta accelerando, e il confine tra umano e artificiale diventa sempre più poroso.
Verso un nuovo paradigma umano-tecnologico
Per arrivarci, servirà ancora tempo, rigore scientifico, investimenti e, soprattutto, cautela. Ma se le cose andranno come sembrano, nel giro di pochi anni ci troveremo di fronte non solo a una nuova interfaccia tecnologica, ma a un vero e proprio cambio di paradigma: dal “digitale in mano” al “digitale in mente”.
Il viaggio è cominciato. La direzione non è scritta. Ma un giorno potremmo guardarci indietro e ricordare questo momento come quello in cui l’umanità ha iniziato a pensare con un chip in più.
Il viaggio è cominciato. E non si torna indietro…